Brooklyn ha sempre avuto un posto speciale nella nostra immaginazione. Per noi che siamo cresciuti lontano da qui, Brooklyn evocava l'America, era New York ma era anche altro, era il Brooklyn Bridge delle gomme da masticare, era il quartiere degli italoamericani, di C'era una volta in America (Once Upon a Time in America) e di Saturday Night Fever (La febbre del sabato sera), era la Brooklyn degli anni arrabbiati di Spike Lee.
Con il tempo poi, abbiamo imparato che Sergio Leone a Brooklyn ci aveva messo piede appena ma aveva colto l'epica sofferente di quel porto e quelle strade, fissando per sempre nella nostra memoria l'immagine del Manhattan Bridge da quell'angolo memorabile di Washington Street (nella foto sopra). Abbiamo capito che John Travolta e la sua camminata spavalda e ridicola per le strade di Bensonhurst e Bay Ridge raccontavano quel cuore italiano trapiantato a Brooklyn che sopravviveva aggrappato agli orti scavati in giardino, agli spaghetti meatballs e alla processione del santo patrono. Abbiamo conosciuto la Bed Stuy di Do the Right Thing (Fa' la cosa giusta) con la sua vita di quartiere e i suoi odii viscerali, accanto alla Coney Island dei project e dei campi da basket di He Got Game, quella del boardwalk di The Warriors (I guerrieri della notte) ma anche di 9½ Weeks (9 Settimane e ½). E poco più giù, lungo quel boardwalk, la Brighton Beach di Little Odessa, con storie feroci di onore e vendetta nella comunità russa e ucraina, e quella nostalgica di Neil Simon e Gene Saks in Brighton Beach Memoirs, che mette in scena quella Brooklyn ebrea che viveva lì, come anche a Midwood, struggente nei ricordi d'infanzia di Woody Allen.

John Travolta nella metropolitana di New York, in una scena di “Saturday Night Fever” (1977)
Il cinema ha sempre raccontato i tanti mondi di Brooklyn, le diverse umanità arrivate da lontano, i tanti esodi, vite riprese e ricominciate daccapo, in quella Brooklyn dove italiani, irlandesi, ebrei chassidici, cinesi, norvegesi e greci, yemeniti, messicani, vivono uno accanto all'altro, catapultati sugli schermi di tutto il mondo in oltre cent'anni di cinema, da quel primo film girato in un piccolo studio improvvisato su un rooftop di Brooklyn, nel 1894. In quell'anno Charles Chinnock, pioniere misconosciuto del kinetoscopio, riprese un breve incontro di box fra suo nipote Robert Moore e lo sfidante James Lahey, purtroppo qualche mese dopo che il ben più famoso Thomas Edison, nel New Jersey, avesse fatto lo stesso con un altro incontro di box per poi, qualche mese dopo, filmare ancora un incontro, stavolta tra due gatti. Quest'ultimo, all'epoca, fu un successone al vaudeville (immaginate cosa sarebbe oggi con i gattini di Facebook e YouTube…).
Ma dicevamo, prendere la metropolitana da Manhattan e arrivare a Brooklyn significa avventurarsi per il mondo. Un'avventura ben poco spericolata ormai, ma è sempre un viaggio dentro e oltre l'America, un viaggio che abbiamo assaporato grazie ai tanti film girati a Brooklyn. Un viaggio di poche miglia che fino a vent'anni fa quasi nessuno faceva, prima che gli artisti si spostassero a Dumbo e più di recente a Bushwick, prima che Williamsburg diventasse hipster.

Una delle locandine di Last Exit To Brooklyn, il film del 1989 tratto dall’omonimo romanzo di Hubert Selby, Jr. (1964)
Last Exit to Brooklyn (Ultima fermata Brooklyn), nel 1989, ci racconta una vita difficile nella Brooklyn degli anni Cinquanta, la quotidianità violenta di prostitute, operai, criminali, sindacalisti e drag queens. Questa era Brooklyn, New York era lontana.
Ancora oggi in verità molti abitanti di Manhattan, soprattutto quelli non più giovanissimi, non ci pensano nemmeno ad andare “giù” a Brooklyn. Forse perché Brooklyn fino ai primi anni Novanta era quella wild side in cui non si andava in giro poi con tanta tranquillità, certo, Brooklyn non era solo quello ma era anche quello. Per i newyorchesi Brooklyn era lontana.
Ora tutto è cambiato, attrici e attori famosi hanno preso casa a Brooklyn e ogni giorno troupe cinematografiche e televisive si riversano nelle strade di Fort Greene, Williamsburg e Crown Heights per cogliere quel che di squisitamente locale e autentico si può ancora trovare qui, per riprenderlo, raccontarlo e crearne, ancora una volta, un mito.
Insomma, nella vita dei newyorchesi come nel cinema, adesso Brooklyn è cool. Da anni si parla di una Brooklyn Renaissance – con particolare riferimento alla gentrification in atto da anni ormai in certi quartieri con relativa impennata degli affitti – ma è vero anche che Brooklyn ha sempre avuto un posto speciale nel cinema, così come anche, dicevamo, nella nostra più intensa immaginazione.

Una scena del film “Do the Right Thing”, Spike Lee (1989)
Anche solo dai pochi titoli citati, vediamo che Brooklyn è sempre stata cinematografica, e vale la pena andarla a vedere. Bisogna lasciarsi alle spalle i grattacieli di Manhattan per scoprire non tanto e non solo la Brooklyn letteraria di Park Slope e Brooklyn Heights, dove da (molti) anni sono arrivati gli scrittori e in cui da (pochi) anni arrivano anche i turisti, quanto quel che è rimasto della Bed Stuy di Spike Lee, della East New York dei Goodfellas (Quei bravi ragazzi) di Martin Scorsese, della Greenpoint tradizionalmente polacca e ora set principale di serie televisive edgy come Girls, la Bushwick più artistica e più indie, la Brooklyn di Dog Day Afternoon (Quel pomeriggio di un giorno da cani), Sophie's Choice (La scelta di Sophie) e Half Nelson, di Noah Baumbach e del suo Frances Ha, per andare a vedere più da vicino quei tanti volti del cinema che sono poi i cento volti di Brooklyn, i mille volti di New York.