“Un livello di maturità registica sorprendente, fa sorridere ma invita anche a riflettere su un soggetto sensibile. Sfugge alla regola dell’opera seconda deludente!”: così il direttore artistico della recente 74esima Mostra del cinema di Venezia ha motivato la messa in concorso del tanto atteso film Una famiglia di Sebastiano Riso. Un giudizio su cui si può concordare in parte.
Segnalatosi nel 2014 con la sua opera prima, Più buio di mezzanotte (accolta con successo al Festival di Cannes alla Semaine de la Critique e vincitrice di numerosi premi), il regista catanese racconta di una coppia (lui Vincent, francese – Patrick Bruel -; lei Maria, romana e più giovane di lui di 15 anni – Micaela Ramazzotti) che per sopravvivere fa figli per venderli, a 50 mila euro, approfittando della complessità della legislazione italiana in tema di adozioni e con la complicità, anche, di medici senza scrupoli che fanno da mediatori.
“Esiste un mercato nero di bambini anche in Italia, come in molti Paesi del Terzo Mondo, che si tiene in piedi grazie a una fortissima richiesta: prova ne sono le numerose inchieste che si sono susseguite in questi ultimi anni dal Nord al Sud Italia”, ha spiegato Sebastiano Riso, che per la sceneggiatura – scritta anche stavolta con Andrea Cedrola e Stefano Grasso – si è ispirato anche a veri colloqui intercettati dal Procuratore Raffaella Capasso in alcuni casi giudiziari quando era alla Procura di Santa Maria Capua Vetere. Quindi un film “ispirato da storie vere”.
Una famiglia non parla comunque solo del mercato dei bambini, dell’utero in affitto, ma è anche un dramma sul vero significato della famiglia, sui suoi valori, immergendo lo spettatore, in modo sempre più spasmodico, in una relazione – vissuta in una Roma rarefatta, periferica e “non invadente” – profondamente malata da reciproca dipendenza, celata da una tranquilla quotidianità, da una serenità che nasconde però una mina pronta a scoppiare. Il progetto di vivere con i proventi della vendita dei figli – portato avanti con fermezza dal “duro imprenditore” Vincent e accettato da Maria solo per l’amore assoluto che prova per lui – inizia ad andare in pezzi quando lei, avvertendo che quella in corso, vista anche l’età, potrebbe essere la sua ultima gravidanza, manifesta il desiderio di formare un nucleo familiare tutto suo. Cosa scegliere? L’amore profondo per il partner o il proprio desiderio di famiglia anche se lui è contrario?
Senza soffermarsi troppo sui trascorsi personali dei personaggi – preferendo, a mio modesto avviso in modo dispersivo, alcune sequenze inutili alla storia, specie nella prima parte del film e riprese autoreferenziali, come, per esempio, il dolly che fa un inutile giro a 360 gradi nel cortile di casa – Sebastiano Riso preferisce che siano gli eventi a definire Maria e Vincent sul piano psicologico, senza parteggiare per l’uno o per l’altro, ma così facendo non è dato di capire, per esempio – cosa importante nel contesto del film e del personaggio -, perché Maria si sia assoggettata per anni al dominio psicologico di Vincent.
Risultato? Luci ed ombre. Una famiglia presenta con coraggio tematiche sociali e personali su cui riflettere profondamente, una recitazione di Micaela Ramazzotti e Patrick Bruel (nella vita, affermatissimo in Francia come attore, cantante e compositore) davvero intense, magistrali, ma nello stesso tempo “si perde”in personaggi collaterali per certi versi irreali, caricature, come il ginecologo o la coppia gay interessata a comprare un bambino.
Alle possenti interpretazioni della Ramazzotti e di Bruel, c’è da aggiungere quella, marginale ma riuscita, di Matilda De Angelis (attrice, cantante, musicista e paroliere sempre più apprezzata), qui nei panni di una prostituta tossicodipendente che il lungimirante Vincent, dopo il rifiuto di Maria a vendere il figlio, aiuta con l’obbiettivo di sfruttarne parte dei proventi e continuare senza scrupoli nel suo lavoro di trafficante di bambini.