Un film più volte definito filosofico dalla critica, nonostante l’etichetta di “giallo” che il regista ha deciso di dargli. Un film che, al di là delle definizioni, pone degli interrogativi che hanno a che fare con le categorie filosofiche per eccellenza, aggiungendo qualcosa in più: il mistero della fede che fa da specchio al mistero della finanza, il suicidio che diventa morte sacrificale, l’economia che entra in crisi perché ha finito le formule e non sa leggere le emozioni umane.
Le confessioni di Roberto Andò – che sicuramente di filosofico ha il titolo, ispirato a Sant’Agostino – riflette su tutto questo e su molto altro, con tatto e senza retorica. Uscito nelle sale italiane ad aprile 2016, il film di Andò è stato presentato alcuni giorni fa a Open Roads: New Italian Cinema, il festival del cinema italiano che si tiene al Lincoln Center da più di quindici anni.
Roberto Andò ha alle spalle una carriera vastissima, fatta di regie teatrali e cinematografiche, di letteratura e di incontri importanti e negli ultimi anni è stato direttore artistico delle Orestiadi di Gibellina nella sua Sicilia, del Festival sul Novecento di Palermo e dal 2014 è direttore didattico della sezione documentari al Centro Sperimentale di Cinematografia.
Nato a Palermo nel ‘59, Andò ha avuto un esordio precoce nel mondo intellettuale, grazie alla profonda amicizia che lo legava con Leonardo Sciascia – il suo mentore – e alla sua intraprendenza giovanile: da giovanissimo ha fatto da assistente a Francesco Rosi, che considera il suo maestro, a Federico Fellini in La nave va, a Michael Cimino in Il siciliano e a Francis Ford Coppola in Il padrino III. Dopo un esordio teatrale nel ‘68 con un testo inedito affidatogli da Italo Calvino, La foresta-radice-labirinto, nel 1994 si è messo alla prova con la regia cinematografica in Memory-Loss dedicato a Robert Wilson e con Per Webern: 1883 – 1945. Vivere è difendere una forma, entrambi in mostra a Venezia nel ‘96.
Nel 1995 ha realizzato Diario senza date, un docu-film inizialmente commissionato dalla Rai che poi è diventato un vero e proprio film su Palermo, in cui diverse figure note e meno note, tra cui Sciascia, raccontano la loro città in un film in cui al reportage si mescola la finzione. Nel 1999, spinto dal regista Giuseppe Tornatore, che aveva apprezzato il suo precedente lavoro, è arrivato al cinema con Il manoscritto del principe, un film sugli anni in cui Tomasi di Lampedusa scrisse Il Gattopardo e sul suo rapporto turbolento con l’allievo Francesco Orlando. Questa opera prima ha vinto i Nastri d’Argento come migliore produzione, il Premio Fellini e il Premio Sergio Leone per la regia e ha ricevuto una nomination ai David di Donatello. Da allora Andò è tornato a fasi alterne alla regia teatrale, collezionando degli importanti sodalizi creativi con attori del calibro di Moni Ovadia, ed è tornato a Venezia nel ‘98 con Ritratto di Harold Pinter. Nel 2002 il Centro Sperimentale di Cinematografia gli ha affidato il documentario Francesco Rosi, il cineasta e il labirinto, presentato al Campidoglio per gli 80 anni di Rosi. Nel 2006 ha realizzato Sotto falso nome, un noir sulla creazione e sulla scrittura presentato alla Semaine de la Critique di Cannes e nel 2006 ha girato Viaggio segreto, tratto dal romanzo Ricostruzioni di Josephine Hardt. Nel 2012 ha vinto il Premio Campiello come opera prima con il romanzo Il trono vuoto, da cui ha tratto la sceneggiatura di Viva la libertà, una commedia brillante sulla crisi della politica interpretata da un doppio Toni Servillo, nei panni di due gemelli diversi. In linea con le riflessioni sul potere, ha realizzato, nel 2016, Le confessioni, un giallo internazionale in cui la grande finanza si scontra con un evento inaspettato e tragico e con l’arrivo di un monaco italiano, che con il suo silenzio e con la sua sobrietà mette scompiglio nel gruppo di economisti.

Girato in un albergo sul Mar Baltico in cui alcuni anni fa si è tenuto davvero un meeting finanziario importante, Le confessioni mette in scena un incontro del G8 alla presenza del direttore del Fondo Monetario Internazionale, interpretato da Daniel Auteuil, finalizzato alla ratifica di una manovra finanziaria senza precedenti, a danno di alcuni Paesi del mondo. Roberto Salus, il monaco invitato al meeting insieme a una scrittrice di libri per bambini e a una rockstar, è l’unica figura fuori posto nel mosaico umano raccontato da Andò: tutti gli altri personaggi (compresi i testimonial pop) sono ispirati ai reali incontri del G8. Il film di Andò, con la scelta rivoluzionaria e controcorrente di inserire una figura spirituale nella “fossa dei leoni”, sembra chiedersi l’impossibile: cosa succederebbe se in uno dei meeting della finanza mondiale facesse irruzione un monaco, testimone di uno dei momenti più inspiegabili della storia dell’economia – cioè il suicidio di un direttore di banca? E cosa succederebbe se, in virtù del segreto della confessione, il monaco decidesse di non collaborare? Il film parte da questa domanda e si sviluppa in un climax di irrealtà, in cui tutto l’impossibile accade: gli uomini potenti si uccidono, gli oggetti scompaiono misteriosamente, gli animali hanno una coscienza etica, le persone appaiono e scompaiono e le formule matematiche improvvisamente smettono di essere utili ai calcoli e fanno riflettere. Un progetto che ha beneficiato della scrittura di Angelo Pasquini, con cui Andò ha scritto anche Viva la libertà, la fotografia di Maurizio Calvesi, vincitore dei Nastri d’Argento con questo film, della musica del maestro Nicola Piovani e di un cast d’eccezione composto da Toni Servillo (nei panni del monaco), Daniel Auteuil, Connie Nielsen, Pierfrancesco Favino, Lambert Wilson, Marie-Josée Croze e Moritz Bleibtreu.

Abbiamo incontrato Roberto Andò al Lincoln Center di New York in occasione della proiezione del suo film a Open Roads e abbiamo chiesto a lui di raccontarci tutto questo.
Com’è nata l’idea di realizzare un giallo internazionale sul mondo dell’alta finanza?
“Le idee nascono sempre in modo improvviso però segnano un rapporto con certe cose che ti colpiscono nel tempo. Evidentemente a me nel tempo ha colpito molto l’aspetto misterico che ha assunto l’economia: l’economia, cioè, si pone sempre – si è posta, perchè adesso ha alcune difficoltà in più a farlo – in modo quasi teologico. E questo mi ha colpito non tanto perché ha scavalcato la politica, quanto per i rapporti umani che crea. ‘Come reagiscono queste persone messe a contatto con un evento inaspettato e tragico e con un visitatore che in qualche modo li costringe a elaborare questa vicenda tragica in modo diverso? Come rispondono umanamente?’ Mi interessava mettere in un acquario dei tipi precisi e vedere come si comportano in una certa condizione. Una sorta di esperimento. Però lo spunto è realistico, perché durante la scrittura e l’ideazione del film, mi sono avvalso della collaborazione di alcune persone che fanno questo lavoro. Per esempio di una persona che in Italia ha fatto tutti i G8, anche durante l’epoca Prodi e di Berlusconi. Molte volte capita che ci siamo nei meeting finanziari degli ospiti che sono testimonial, spesso sono le rockstar, perché hanno l’ingenuità di cambiare il mondo con un pacchetto di sogni, però hanno anche la testardaggine di fare casino, perché se vogliono dare fastidio possono, come fece Bono degli U2 una volta in una conferenza stampa. E quindi sono costretti a convocarli ogni tanto. Dentro questo realismo ho inserito un personaggio che non è mai stato convocato, perché non credo che un monaco abbia mai preso parte a un meeting del genere, e l’ho immaginato come un personaggio che mi desse soddisfazione. Mi piaceva che fosse un personaggio che non fosse del paesaggio umano che conosciamo sempre e che non rispondesse al linguaggio dell’ipocrisia culturale, sia di sinistra che di destra (anche perché è difficile cogliere le differenze). Allora mi piaceva l’idea che fosse un alieno, un marziano. ‘Com’è oggi un marziano?’ Io me lo sono immaginato così: uno che viene da una scelta molto precisa, di sofferenza e di povertà. I monaci ricercano un’intensità, che oggi non ricerca più nessuno. E quindi sono portatori di una vibrazione e di qualcosa di molto diverso. Intorno a questo personaggio centrale è nata l’esigenza di raccontare il potere con una faccia diversa, sempre come in Viva la libertà legato alla sua difficoltà: il potere è in difficoltà, non sa rispondere però è sempre più arrogante. In quella riunione lì si deve approvare una grande manovra ma vediamo come queste persone reagiscono al tradimento di uno di loro, come reagiscono al suicidio: si dice che ci si suicida sempre contro qualcuno, no? Anche lui si suicida contro qualcuno e siccome lo fa lì, lo fa contro di loro. La partenza è mettere insieme dei mondi diversi. E sotto c’è un pensiero: il francescanesimo di quest’uomo.

Negli ultimi vent’anni ci hanno detto che non abbiamo alternative al nostro modello economico, al liberalismo, al globalismo. Poi improvvisamente si è scoperto che il globalismo non poteva funzionare, che l’iniquità cresceva dappertutto, il dislivello ha creato tutto quello che ha creato, compreso il terrorismo, che è una risposta a questo, e a un certo punto se ne sono resi conto. Si è rotto il fronte compatto degli economisti. Alcuni di loro hanno cominciato a prendere posizioni diverse. Allora questa parola magica che ci è stata detta ‘Non ci sono alternative’ non funziona. Questo monaco per me è un’alternativa, quello che rappresenta una scelta di quel tipo è un’alternativa, lo stare accanto agli altri con quei valori. Non ha niente a che fare con la Chiesa, lo considero un individuo. Certo, quando ho presentato il film in America Latina ovviamente loro hanno riportato tutto a Papa Francesco. Che da una parte è condivisibile: Papa Francesco è l’unico uomo politico del nostro tempo, secondo me”.
È passato un anno dall’uscita del suo film e a livello politico sono successe molte cose…
“Da un lato è cresciuto l’egoismo e l’illusionismo politico. Trump è votato dai poveri, che è la cosa più paradossale. C’è una specie di gioco di prestigio per cui un certo tipo di conservatorismo secondo me micidiale, egoistico, che ha un fondamento culturale egoistico, oggi si propone come alternativa a quegli errori di cui parlavamo prima, della destra e della sinistra, all’incapacità di elaborare una risposta a quegli errori, e diventa in Gran Bretagna la Brexit, qui in America Trump, in Italia ci sono molti modi di dirlo, che corrispondono a quello che noi definiamo populismo. Il populismo dà delle risposte semplificate a dei problemi complessi. Quando ho finito Le confessioni sono rimasto sbigottito perché la situazione reale era diventata quella, noi vedevamo giorno per giorno il declino: la Grecia per prima. Adesso c’è stato il G7 in Sicilia che ha visto la posizione isolata di Donald Trump e la necessità di distinguersi. Mentre per vent’anni hanno fatto tutti lo stesso gioco, nessuno ha mai detto una cosa diversa, accodandosi alle banche e ai grandi gruppi, adesso è come se si sentisse la necessità di ritrovare il senso della politica. Fare politica, non aspettare che l’economia ci dica come muoverci, che ci dia la ricetta. Fare politica che significa fare delle scelte. Questo Trump è talmente furbo che ha usato degli argomenti veri, dando delle risposte semplificate e volgari, però gli argomenti sono veri. Lui rivendica anche il fatto di non dover essere globale, di tornare alla patria: non sono temi stupidi, ma che lui usa all’insegna di un egoismo che la gente non percepisce”.
Oggi la speranza di cambiamento augurata ne Le Confessioni può ancora trovare un riscontro nella realtà? Che film politico farebbe oggi?
“Sicuramente qualcosa si è messo in moto, ma le conseguenze non si sono ancora del tutto realizzate. Trump è un’estrema conseguenza, La Brexit anche, la Grecia è un paese perduto, l’Italia è sotto scacco e continua a esserlo, perché è un paese che ha dei problemi strutturali. Matteo Renzi ha cercato di avere una voce diversa, ma ha fatto mille errori e quindi la situazione oggi è quella. Però è difficile dare una risposta su quale film politico farei oggi, non lo so. Ne faccio uno adesso a settembre, che ha degli aspetti completamente diversi, folli. Sarà un film sul mio mestiere, sul modo che ha l’artista di rispondere alla realtà, un film liberatorio e divertente per me. Invece Le confessioni è un film che nonostante avesse questo personaggio che dà speranza ed esercita una buona azione – e per questo mi faceva infuriare il confronto con Todo Modo di Sciascia perché lì il prete è cattivo, è l’architetto del male – Roberto Salus invece è diverso. Mi sono preso la responsabilità, in un’epoca in cui tutti fanno le “gomorre”, di immaginare un personaggio che mi dà speranza. È molto più difficile oggi immaginare il bene di quanto non sia facile invece cavalcare il male: basta mettere un camorrista, è stupendo. Abbiamo serializzato il male.

Roberto Salus nasce come personaggio italiano, io me lo immagino come la risultante di tutta una serie di solitudini interessanti che l’Italia ha prodotto, anche il pensiero religioso – il monaco investe la sua vita in Dio, in risposta al Direttore del Fondo Monetario che parla sempre come se tutto fosse suo, il monaco dice ‘Non sono neanche proprietario della mia vita’. È vero che i monaci fanno questo svuotamento che un po’ come quello che fanno i monaci orientali. Quello che è interessante è che questo monaco rimette al centro l‘uomo. Io e Toni Servillo abbiamo letto tanti libri durante la lavorazione del film, e uno dei più interessanti è quello di un giornalista che ha fatto un viaggio nei monasteri italiani chiedendo ospitalità, quindi ha fatto la vita dei monaci in quel periodo e così si è fatto un’idea di com’è il mondo umano di quei posti. Per esempio in Calabria c’è l’unico monastero certosino d’Italia, dell’ordine di Roberto Salus nel film, l’Abbazia di San Cassiano, e il priore è un ex avvocato penalista siciliano che a un certo punto ha smesso di lavorare, si è ritirato in una vita spirituale che lo ha portato a farsi monaco e poi priore. Ce ne sono tante di persone che fanno una seconda vita, alcuni sono manager addirittura. Di certo non invito il pubblico a fare questa scelta, ma a riflettere. La cosa interessante è il non accontentarsi, aver voglia di un’intensità. Il senso politico del film per me è quello: una personalità che restituisce questa prospettiva. Il film ha avuto un grande consenso in Italia e soprattutto ho sentito l’amore per questo personaggio. La gente lo ha accostato a Papa Francesco e non alla Chiesa ufficiale, perchè incarna i valori antichi del Cristianesimo.

L’importanza dei maestri, la trasmissione dell’esperienza che lei ha avuto ha sicuramente influito nella sua formazione…
“Sì è verissimo, è fondamentale. Però io me li sono andati a cercare. Vivevo a Palermo e a un certo punto sono andato a cercare Sciascia, con cui poi si è stabilito un rapporto di amicizia. Questa cosa per me era un punto importante. Così come a 19 anni ho chiesto a Francesco Rosi di fare l’assistente volontario su un suo set. Certamente le condizioni del maestro sono molto meno possibili oggi, tranne che in una dimensione non istituzionale. Deve nascere da te, devi avere anche la fortuna di essere accolto, però secondo me è fondamentale andare a cercare i maestri. La mia generazione era quella che aveva deciso di non avere maestri, quindi ero in controtendenza rispetto agli altri. Sono convinto che la mia esigenza nasca dal fatto che sono un uomo del sud quindi nato in una realtà particolarmente complessa e caotica e la ricerca di punti di riferimento è stato un modo per rispondere al caos. A me la letteratura di Sciascia ha chiarito il rapporto con il luogo in cui sono nato e nei suoi scritti ho trovato una risposta alle cose che ritenevo incomprensibili. Questo desiderio è nato dal caos.
Il suo film parla tre lingue diverse, che trasmettono diversi livelli di potere, ma con il doppiaggio italiano tutto questo si perde…
“Se il film fosse circolato in lingua originale in Italia non avrebbe avuto il successo di pubblico che ha avuto, perché il nostro pubblico deve gradualmente arrivare alla lingua originale. A Roma ci sono solo due sale per i film in lingua originale”.
Guarda il trailer di “Le confessioni”: