Una vespa e un casco. Una piscina e un pallone da pallanuoto.
Se l’ambito è il cinema, abbiamo già capito chi stiamo evocando — e anche senza specificare l’ambito, lo capiremmo.
Come raccontato pochi giorni fa, la 17esima Edizione della Settimana della Lingua Italiana nel Mondo (16-22 ottobre), quest’anno dedicata alla produzione cinematografica — “L’italiano al cinema, l’italiano nel cinema” — ha portato a New York City il Ministro della Cultura Dario Franceschini, e una coppia d’eccellenza formata da Sergio Castellitto e Nanni Moretti. Approfittando dell’occasione, e del supporto dell’Istituto Italiano di Cultura, il Metrograph, sala cinematografica d’essai nel Lower East Side, ha dedicato al Nanni nazionale una speciale retrospettiva (18-21 ottobre), propendo cinque film tratti dal suo repertorio — Palombella rossa, Aprile, Caro diario, La stanza del figlio, Il caimano. Gli spettatori in sala hanno potuto pregiarsi della presenza del regista a tutte le proiezioni.
La Voce di New York era presente a Palombella rossa, Aprile e Il Caimano, e ha raccolto per i suoi lettori le riflessioni del regista, maestro di cinema e d’ironia.
Palombella rossa è stato preceduto dalla proiezione di un cortometraggio del 1996, Il giorno della prima di “Close Up”. “Gestisco un cinema, a Roma, da 27 anni. Non è ‘cool’ come il Metrograph, ma se la cava”, commenta Moretti prima della proiezione, riferendosi al Nuovo Sacher, calcando su “cool” e facendo ridere il pubblico. “Nel corto racconto il primo giorno di programmazione di Close-up di Kiarostami, un regista che amo molto. Ho spesso incontrato il cinema iraniano nella mia vita, e mi sono sempre battuto affinché fosse riconosciuto con dei premi, per esempio quando ero in giuria al Festival di Cannes, o alla Mostra del Cinema di Venezia. Così come faccio in modo di proporlo nella mia sala cinematografica”. Raccontando l’uscita di un film d’essai come Close-up lo stesso giorno di un colossal come Il re leone, il cortometraggio — spassosissimo — è una riflessione comica e amara sulle difficoltà del cinema autoriale nell’avere un riscontro al botteghino.
Moretti sa come agganciare il pubblico. Riguardo a Palombella rossa, confida, “Il film è del 1989. Scoprii che in quell’anno ben quattro film erano ambientati in una sala cinematografica. Tra questi Nuovo Cinema Paradiso, un film di Troisi, uno di Scola. Perciò ho deciso di ambientare il film all’interno di una piscina… Del resto ho fatto il pallanuotista per molti anni, giocando anche nella Nazionale giovanile”. Moretti sa anche come stuzzicare la curiosità. “C’è una scena nel film in cui alzo il pugno chiuso. A volte i registi non sono chiari o didascalici. Quello, per esempio, non è un pugno chiuso politico. E’ un pugno chiuso d’amore per la protagonista del film che stiamo guardando, Julie Christie ne Il Dottor Zivago…”.
Dopo aver spiegato che nel film ci sono flashback reali di spezzoni che aveva girato in superotto quindici anni prima, Moretti prosegue, “E’ stato il film più faticoso che io abbia mai fatto. Dover girare, dirigere pallanuotisti veri, attori che interpretavano pallanuotisti, recitare… Una fatica immane!”.
Il regista ci tiene a dire due parole sull’amnesia di cui soffre il protagonista, Michele Apicella, suo storico alter ego giunto, proprio con questo film, alla sua ultima apparizione. “Ho scelto un’amnesia perché mi sembrava che la Sinistra italiana avesse un problema con la memoria e il passato. E un’altra cosa che mi è venuta in mente — probabilmente riprendendola da qualche critica francese… Forse il protagonista soffre di amnesia perché io non volevo ripetere sempre la stessa parte. E quindi gli altri personaggi che mi ricordano chi sono, vogliono che io ripeta sempre lo stesso ruolo! Mi sono divertito a costruire Michele film dopo film. In lui c’erano elementi che facevano parte della mia vita. E poi ci sono caratteristiche sue che mi sono anche divertito a portare avanti, come l’ossessione per le scarpe, per i dolci, la rissosità e l’amore per la lingua. Ma ora mi viene da parlarne al passato, perché sono passati molti anni. Tipo il mio ultimo film, Mia madre, non ha nulla a che fare con Michele”.
Moretti è un grande affabulatore e ogni aneddoto assume i contorni di un’epica. Ispirato da una domanda del pubblico sul cameo recitato nel film dal regista cileno Raul Ruiz, Moretti racconta. “Mi capitò di vedere un suo film che mi piacque, Dialoghi degli esiliati, in cui Ruiz prendeva affettuosamente in giro gli esiliati cileni a Parigi. Mi stava simpatico e gli chiesi di interpretare una piccola parte nel mio film. Ma quando arrivò sul set, non avevo ancora scritto la sua parte. Glielo dissi, e lui tornò al suo hotel. Quando poi si ripresentò sul set mi disse: ‘Mi sono scritto la parte. E metà del mio prossimo film’”.
Moretti prosegue con un mix di ironia e romanesco che conquista i tanti italoamericani in sala. “Spesso chiamo a recitare attori non professionisti. E’ una sfida che trovo molto stimolante. Anche per i pallanuotisti presenti nel film. E la pallanuoto non è come giocare ar tennis. O nuoti e giochi, o affoghi”. E ritorna sulla grande fatica che Palombella rossa gli costò. “Più della metà del film è stata girata di notte, e le nottate sono state faticosissime. Le abbiamo girato in novembre, e cominciava a fare freddo. Il vapore che si creava fra acqua ed esterno impediva di riprendere i giocatori. Allora abbiamo dovuto abbassare la temperatura dell’acqua, con il pubblico che gridava ‘Moretti, Moretti, volemo li cornetti!’”.
Moretti continua a ruota libera. “Inoltre ho fatto delle scoperte in merito al tempo che deve trascorrere dalla fine del pasto al nuoto. Da bambino ti dicevano due ore. Da adulto ho deciso che l’intervallo dovesse essere di un’ora e tre quarti — forse perché è la durata media di un film? Chissà. Quando giravamo, facevamo pausa alle 11 di sera. La troupe si era stufata dei cestini e si era organizzata in due cucine rivali: gli elettricisti, che si avvalevano delle sarte, e gli addetti alla fotografia. Io, in quanto regista, ero l’unico che aveva la facoltà di accedere a entrambe le cucine. Ma poi bisognava tornare in acqua… Quindi ho scoperto che il tempo che deve trascorrere tra il pasto e l’ingresso in acqua poteva essere anche zero”.
Dopo una risata collettiva, si ritorna seri, o semi-seri. Qualcuno gli chiede se i suoi film sono personali. “Se non fossero personali, mi sparerei, considerando anche il fatto che sono pochi! E’ personale anche il modo in cui racconto. Per il mio lavoro da regista è sempre stato importante il mio ‘lavoro’ da spettatore. Da ragazzo avevo un modo attentamente arido di vedere film. Non mi emozionavo. Ero attento al rigore formale, che poi cercai di riportare nei miei primi film. E il rigore poteva anche risultare in rigidità. Poi un giorno mi capitò di vedere La femme d’à côté di Truffaut, senza aver letto alcuna recensione prima. Il film finisce con un omicidio-suicidio. E rimasi incollato alla poltrona, non me lo aspettavo minimamente. Ecco, da allora ho cominciato a cercare di emozionare il pubblico e di lasciarmi andare. E qui arrivo a Palombella rossa… Notai che negli anni ’80 c’era la tendenza, nel cinema italiano, all’accademico, al convenzionale: si raccontavano benino storie raccontate molto meglio già trent’anni prima. Insomma, si faceva il compitino ben fatto. Questo lo notai da spettatore. Da cineasta, non volli raccontare l’ennesima crisi dell’ennesimo comunista. Volevo raccontare in maniera più libera. Ma non so spiegare tutto… Se mi chiedessero perché Michele canta, be’, non lo so. Non so spiegare il perché di certe scelte. Posso solo dire cosa mi piace, o come certe scene sono nate. Ma non so perché. Tipo la comparsa della figlia dal nulla, senza spiegazioni. Uno sceneggiatore tradizionale avrebbe spiegato, in qualche modo, la sua apparizione. Io no. E non chiedetemi chi sono i due ossessivi con i dolci perché nemmeno quello so!”. E continua, “Per Bianca e La messa è finita, ovvero i due film che feci dopo aver visto quello di Truffaut, chiamai due sceneggiatori a lavorare con me. Ma Palombella rossa è così personale che potevo scriverlo solo da solo”, per concludere con, “Fin da quando ho cominciato a girare filmati in superotto, mi sono venute naturali tre cose: stare davanti alla camera da presa come corpo (in linguaggio critico si chiama così), parlare del mio mondo politico, e farlo con ironia. Ma non c’è un programma estetico dietro questa scelta”.

Interrogato sulla famosa scena dei cartelli galleggianti nella piscina, Moretti spiega. “La piscina è stata riscenografata dal mio scenografo. Volevo prendere un po’ in giro la pubblicità — del resto ogni volta che prendi in giro qualcosa, prendi un po’ in giro anche te stesso. E volevo farlo a un livello stilisticamente più alto, per questo non ci sono marchi riconoscibili degli anni ’50. Per questo il rosa e l’azzurro, che rimandano alla piscina stessa”. E in merito alla lingua, visto anche il contesto della Settimana della Lingua Italiana nel Mondo, il regista afferma: “Non mi piace quando siamo linguisticamente pigri e usiamo parole di gergo per sentirci superiori. Mi piace un uso pulito e non pigro della lingua”.
Dopo la proiezione di Palombella rossa è il turno di Aprile, preceduto dall’introduzione di Nanni. “Dopo Caro diario avevo scritto un soggetto doloroso, ma la mia vita stava andando da un’altra parte: aspettavo la nascita di mio figlio. Allora ho accantonato il soggetto doloroso, che avrei poi ripreso per La stanza del figlio, e ho cominciato a girare con una troupe ridotta, senza sceneggiatura — e tutto è molto più agile se sei con una troupe ridotta, all’interno di un appartamento. Nell’aprile del 1996 sono successi due eventi: è nato mio figlio, e si vociferava che la Sinistra avrebbe vinto le elezioni… Aprile è un film che ho girato in maniera molto libera, a pezzi, senza una struttura tradizionale. Il senso del film è un po’ il contrario di quello che avviene sullo schermo. Nel film interpreto me stesso — non sono me stesso. E sembra che non abbia voglia di girare un documentario sull’Italia — mi distraggo continuamente, penso ai cappuccini, ecc. Il pubblico può ingenuamente crederci. Ma il risultato è l’opposto. In realtà fisso dei documenti filmati che mi interessa ricordare. Immagini che voglio ricordare a me stesso, come persona, non tanto come regista. Diffido dai registi che con i loro film vogliono cambiare la testa degli spettatori…”.

La retrospettiva si è chiusa sabato 21 ottobre, con la proiezione de Il caimano, il famoso film del 1997 su Silvio Berlusconi. Sul palco che l’ha visto protagonista per cinque serate, Moretti attacca così: “Peccato, è già finita la retrospettiva! Nei prossimi anni sarò meno lento. Farò più film. Così nel 2057, quando tornerò qui, la retrospettiva sarà più lunga”. A proposito del film, commenta, alludendo a Trump, con la solita irresistibile ironia. “Mi interessava far incontrare due personaggi lontani fra loro, Teresa e Bruno, che fanno scelte diverse. Teresa vuole fare il film su Silvio Berlusconi, che forse non conoscete… ma ora avete qualcuno di simile anche voi… Siamo stati all’avanguardia”, e aggiunge “Il caimano è il primo film in cui non sono protagonista. Non mi ci vedevo — e capii che stavo pensando a Silvio Orlando per quel ruolo. Mi faceva strano interpretare un personaggio come Berlusconi. Poi però, con un tuffo carpiato a doppio avvitamento, lo interpretai. Per attivare un corto circuito con il pubblico. Non volevo fare una parodia, o immedesimarmi”. Quanto alla genesi del film, “Avevo alle spalle film che erano andati bene, e che avevano avuto anche riscontri importanti, come la Palma d’Oro a Cannes per La stanza del figlio. Ma se uno si fissa sul successo internazionale finisce per fare film che non sono né carne né pesce. Quindi preferisco fare film personali, che possono piacere oppure no”.
Tornando a Il caimano, “La politica lì è vista attraverso il filtro del cinema. Ma non c’è solo quello, o Berlusconi. C’è anche l’aspetto della separazione di Bruno, che mi interessava raccontare”. Infine scherza — scherza? — sulla scena d’apertura del film, che può depistare lo spettatore: è una scena tratta da Cataratte, uno dei B-movie girati dal protagonista-regista Bruno, e vede per protagonisti un paio di attori un po’ speciali, Paolo Virzì e Paolo Sorrentino, che per altro finisce trafitto da una lancia. “Forse non ve ne siete accorti ma quei due attori sono due registi. Virzì è appena uscito con un film, Ella & John, che ha girato in America con Helen Mirren e Donald Sutherland. E Sorrentino… Sorrentino ha fatto un paio di film, mi pare… Nonostante l’abbia ucciso nel mio film. Nonostante l’abbia fatto uccidere nel mio film…”.
La platea ride. E anche Moretti. E per un cinefilo non esiste gioia più grande di condividere una risata con un regista ammirato, all’interno di una sala cinematografica.
Adesso non ci rimane che attendere il 2057, e ritrovarlo al Metrograph…