La 59ª edizione del David di Donatello ha visto trionfare Anime nere di Francesco Munzi (che La VOCE aveva incontrato a New York), film sul cuore nero della 'ndrangheta calabrese, impegnato e purtroppo non abbastanza visto nelle sale italiane, che si è aggiudicato 9 David, tra cui miglior film, miglior regista e miglior sceneggiatura. Francesco Munzi si merita questi riconoscimenti, dopo anni di gavetta mettendo in piedi film a bassissimo budget, all'arrembaggio con ridotti manipoli di fedelissimi a raccontare piccole storie italiane, portando in giro i suoi film, anche a spese proprie, in un paese solitamente disattento a tutto quello che non sia mainstream o intellettualmente già consacrato.

Francesco Munzi, con il suo Anime Nere ha vinto il David per il miglior film. Foto: copyright┬®eventoLive

Elio Germano (al centro) ritira la statuetta per la sua interpretazione di Giacomo Leopardi ne Il giovane favoloso. Foto: copyright┬®eventoLive
Forse Anime nere non era il film italiano più bello quest'anno, ma sicuramente è uno dei più importanti, uno di qui film dove si vedono e si sentono la testa e il cuore dell'autore, della troupe, lo sforzo produttivo, la partecipazione del territorio (in questo caso un territorio difficile come Africo e altri paesi della Locride) e dei suoi abitanti.
L'Accademia del David di Donatello – di cui faccio parte insieme a una foltissima schiera di esponenti dell'industria cinematografica italiana, personalità tecniche ed artistiche, critici cinematografici, personalità varie della cultura, oltre ai candidati e premiati nel corso degli anni – ha spesso premiato l'impegno, l'etica, la scelta di raccontare la verità in modo artisticamente compiuto, purtroppo però questi premi incidono poco sulla visibilità e il successo commerciale del film, cosa di cui invece il nostro cinema, tanto più quello più impegnato e personale, avrebbe disperatamente bisogno. Ma qui si apre un'altra storia, che ha tanti protagonisti, e tante strade tortuose.
Tornando ai David 2015, la cerimonia che si è tenuta il 12 giugno al Teatro Olimpico a Roma è stata condotta anche quest'anno da Tullio Solenghi, che se l'è cavata abbastanza bene, tra sarcasmo e ironia, in uno spettacolo che, senza volerlo paragonare agli Oscar, ha sempre parecchie difficoltà di scrittura e regia.
Tra i premi principali: David come miglior attrice protagonista a Margherita Buy, che è ovviamente una brava attrice (qui al suo settimo David) ma in Mia madre di fatto interpreta Moretti (ruolo non facile!), con dubbi risultati; miglior attore protagonista è stato riconosciuto (meno male!) Elio Germano, sempre bravissimo, ma veramente sempre, anche nel difficile ruolo di Giacomo Leopardi ne Il giovane favoloso di Mario Martone (che si è aggiudicato anche altri 4 David) che, tra gli sciocchi convenevoli della cerimonia di premiazione è stato l'unico a dire due parole di verità, rispetto agli elogi a SIAE, IMAIE e compagnia che si sono sprecati nel corso della serata. Un po' a sorpresa Carlo Buccirosso ha vinto come miglior attore non protagonista per Noi e la Giulia mentre una boccata d'aria fresca l'ha regalata lo stupore intelligente e sincero di Giulia Lazzarini, giustamente premiata come attrice non protagonista per Mia madre.
Il premio per il miglior documentario è andato a un film difficile, un viaggio dissacrante e coraggioso nelle relazioni amorose tra Berlusconi e la Sicilia: Belluscone – una storia siciliana di Franco Maresco, che naturalmente (per chi conosce un pochino lui e i suoi film) non era presente alla cerimonia. Per l'elenco di tutti i premi, si può consultare il sito Internet dell'Accademia del David di Donatello.
La vera star della serata è stata Quentin Tarantino, che riesce sempre a scivolare via con possente ironia sulle situazioni, ignaro e divertito, tra il solito debito di gratitudine al cinema di genere italiano (meraviglioso Mario Bava, ma troppo ricordato), strappando risate e applausi, in un italiano maccheronico e con la sua visione, imbeccata da Solenghi, di un mafia movie sulla storia della RAI, con protagonista Bruno Vespa nei panni del boss dei boss, affiancato dall'immancabile contabile Gigi Marzullo.
La scena gli è stata rubata solo dal grande Ennio Morricone, che gli ha consegnato i due David (per Pulp Fiction e Django Unchained) mai ritirati in questi anni, annunciando anche, di sfuggita, la sua collaborazione al prossimo film del regista americano. “Uno scoop!”, grida Solenghi. “Scupa!” , ripete divertito Tarantino sollevando le sue due statuette.
La cerimonia di premiazione si è conclusa con un video messaggio di Ermanno Olmi, uno degli ultimi maestri del cinema italiano, un uomo saggio e schivo che con i suoi film ha attraversato la storia italiana senza frequentare i salotti romani e i tappeti rossi. Come ha rivelato in quel breve video-messaggio d'amore per il cinema e per la vita, alla sua età e con non pochi acciacchi, è ammirato dai progressi della tecnologia che permette per quanto possibile di essere vicini, anche a lui che non ha potuto essere presente alla serata. Davanti alla telecamerina che lo riprende e rimanda la sua immagine alla platea dei David commenta tra stupore e divertimento: “se ci fosse stata mia nonna avrebbe chiamato il prete per farci benedire!”.