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November 25, 2015
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Il 25 novembre all’ONU: non c’è pace se la donna subisce violenza

Silvia ScaramuzzabySilvia Scaramuzza
Time: 3 mins read

Come ogni anno, oggi, 25 novembre, al Palazzo di Vetro si è celebrata la giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Secondo un’indagine condotta dall’ONU, una donna su tre al mondo subisce violenze fisiche o sessuali nell’arco della propria vita. 133 milioni di donne hanno subito mutilazioni genitali femminili e circa 750 milioni si sono sposate quando erano ancora bambine.

Nel corso della conferenza tenutasi mercoledì mattina, Ban Ki-moon ha espresso la propria preoccupazione riguardo ai crimini atroci commessi in ogni parte del mondo contro le ragazze e le donne, perpetrati non solo in zone di conflitto ma anche all’interno delle mura domestiche. Il Segretario Generale ha posto l’accento sul fatto che “questi crimini non rappresentano meramente atti casuali di violenza o generati da conflitti regionali, quanto piuttosto un tentativo sistematico di sottrarre alle donne il diritto fondamentale di avere il controllo sul proprio corpo”. Per questo motivo, ha detto Ban Ki-moon, “non dovremmo preoccuparci solo dell’estremismo dilagante in varie parti del mondo, ma dovremmo anche sforzarci per permettere alle donne di avere il controllo sulle loro vite”.

Come ha fatto notare Ban Ki-moon, “la violenza contro le donne esiste anche in paesi dove c’è la pace. Il femminicidio, lo stupro, la mutilazione genitale femminile, il matrimonio in età precoce e la cyber-violenza sono i modi in cui questa violenza viene perpetrata, traumatizzando le ragazze sin dalla tenera età e costringendole a vivere ai margini della società”. Per cercare di mettere un freno alla violenza sistematica contro le donne, l’ONU, ha sottolineato Ban Ki-moon, “ha agito su vari piani, incrementando il suo spettro di azione tramite diversi programmi appositi, come “Unite to End Violence against Women campaign” e “HeForShe”, una campagna di sensibilizzazione rivolta agli uomini per coinvolgerli riguardo alla tematica della discriminazione di genere”.

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Per celebrare questa giornata, diversi monumenti e siti Unesco, da Petra in Giordania alle Cascate del Niagara in Nord America, saranno illuminati con luci arancioni, per porre questo tema sotto l’attenzione del pubblico e dei media. “Milioni di persone nel mondo – ha spiegato Ban Ki-moon – sono unite in nome del colore arancione, scelto per simboleggiare il futuro fulgido e luminoso di un mondo libero dalle violenze contro le donne e le ragazze”.

Il Segretario Generale ha ricordato che anche l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile ha riconosciuto l’importanza di eliminare le violenze contro le donne. “Inoltre – ha dichiarato – i recenti report condotti dall’ONU, hanno fatto emergere il valore che le donne possono apportare allo sviluppo della pace e della sicurezza”. Chiamando tutti all’azione collettiva, Mr. Ban ha detto che “dobbiamo unire i nostri sforzi per porre fine a questi crimini, promuovendo la piena uguaglianza di genere per creare un mondo nel quale le donne e le ragazze possano vivere in sicurezza”.

Nel corso della conferenza è intervenuta anche Phumzile Mlambo-Ngcuka, UN Women Executive Director, dicendo che “la violenza può essere evitata tramite un’azione preventiva”. Infatti, “anche se non esiste una soluzione univoca a un problema così complesso, ci sono molte azioni che possono essere intraprese per fermare la violenza prima che accada. Inoltre, la collaborazione da parte dei cittadini e dei governi è indispensabile per sradicare le diseguaglianze di genere ed educare le future generazioni a costruire quella parità tra uomo e donna di cui necessita ogni relazione sociale”.

Mlambo-Ngcuka ha posto l’accento su quei casi in cui è possibile fermare la violenza prima che accada. “I messaggi telefonici offensivi, la violenza domestica, la denuncia di chi si macchia delle violenze, l’ostilità di alcune forze di polizia contro le donne, sono tutte cose che possono essere prevenute. In questi anni sono stati fatti molti passi avanti lungo questa direzione, ma non bastano. 125 nazioni hanno leggi che puniscono lo stupro, 119 paesi prevedono risvolti penali per chi perpetra la violenza domestica, ma sono solo 52 le nazioni che hanno leggi contro il rapimento delle donne. Tutto questo non è abbastanza”.

Concludendo, Mlambo-Ngcuka ha dichiarato che ulteriori sforzi vanno fatti anche in rapporto all’educazione. Sono prima di tutto gli insegnanti che devono lanciare un messaggio forte alle nuove generazioni, per evitare che in futuro vengano ancora commesse discriminazioni di genere. Il primo passo per arrivare a una condizione di parità tra l’uomo e la donna è proprio quello di educare il bambino sin dalla tenera età, magari evitando di trasmettergli i pregiudizi classici che contraddistinguono le nostre società moderne. Il bambino può giocare con la bambola e la bambina con la pistola, forse dovremmo cominciare a cambiare le cose da qui. 

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Silvia Scaramuzza

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