Girls, Greenpoint, Brooklyn. Un gruppetto di ragazze, con le loro belle lauree in arte e creative writing, finalmente libere di essere (o di cercare) se stesse, lontano dal campus, lontano dai genitori, ma con il loro supporto economico, cercando vagamente un lavoro senza realmente volerlo trovare, scambiando per fidanzato uno dei tanti one-night-stand. Tra le amiche svetta Hannah, ovvero Lena Dunham: protagonista e autrice, ma anche co-produttrice e regista (di alcuni episodi), di Girls, serie della HBO arrivata ora alla quarta stagione – in onda a partire da domenica 11 gennaio.
Le ragazze
Questa storia potrebbe essere raccontata in mille modi. Ecco la novità: le ragazze di Girls sono superficiali, pigre, autoreferenziali, confuse, irresponsabili, presuntuose e al tempo stesso masochiste, se ne vanno in giro per locali e rave party nei loro vestiti scelti male, volutamente male, e decisamente non sono belle. Soprattutto lei, Hannah: è sciatta, volgare, bruttina, con i suoi chili di troppo che non manca di esibire tra slip e magliette striminzite, a volte è addirittura spiacevole da guardare e ascoltare, egocentrica, presuntuosamente vacua, spesso irritante.
Più vera del vero, la pluripremiata serie della HBO ha però avuto tanto successo di pubblico e critica quanti sono stati i suoi detrattori, soprattutto tra un pubblico femminile che non si riconosce affatto nel nuovo femminismo proclamato dalla Dunham, che a ogni intervista non manca di sottolineare la sua volontà di liberare la donna dai ruoli e dagli stereotipi televisivi a cui da sempre è stata relegata, in nome della libertà intellettuale e creativa.
E qui in molti hanno storto il naso, perché la Dunham parla in realtà solo di un segmento di quella generazione, quella che conosce per esperienza diretta, sebbene lo faccia in maniera eccellente, con dialoghi fitti e sferzanti e una regia che mette in rilievo dettagli, vizi e difetti, fisici e morali, dei suoi protagonisti.
Le altre ragazze della sua generazione però, che quanto mai a New York è fatta di diversità etniche e culturali e anche economiche e sociali, in Girls non esistono. Non ci sono nella serie afroamericani, indiani, ispanici, asiatici…basta pensare che l'elemento di diversità è dato dall'inglesissima Jessa.
Se non fosse perché la talentuosa attrice e autrice in ogni intervista afferma l'universalità della sua rappresentazione, non ci sarebbe nulla di strano, di fatto praticamente ogni show televisivo degli anni passati (inclusi quelli della HBO, primo fra tutti Sex and the city) ha raccontato giovani donne appartenenti a un determinato gruppo etnico e sociale di New York, e cioè bianco e benestante, escludendo dalla narrazione tutte le altre. Eppure in passato in pochi hanno gridato allo scandalo, mentre adesso su Girls piovono strali infuocati.
Sarà perché oggi la critica sociale va più di moda rispetto a quindici o venti anni fa, sarà perché le ventenni americane, quello cioè che dovrebbe essere il target principale di Girls, per lo più non guarda lo show perché non ha la possibilità di sottoscrivere il costoso abbonamento cable che include HBO, sarà perché quella generazione è ben più diversa, più varia e complessa, di quella raccontata dalla serie, fatto sta che di Girls si parla molto, moltissimo, e le questioni in ballo sono tante e anche complicate, e la scarsa rappresentatività di una generazione al femminile è solo una di queste.
Il sesso (e non solo)
In Girls il sesso c'è e si vede. Che sia con il fidanzato o un tizio appena conosciuto, a letto o sul tappeto del soggiorno, le ragazze di Girls fanno molto sesso. A volte va bene, altre male e soprattutto la macchina da presa non risparmia nulla.
Siamo anni luce dal sesso patinato ripreso da una telecamera che indugia sui capelli fluenti e la lingerie di lusso della lei di turno in qualche attico di Park Avenue. Qui siamo in appartamentini messi su alla bene e meglio, i corpi nudi delle lei e dei lui il più delle volte non sono un gran bel vedere, non si usano preservativi, ci si fa di canne, le giovani protagoniste vanno a feste (solitamente a Bushwick) dove si ubriacano e danno il peggio di sé.
Una questione complicata che ha tirato fuori veleno dal pubblico di mezza America.
La serie per questo è stata attaccata e accusata, su siti internet, blog e riviste, sono stati scomodati modelli sociali e letterari, ha risvegliato femministe della prima ora e massmediologi vari, sociologi, insegnanti, gruppi di genitori, qualche filosofo. E tutti hanno in qualche modo ragione.
Se non fosse che per prima cosa bisognerebbe rispondere a una domanda: perché si pretendono etica e morale a tutti i costi da uno show televisivo?
Nel momento in cui uno show decide di raccontare con i canoni linguistici del realismo un determinato pezzetto di realtà, allora questa realtà va raccontata onestamente.
Come dicevamo, Lena Dunham mette in scena un preciso gruppo di ragazze, con precisi riferimenti e dinamiche sociali e culturali. Hannah e le sue amiche vengono da famiglie ebree, newyorkesi e non, vengono definite JAP (Jewish American Princess) con tutto quel che implica, compresa la rappresentazione della sessualità femminile e del ruolo della donna nella coppia nella cultura ebraica. Accanto a questo c'è poi l'eterno tema della nevrosi, e in questo caso si potrebbe parlare di sessualità nevrotica, oltre alle altre nevrosi di Hannah: anche questo è un elemento proprio della cultura letteraria e comica ebraica. Ma tutto questo non rappresenta la voce di un'intera generazione.
Ancora il sesso (nelle due decadi precedenti)
Nemmeno Friends e Sex and the city rappresentavano la voce di un'intera generazione, e il confronto è immediato, così come appare subito immediata la distanza. Le amiche di Girls sono ragazze normali, qualcuna di loro è addirittura bruttina, anzi, Hannah del brutto sembra averne fatta un'estetica tutta sua, e ha persino un'intensa e varia vita sessuale!
Non sono fascinose fashion victims che fanno lavori ben retribuiti e appaganti, non sono le Carrie o le Samantha, corteggiate dal jetset newyorkese, invitate a feste sofisticate nei grattacieli di Manhattan dove sono tutti splendidi e disinvolti nei loro Dolce e Gabbana, hanno una vita sessuale molto glam, in camere da letto altrettanto glam o se va male shabby chic.
Attenzione, anche qui sono tutti bianchi.
Un gradino più in basso quanto a rappresentazione sociale ci sono Monica, Rachel e Phoebe di Friends, un pochettino più giovani delle colleghe di Sex and the city, meno glam, ma decisamente cool, con il loro bell'appartamento nel Village, che passano il tempo in conversazioni brillanti e senza una preoccupazione economica che sia una, con in mano un'eterna tazza di decaffeinato.
Qui pure sono tutti bianchi.
E come in Girls, anche queste giovani donne fanno sesso occasionale, ma con uomini belli e di successo, o al massimo con artisti incompresi o emarginati sociali (ma per delle ragioni). Ah si, non si sa se usino il preservativo o meno perché questo sceneggiatori e registi non ce lo dicono.
La città
Brooklyn! Brooklyn e non più Manhattan, come è stato invece per decenni nelle serie televisive e nell'immaginario del pubblico di tutto il mondo. Brooklyn adesso è cool, è the place to be, e a Brooklyn ci sono le location principali di Girls: a Brooklyn le ragazze vivono e lavorano (tranne qualche fallimentare colloquio a Manhattan), qui fanno shopping (tranne qualche incursione sporadica nelle boutique del Village e Nolita), qui prendono caffè e dolcetto, da Grumpy e non più a Magnolia Bakery.
Quella Manhattan che è stata sfondo e protagonista di tante serie di successo negli anni passati, quella Manhattan glam e scintillante è lontanissima dalla Brooklyn di Girls, anzi, quella Manhattan si intravede appena. E non è per niente cool.
Negli ultimi due anni sono proliferati libri, guide turistiche e tour dedicati ai luoghi di Girls: bar, negozi, strade e incroci, edifici abbandonati, stazioni della metropolitana, ti fanno vedere tutto.
Il pubblico e i media
Dicevamo, il pubblico (soprattutto femminile) si è arrabbiato parecchio per la mancata rappresentazione della diversità etnica e culturale di New York, per la rappresentazione umiliante della donna, per le scene di sesso troppo esplicite e in generale per una condotta poco edificante. Torna spontaneo il confronto con Friends e Sex and the city. E non solo perché ora è Brooklyn e non Manhattan, e le protagoniste hanno poco più di vent'anni e non quasi trenta o quaranta. Qui entra in gioco il ruolo dei network e dei media, che producono e promuovono Girls, come novità assoluta, voce di una generazione e tutto il resto.
Però non producono e non promuovono, per esempio, The Misadventures of an Awkward Blackgirl, contemporaneo di Girls, scritto, co-prodotto, diretto e interpretato dall'attrice e regista (coetanea di Lena Dunham) Issa Rae per Youtube, con un budget minuscolo. Eppure è uno show altrettanto innovativo, edgy e interessante, che ha per protagonista una ventenne afroamericana alle prese con amiche, colleghe, uomini e lavoro.
Ma è anche vero che la HBO non è Youtube, il pubblico di riferimento è diverso, e bisogna alla fine non solo far tornare i conti, ma guadagnarci il più possibile.
L'impressione è che la causa di tanto fastidio sia stata l'attenzione data dai media a Girls e a Lena Dunham più che la serie in sé. Bisogna tuttavia notare che, numeri alla mano, nonostante le critiche e il fastidio il pubblico ha continuato a guardare Girls.
E intanto, qualche giorno fa Lena Dunham ha “pitchato” la quinta serie di Girls agli executives della HBO. Che l'hanno immediatamente attivata. Insomma, con buona pace di Lena Dunham e dei bloggers scatenati in rete, alla fine si tratta sempre di show business!