“Quando chiedo agli studenti perché scelgono di studiare l’italiano, tutti mi rispondono che è perché vogliono visitare il paese. L’Italia è il primo paese al mondo per siti Unesco, ma non solo. È anche il paese che più soddisfa i parametri per l’assegnazione del bollino Unesco. Per tutti questi motivi l’Italia è la prima scelta degli studenti americani che decidono di svolgere un periodo di studio all’estero”.
Esordisce così Teresa Fiore, Inserra Endowed Chair in Italian and Italian American Studies della Montclair State University del New Jersey, nel corso della conferenza sui siti Unesco in Italia, organizzata in occasione del settantesimo anniversario della fondazione dell’organizzazione. Insieme a le, sul palco, c’erano anche Ricardo De Guimarães Pinto, Liaison Officer dell’Unesco all’ONU, e Deborah Chatr Aryamontri, ricercatrice associata al Center for Heritage and Archaeological Studies.
Il Liaison Officer, Pinto, ha parlato delle sfide che l’Italia quotidianamente deve affrontare per proteggere i siti Unesco. “L’Italia è passata attraverso molte difficoltà per difendere i beni culturali. Pensiamo alle guerre e in particolare alla distruzione portata dalla Seconda Guerra mondiale, o alle calamità naturali come l’alluvione di Firenze del 1966 e il terremoto che ha distrutto l’Aquila nel 2009. Tutti questi avvenimenti hanno rappresentato un rischio enorme per il patrimonio culturale italiano, ma il bel paese continua a cercare soluzioni a questi problemi. Una di queste è il progetto MOSE, promosso per difendere la laguna veneziana dal pericolo costante delle alluvioni: un’opera ingegneristica e idraulica nella quale gioca un ruolo fondamentale un braccio elettrico posto alle tre bocche di porto che, sollevandosi in caso di alta marea, evita l’entrata dell’acqua nella laguna”.
Il progetto, che nel nome si riferisce anche all’episodio biblico di Mosè che separò le acque del Mar Rosso per portare in salvo la popolazione ebraica, è sfortunatamente balzato agli onori della cronaca nel 2014 più per gli scandali di corruzione legati agli ambienti politici veneziani che per la sua portata storica, rischiando di trasformarsi nell’ennesimo Ponte di Messina. “L’Unesco – ha aggiunto Pinto a tal proposito – sta aiutando Venezia a preservare la sua laguna, ma se un sito fa parte dell’Unesco, non è detto che debba rimanerci per sempre”.

Un momento della conferenza alla Montclair University
L’Unesco, infatti, prevede tre livelli di “attenzione” per i siti. Il primo è la messa sotto stato di osservazione, quando non si rispettano i parametri di tutela e preservazione del sito. Il secondo è la messa in mora e il terzo l’espulsione dai luoghi sotto tutela. Pinto ha portato come esempio il caso Dresda, primo sito in Europa a perdere lo status di patrimonio dell’Unesco nel 2009, in occasione della costruzione di un ponte, per altro osteggiata a lungo dai cittadini, per decongestionare il traffico.
Deborah Aryamontri ha invece parlato della gestione di quattro siti in particolare: Pompei, Villa Adriana, Villa Romana del Casale e la Valle dei Templi. Tutti legati da una storia in comune, fatta di sfide, ma anche di successi, tardivi forse, ma certamente esemplari. La Valle dei Templi, ad esempio, è in preda all’abusivismo edilizio da diversi anni. Le prime costruzioni all’ombra della Valle sono cominciate a emergere all’inizio degli anni ’90. Nel maggio del 2015 la l’Autorità Giudiziaria di Agrigento ha intimato al Comune e all’Ente che si occupa della soprintendenza del sito di dare esecuzione alle sentenze emesse e rese esecutive tra il 1992 e il 1999 che disponevano l’abbattimento degli immobili abusivi. Le demolizioni sono quindi iniziate nell’agosto del 2015 e sono continuate nel mese di settembre e ottobre. La maggior parte degli immobili abusivi, inoltre, sono stati rimossi proprio dagli stessi proprietari. Grazie a questi interventi e al lavoro dei magistrati, la Valle dei Templi sembra essere finalmente in salvo dalle mire di chi rovina il patrimonio artistico nazionale a spese dei cittadini. “Insomma – ha detto Aryamontri – tante sfide, ma anche qualche lieto fine”.
In effetti, negli ultimi anni, l’Italia sembra aver acquisito la volontà politica per preservare il proprio patrimonio culturale. È dello scorso settembre la decisione di avviare un’iniziativa tutta made in Italy per preservare i beni culturali in zone colpite da guerre o calamità naturali. L’operazione, presentata da Renzi nel corso della settantesima Assemblea Generale dell’ONU, sarà condotta da un apposito reparto dell’Arma dei Carabinieri, composto da esperti militari e civili. Recenti anche gli interventi di restauro di alcuni dei monumenti nazionali più iconici grazie a investimenti privati, arrivati, tra gli altri, da Tod’s, Bulgari e Ferragamo. Per l’ultimo intervento, che si è concluso qualche settimana fa, dobbiamo ringraziare Fendi, che ha reso di nuovo agibile la Fontana di Trevi, dopo un anno di lavori. In questi mesi, per i cittadini romani e per i turisti, è stata una vera sofferenza passeggiare per i vicoli di Roma, arrivare dopo tanta strada al Fontanone e vederlo coperto da pannelli di vetro e impalcature. Ma ne è valsa la pena e la riapertura delle acque è stata come un battesimo, quello dell’Italia che cede, ma che se vuole sa riemergere.