Un libro tutto dedicato ad Elena Ferrante, il primo in assoluto in ambito accademico, in cui la professoressa Grace Russo Bullaro, con la co-autrice Stephanie V. Love e un team di ricercatori e studiosi, approfondiscono la monumentale produzione della scrittrice sotto molteplici punti di vista, dal letterale, linguistico e storico.
The Works of Elena Ferrante. Reconfiguring the Margins (Palgrave Macmillan, Dec. 2016) è un lavoro ambizioso che analizza minuziosamente la scrittura della scrittrice che qui negli Stati Uniti ha scatenato negli ultimi anni una vera e propria “Ferrante Fever”, una “febbre” che è arrivata fino in Italia, dove il successo della “misteriosa” scrittrice non era ancora stato così di massa.
La professoressa Russo Bullaro, in questa intervista, lascia volontariamente fuori dalla sua analisi l’identità della scrittrice che ha scatenato da una parte del mistero verso i lettori, ma ha anche “distratto” molti dal contenuto e la qualità del suo stile.
Incontro Grace Bullaro nel suo ufficio al Lehman College, City University of New York nel Bronx, dove la professoressa– emigrata da Salerno da bambina– mi racconterà in esclusiva per i lettori di La Voce di New York di come sia nata l’idea del libro sulla Ferrante e di questa sua caratteristica di “smarginatura”: del rompere i margini di ogni tipo, nella scrittura, nella storia, nelle relazioni, delle ipocrisie della società.
Come è nata l’idea del libro su Elena Ferrante?
“È nato da un profondo amore per l’opera di Elena Ferrante. Un ‘amore’ che però definisco inquieto, non un amore semplice. La Ferrante ha un impatto sul lettore, gli dà uno schiaffo, lo obbliga a mettere in discussione l’amore per le donne, con madri e figlie. Un amore non facile, ma piuttosto irrequieto. Capita spesso che alcuni progetti nascano da idee pungenti ed inquiete. L’unico modo per sbarazzarmi di questo disagio, è stato, per me, capire le ragioni di questo mio amore travagliato nei confronti dei romanzi della Ferrante.
Ferrante è quel tipo di autore che ti lascia un segno. La sua scrittura arriva come un colpo, ti fa rimettere in discussione tutto quello che pensavi di sapere riguardo alle relazioni tra donne, madri, figlie e amiche. Inoltre, la narrativa e lo stile della Ferrante sono superbi. Più leggi e più sei rapito dalla lettura. Vuoi sapere cosa succede a Elena e Lila, di quel piccolo mistero che Lila sembra nascondere. Il lettore si rende conto da subito che ci vorrà un bel po’ di tempo per conoscere la verità, ma allo stesso tempo sa che l’attesa verrà ricompensata”.
Quando ha deciso di scrivere il libro sulla Ferrante?
“Tempo fa stavo chiacchierando con Stephanie Love, una giovane collega e dottoranda del CUNY Graduate School di New York, che conobbi tempo prima all’università di Oxford e che aveva gia’ contribuito un saggio nel mio lavoro precedente, Shifting and Shaping a National Identity. Le dissi che stavo leggendo la Ferrante, e Stephanie mi confessò che stava facendo lo stesso. Abbiamo iniziato a discutere appassionatamente sulla scrittrice. Ed è stato in quel momento che ho proposto a Stephanie di collaborare sul mio nuovo progetto, ed abbiamo iniziato a discutere sui vari argomenti da trattare. Ci siamo rese conto che un volume su Elena Ferrante sarebbe stato un grande progetto”.
Il termine “smarginatura” sembra essere cruciale, in quanto è parte anche del titolo del libro, “Reconfiguring the margins.” Che cosa è la “smarginatura”?
“Smarginatura è un concetto centrale nei romanzi della Ferrante. Nella narrazione è un fenomeno fisico di cui Lila fa esperienza molte volte durante la sua vita: sente di star perdendo la sua solidità, e, in qualche modo i suoi “confini” diventano più sfocati e si confondono con ciò che la circonda – metaforicamente, Lila sente di perdere la propria identità. A livello letterario, questo significa che l’autore scardina anche dei confini discorsivi. In altre parole, Ferrante non accetta i ‘margini’ che la società impone attorno ai concetti di identità, del ruolo femminile nella società, della sacralità della maternità. Stephanie ed io, abbiamo deciso di affrontare l’intero progetto partendo proprio dall’idea della ‘smarginatura’, con una speciale attenzione alla forma in cui la Ferrante, non solo sfuma i confini, ma li rompe. Entrambe eravamo d’accordo riguardo al fatto che bisognava andare al di là della tematica della relazione tra donne – dal momento che sembrava essere l’unico tema scritto finora sulla Ferrante- e puntare invece su una visuale molto più allargata”.
La prima parte del libro si concentra sulla storia. Come Ferrante può essere cruciale per indagare la storia, specialmente la storia italiana?
“Un autore non si limita a raccontare una storia, ma piuttosto crea un mondo intero. Per arrivare a comprendere i personaggi della Ferrante, bisogna comprendere anche il mondo in cui vivono. Lei non semplicemente racconta la storia di Elena e Lila, ma ri-crea l’Italia, e racconta la forma in cui il paese è cambiato dalla fine della seconda guerra mondiale fino ai giorni nostri. La storia di Lila ed Elena è in definitiva la storia dell’Italia – è la storia di tutti ‘noi'”.
Chi critica maggiormente la Ferrante in Italia, gli accademici o i lettori?
“È difficile da dire, visto che alcuni critici italiani, nello specifico uomini, hanno affermato cose oltraggiose nei riguardi della Ferrante – per esempio che la Ferrante dovrebbe ‘andare a riordinare l’appartamento di un rivale maschile’. Un’ affermazione del genere implica che, a loro parere, le donne dovrebbero stare alla larga dalla letteratura. Inoltre, ho notato che alcuni lettori, specialmente quelli nati in Italia ma che vivono negli Stati Uniti, criticano la forma in cui la Ferrante parla di criminalità e povertà nei suoi romanzi. In qualche modo, sembra che loro percepiscano che la Ferrante denigri una parte delle loro vita, e che, di conseguenza, ‘i panni sporchi sarebbe meglio lavarli in casa'”.
Come mai sembra che la Ferrante sia più famosa qui che in Italia?
“Ironicamente la Ferrante ha attirato più attenzione in Italia – attenzione non sempre positiva – nel momento in cui la sua popolarità è esplosa nel mondo anglofono. Negli Stati Uniti è considerata come una ‘autrice italiana’ che racconta una storia avvincente. In Italia questa celebrità americana è vista da molti come una sorta di incomprensibile enigma. La Ferrante non è il primo caso, anzi sembra che l’Italia abbia una storia di sentimenti contrastanti verso gli autori che raggiungono la fama all’estero. Non è insolito che gli italiani non riconoscano o apprezino i propri artisti fino a quando altri si accorgono di loro. In parole povere, sembra che gli americani e gli italiani abbiamo idee diverse su ciò che costituisca la ‘grande letteratura'”.
Quali approcci avete seguito nella stesura del libro sulla Ferrante?
“Nella prima parte abbiamo seguito un approccio storico, soprattutto analizzando gli effetti del ‘miracolo economico,’ con un’attenzione ai cambiamenti che si sono verificati nell’istruzione, e l’impatto della televisione sulla società italiana del dopoguerra. Nella II parte ci siamo concentrati invece sulle questioni di “stile e poetica.” Infine, nella III, abbiamo esaminato i ‘signature themes’ associati con Ferrante, ossia le tematiche che hanno a che fare con il mondo della donna, guardati attraverso la lente dell’analisi letteraria, psicoanalitica e della teoria femminista”.
Dedicate, nel libro, anche uno spazio alla “questione delle lingua.” Come è importante nel lavoro della Ferrante?
“Molti lettori si aspettano di trovare nei romanzi della Ferrante molto dialetto napoletano. In realtà vi sono piuttosto parafrasi indirette del dialetto. Nel parlare della ‘questione della lingua,’ cerchiamo di approfondire le ragioni che possono avere influenzato la decisione della Ferrante. In ogni modo, sia esso letterale o parafrasato, il dialetto della Ferrante è estremamente importante. Funziona come un ‘social marker,’ un contrassegno dello stato sociale attraverso il quale si può monitorare la crescita socio-economica e culturale dell’Italia, in particolare del dopoguerra. Nel 1945 l’uso del dialetto contraddistingueva un livello inferiore di classe sociale. Negli anni ’80 e ’90, invece le cose sono cambiate ed oggi i giovani si sono riappropriati del dialetto come parte del loro patrimonio culturale. Come ogni linguaggio, il dialetto è una cosa viva”.
Nel suo libro ha deciso di non concentrarsi sul mistero che circonda la vera identità di Elena Ferrante (Intanto il giornalista Claudio Gatti ha scoperto la sua vera identità: Anita Raja). Per quale motivo?
“Io credo fermamente che la questione dell’anonimato della Ferrante e le speculazioni sulla sua vera identità siano una distrazione dal suo lavoro. Come lettori dobbiamo curarci solo delle opere letterarie, non della sua vita personale. Come la Ferrante stessa ha affermato durante delle ‘interviste anonime,’ il suo compito era scrivere libri. Il resto, afferma, non le riguarda”.
La Ferrante dovrebbe essere inclusa tra i romanzi da leggere nelle scuole e università?
“Certamente. I suoi libri dovrebbero trovare un posto di rilievo nei corsi di letteratura offerti dai dipartimenti d’Italianistica, non solamente per la loro popolarità, ma perché ha molto da dire come autore, per la sua denuncia sociale. I romanzi della Ferrante mettono in discussione lo status quo. Io insegno corsi di Women’s Studies ma nel dipartimento di Inglese. Se vi fosse tra i nostri studenti un maggiore interesse nella letteratura italiana, includerei la Ferrante. D’altra parte, l’aggiungere la Ferrante tra le scrittrici del mio corso dedicato alle donne, solleverebbe un problema spinoso: in qualche modo significherebbe ghettizzare il suo lavoro come “letteratura femminile.” E, in definitiva, questo non sarebbe un buon risultato”.
Come vede il futuro della Ferrante?
“Non sappiamo ancora se la sua letteratura resterà così popolare in futuro oppure la sua fama scemerà. Quello che mi preoccupa è che è diventata famosa troppo rapidamente, come succede per le mode di cui dopo un po’ non si parla più. In ogni modo, chissà quale sarà il futuro della Ferrante. Dobbiamo aspettare e vedere”.
Cosa rende la Ferrante differente e unica rispetto ad altri scrittori italiani contemporanei?
“Il fatto che lei non ha paura a dire le cose che la gente non vuole sentire. Per esempio nell’opera classica di Ibsen, Casa di bambola, Nora lascia marito e bambini per raggiungere la propria ‘auto-realizzazione’. Casa di bambola è stato messo in scena nel 1879 e suscitò all’epoca uno scandalo. Oggi nel XXI secolo, dobbiamo fare i conti con gli stessi problemi: esiste tutt’ora per una donna il conflitto tra i suoi ruoli di madre, sposa, amante, e la sua carriera. Non a caso molti paralleli sono stati fatti tra Nora e Elena Greco, la protagonista di L’amica geniale. Ferrante crea dei personaggi che hanno come bersaglio le aspettative e le restrizioni imposte dalla società. Ad Elena non interessa ‘piacere’. Lei dice la verità, così come la vede”.
Per quale motivo la narrativa della Ferrante è inquietante?
“Pensa alla relazione tra Elena e Lila: è una relazione di amore ed odio. Loro cercano di distruggersi a vicenda, sia fisicamente, metaforicamente ed anche metafisicamente. Nonostante questo, le due donne sono migliori amiche. I lettori si lamentano del fatto che nei romanzi della Ferrante non vi siano dei personaggi con cui si possa simpatizzare”.
Personalmente potrebbe pensare ad un personaggio di un romanzo della Ferrante che le piace?
(Restiamo a pensarci per un attimo, poi sia io che la professoressa Bullaro scoppiamo in una risata)
“Dal mio punto di vista, noi non dovremmo leggere romanzi per trovare un migliore amico, ma per ripensare argomenti importanti, e acquisire nuovi punti di vita sulla vita. La buona letterature deve essere in qualche modo anche inquietante, per farci uscire dalla nostra zona di comfort. Nel caso della Ferrante, è proprio questo il suo punto di forza”.