Sale le scale con calma. È in anticipo di qualche minuto. Entra nella sala. La osserva, fa un giro tra i posti a sedere e poi esce di nuovo. Mentre aspetta, guarda le fotografie alle pareti, un’esposizione di Marco Anelli. Indossa abiti scuri e sorride spesso. Rientra nella stanza della conferenza, ma manca ancora qualche minuto. Così incontra vecchi amici. E chiacchiera. Si confonde tra la gente. Gli ultimi entrano velocemente: per trovare posto a sedere gli passano accanto senza accorgersene. Il posto si riempie e non rimangono più sedie vuote. “E il lavoro come va? Tua figlia che fa?”, chiede a un uomo seduto di fronte a lui, in fondo alla stanza. Si conoscono da tempo, probabilmente. Ma non parlano di cinema o della conferenza. Poi si allontana e prende il suo posto. Su Park Avenue, il sole si addormenta tra i profili dei palazzi e la confusione delle macchine. Il caos, però, rimane fuori dalla sala. Nanni Moretti è seduto sulla poltrona, con un microfono in mano. Accanto a lui il linguista Giuseppe Antonelli.

Alle 6pm del 17 ottobre ci sono tutti, all’Istituto Italiano di Cultura. Una conferenza per parlare di lingua. E di scelte. L’occasione è la Settimana della lingua italiana, che dal 2001, celebra e onora l’italiano. Dal 16 al 22 ottobre. Sedici anni, diciassette edizioni, organizzate dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, insieme all’Accademia della Crusca, alla Società Dante Alighieri e con il sostengo della Confederazione elvetica. Rappresenta l’appuntamento più importante dedicato alla lingua italiana all’estero. Il tema del 2017, la produzione cinematografica. Titolo: “L’italiano al cinema, l’italiano nel cinema”.
“Questa è la settimana che aspetto di più. La aspetto per poter parlare italiano, finalmente. Per punizione, oggi, la mia voce è scomparsa”. Giorgio van Straten, il direttore dell’Istituto Italiano di Cultura, è il primo a prendere la parola e ad accogliere il pubblico e i suoi ospiti. Presenta Nanni Moretti, “che non ha bisogno di presentazioni”. Sceglie una parola precisa per definirlo. Non solo regista, ma autore, “che ha costruito un modo di guardare alle cose nel Paese. Profetico, a volte. Penso che la parola ‘autore’, sia il complimento migliore che si possa fare a qualcuno”. A introdurre il dibattito, però, è il professor Antonelli, che seziona e analizza, con ironia, garbo e meticolosità, i codici linguistici detestati dal regista romano. Che sorride spesso. Lo fa attraverso alcune scene celebri dei suoi film. Le chiamano idiosincrasie. Quella serie di mediocrità linguistiche che, a volte, improvvisamente, diventano di moda. E che non significano nulla. Banalità, la cui critica può diventare anche peggio, spiega il regista.
Il dibattito è intervallato da molte risate e pochi momenti di silenzio. “Oggi, però, Antonelli, vorrei usarti come esimio linguista ed esimio psichiatra per la mia malattia”, dice Moretti. Tutti, nella sala, ridono. Il primo video proiettato mostra la celebre scena tratta da “Palombella Rossa”, dove Michele Apicella, il protagonista del film schiaffeggia la giornalista per l’uso approssimativo e sgarbato di alcune forme linguistiche. Le parole sono importanti. E lo sono davvero, sottolinea il regista.
“Gli schiaffi, come i baci e le botte, nei film devono essere veri (in sala ridono, ndr). Mariella Valentini, l’attrice che ha interpretato con me quella scena, ha affrontato con grande dignità non uno ma più ciack. Un’eroina della lingua italiana, insomma”.
Criticità. Tempistica. Garantiamo un servizio H24. Io sono un uomo libero. Io non ho padroni. Sopracciglioso. Cheap. Malmostoso. Ma anche buonismo, politicamente corretto e politicamente scorretto. E non è un sport per signorine. Un elenco, divertito, di parole e modi di dire detestati dal regista. Che aggiunge: “Malmostoso, poi, viene utilizzato da persone anche peggiori di chi descrive quegli aggettivi. E poi, anche con questo ‘buonisimo’: sarà sempre molto meglio del ‘cattivismo’, no?”.

La rassegna continua citando “Sogni d’oro” ed “Ecce Bombo”, che il regista aveva pensato come “drammatico e, invece, scoprii di aver fatto un film comico per tutti: un equivoco meraviglioso che mi permise di fare altri film”. Poi, più seriamente, il regista spiega: “Quarant’anni fa non riuscivo a dire BR (riferendosi alle Brigate Rosse, ndr): mi sembrava di ovattare la realtà. Come non sono mai riuscito a utilizzare la parola gambizzare. Utilizzando questi termini mi sembrava di smussare la drammaticità. Oggi, la stessa cosa accade con ‘baby gang’: ti fa dimenticare la violenza che c’è dietro. La normalizza”.

E del linguaggio della politica, alla domanda di Antonelli su cosa lo colpisca, Moretti risponde: “L’incapacità di narrazione: non sono capaci di spiegare il perché, di una legge, per esempio. Mi viene in mente lo Ius Soli: non sono in grado di spiegare perché è così importante. Io trovo che questo sia un ritardo grave”. L’ultimo frammento video mostrato alla sala è un’altra scena, tratta da “Palombella rossa”: “Chi parla male, pensa male. E vive male. Le parole sono importanti. Trend negativo. Io non parlo così. Io non parlo così”. E a commento di questa scena, prima di congedare il pubblico, Moretti aggiunge e conclude: “Ci vorrebbe meno pigrizia nell’utilizzo della lingua”.
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