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December 17, 2015
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December 17, 2015
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Anche New York celebra Dante

Mauro LucentinibyMauro Lucentini
Time: 4 mins read

Era la fine degli anni Venti del XIV secolo e Dante Alighieri, poeta fiorentino in esilio dalla sua città natale perché accusato di malversazione e per ragioni politiche, stava abbordando la parte finale di un suo immenso poema sulla vita nell’al di là quando, vinto dalla nostalgia della sua città natale, ne cominciò uno degli ultimi canti con questi versi pieni di speranza: “Se mai continga (avvenga) che il poema sacro / al quale ha posto mano cielo e terra, / sì che m’ha fatto per più anni magro, / vinca la crudeltà che fuor mi serra / dal bell’ovile ove io dormì agnello (…), ritornerò poeta, ed in sul fonte / del mio battesmo prenderò cappello”, cioè la corona d’alloro. Ma Dante in realtà a Firenze non poté tornare mai, non solo per la crudeltà dei suoi avversari, ma perché solo pochi mesi dopo, nel 1321, era morto, probabilmente di malaria, a 56 anni.

Se la sua speranza di ritornare al suo “bell’ovile”, tuttavia, non poté essere realizzata, quella di essere incoronato d’alloro non solo come poeta, ma come il massimo poeta italiano e come uno dei più grandi artisti nella storia umana poté certamente essere realizzata, non solo grazie all’ammirazione concorde di tutte le seguenti generazioni, ma anche figurativamente, perché in tutte le innumerevoli rappresentazioni pittoriche che ne sono state fatte attraverso i secoli egli compare quasi sempre con una corona d’alloro. Dante stesso sarebbe stato probabilmente sorpreso di sapere che questa sua figurazione in veste di supremo poeta si sarebbe diffusa non soltanto in tutto il mondo conosciuto da lui e nella sua stessa Commedia dentro i confini ritenuti insuperabili delle Colonne d’Ercole, ma anche in un mondo nuovo e ancora più vasto che sarebbe stato scoperto, in buona parte da italiani, nei secoli successivi a lui.

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L’inaugurazione della mostra all’Istituto di Cultura di New York

Tra queste rappresentazioni una delle delle più meravigliose (dopo quella di Raffaello nel Parnaso delle Stanze) è il cosiddetto Ritratto allegorico dipinto due secoli dopo la morte del poeta da un altro grande artista toscano, Agnolo di Cosimo detto il Bronzino. Il ritratto è conservato alla Galleria degli Uffizi, ma proprio in questi giorni è arrivato a New York per essere esposto all’Istituto Italiano di Cultura. Incominciata a metà dicembre con una festa nelle sale dell’Istituto sulla Park Avenue, la mostra newyorchese è tra le ultime e la più bella delle varie celebrazioni tenutesi, anche in questo continente, nel 2015 in occasione del 750° anniversario della nascita del poeta.

Il quadro del Bronzino è detto “allegorico” perché ci sono vari riferimenti simbolici a Firenze e alla vita del poeta, e tra questi ultimi, proprio le famose pagine iniziali del canto venticinquesimo della Commedia, il canto detto “della speranza”, in cui Dante immagina il suo ritorno e la sua incoronazione.

Nel ritratto il poeta è raffigurato di profilo, con una espressione ineffabile di ansietà e di fierezza, mentre contempla, al di là del mare, il monte cantato nel suo Purgatorio; sotto la mano destra tiene aperto il suo manoscritto, su cui sono meticolosamente riprodotte le famose terzine. Il dipinto, un olio su legno in forma di lunetta perché avrebbe dovuto decorare la porta di una camera (poi mai realizzata) nella villa di un committente fiorentino, è una delle più splendide opere di Bronzino, questo grande esponente del manierismo italiano le cui sottilissime (e irriproducibili) giustapposizioni di colori (tra cui, in questo dipinto, un meraviglioso rosa corallo sparso sopra l’orizzonte), le forme levigate immobili nello spazio, le misteriose e sensuali espressioni delle figure rappresentano un’anticipazione di molta arte moderna, talvolta ai confini con l’astrazione.

L’esposizione newyorchese è stata dovuta a un’eccellente iniziativa personale del nuovo direttore dell’Istituto di Cultura, Giorgio van Straten, ed è stata abilmente curata da Elena Carrara, già conservatrice associata del Metropolitan Museum of Art. Nella giornata successiva all’inaugurazione – una delle feste più gremite di gente mai viste nel palazzetto al centro di Manhattan – ha fatto seguito il giorno dopo, sempre nell’Istituto, una lettura dantesca tipo maratona, in cui, per sei ore, un gruppo multilingue della cosmopolita popolazione newyorchese, capeggiato dall’attore John Turturro, ha letto tutti e 34 i canti dell’Inferno, di cui, per sottolineare il richiamo universale dell’opera di Dante, diciassette letti in italiano da altrettanti ammiratori del poeta e diciassette in altre lingue in cui la Divina Commedia è stata tradotta nel mondo.

La mostra del dipinto si chiude il 15 gennaio.

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Mauro Lucentini

Mauro Lucentini

Sono nato e vissuto a Roma che però ho abbandonato più di mezzo secolo fa per fare il giornalista in varie parti del mondo. Ne ho tratto una specie di complesso di colpa nei confronti della mia città natale, complesso che ho un po’ alleviato scrivendo da lontano una Grande Guida di Roma, che si vende in diverse lingue in diversi paesi. A New York venni per rimanerci tre o quattro anni, invece ci incontrai la ragazza più carina e dolce del mondo così ci sono rimasto, mettendo su, come si suol dire, famiglia. Lei però, pur essendo tanto più giovane di me, è poi scomparsa come un fiorellino che muore. In questa lunga carriera, cominciata quasi da bambino, ho sempre scritto sia di politica che di arte e di questo non mi pento.

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