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June 14, 2015
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Per Hillary Clinton più che la speranza di Obama, conta la libertà dal bisogno di FDR

Stefano VaccarabyStefano Vaccara
Time: 3 mins read

Gli strateghi della campagna elettorale di Hillary Clinton, la cui candidatura per la nomination democratica per la Casa Bianca era già partita da oltre un mese, hanno studiato il luogo dell'evento alla perfezione, la grande spinta ha bisogno dei simboli giusti: il piccolo parco che fa da monumento al memorial per un famoso discorso del presidente Franklyn Delano Roosevelt, e che si trova proprio nella stretta e lunga Roosevelt Island nell'Est River, tra Manhattan e Queens. Quel monumento, inaugurato da poco più di un anno,  si chiama infatti il Four Freedoms Park, perché ricorda il celebre discorso di FDR pronunciato il 6 gennaio del 1941, quello delle "Quattro libertà": la libertà di espressione (e quindi di stampa), la libertà di religione, la libertà dal bisogno, e la libertà dalla paura (in quel momento, il 1941, paura imminente di essere attaccati dall'espansionismo nazi-fascista e giapponese). Hillary

Così sabato mattina, Hillary Clinton ha pronunciato il suo discorso più importante davanti ad una folla di circa cinquemila militanti e simpatizzanti della sua campagna, che in quella piccola isola sembrava anche più numerosa, come se toccasse proprio a lei, una ex First Lady diventata senatrice e poi anche Segretario di Stato, raccogliere il testimone delle "quattro libertà" di FDR. 

Ma questa volta Hillary, più che ai problemi internazionali che preoccupavano soprattutto FDR nel 1941, si è concentrata su quelli nazionali. E quindi la libertà dal bisogno è stata sicuramente quella che ha avuto più attenzione nel suo appello agli elettori americani: "Basta privilegi per pochi. Stiamo ancora lottando per uscire dalla crisi e i benefici della ripresa non sono ancora per tutti. Per questo voglio correre per la presidenza degli Stati Uniti". 

La classe dei super ricchi, supportata dal Partito repubblicano (il partito che si ispira allo "yesterday", ha ripetuto Hilllary), è stata presa di mira in quasi ogni passaggio: "Quello che voglio è un’economia che funzioni per gli americani di tutti i giorni, non solo per chi sta al top della nostra società… Basta con le politiche economiche imposte dall’alto verso il basso che sono finora fallite". 

Hillary ha sfoderato alcune cifre per sottolineare come la forbice del benessere USA si vada sempre più allargando: "I primi 25 manager di hedge fund in America guadagnano più di tutte le insegnanti della scuola materna messe insieme. Cosa c’è di sbagliato in questa realtà?". 

Per il primo discorso pubblico della sua campagna elettorale, Hillary Clinton ha quindi continuato attaccando chi sta al top delle corporation, che si assicurano profitti e stipendi record lasciando le briciole al resto del popolo americano. "Vi chiederete quando tutto il mio lavoro darà risultati? Quando la mia famiglia ce la farà? Io vi dico, adesso. La prosperità non può funzionare solo per i ceo e per i manager di hedge fund… l’America non può avere successo se non avrete successo voi. Questo è il motivo per cui mi candido a essere presidente degli Stati Uniti”. 

Quindi, dice Hillary, bisogna votare lei "per ridare peso alla classe media e per offrire ai poveri la possibilità di farsi largo nella vita". Con Clinton, questo è il suo messaggio, si avrà più uguaglianza nelle opportunità, nel lavoro, nella sicurezza: "la fine dei privilegi speciali solo per alcuni". "È il patto di fondante dell’America. Se voi fate la vostra parte, sarete in grado di andare avanti. Se ognuno fa la sua parte, anche l’America va avanti". Dice Hillary. Praticamente un discorso populista, dove la candidata alla nomination democratica cerca di sintonizzarsi con la classe media americana concentrandosi sulle sue "tasche", che rispetto agli anni di quando il marito Bill Clinton diventò presidente (era il 1992),  ha visto infatti ulteriormente diminuire il suo tenore di vita, con un reddito sempre più debole rispetto alla crescita dei guadagni della fascia dei super ricchi. Il messaggio di "Hope", and "Yes We Can" di Barack Obama del 2008, ora viene da Hillary "perfezionato" nella sua domanda di "concretezza": volendolo sintetizzare con uno slogan, a noi viene così: "Hope? Yes, we could… but show me the money!".

Bene. Sicuramente un discorso che fa presa su un elettorato democratico e indipendente che ha sentito in questi anni come se la "speranza" di Obama votata nel 2008 non fosse affatto sufficiente a migliorare la loro condizione. Da Hillary Clinton, che ieri al Roosevelt Four Freedoms Park ovviamente si è presentata con la First Family al completo, si attendono ancora in dettaglio i programmi per come si farà ad arrivare alla libertà dal bisogno per tutti. Ecco che qui, come previsto, si dovrà tornare a non perdere la speranza.

 

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Stefano Vaccara

Stefano Vaccara

Sono nato e cresciuto in Sicilia, la chiave di tutto secondo un romantico tedesco. Infanzia rincorrendo un pallone dai Salesiani e liceo a Palermo, laurea a Siena, master a Boston. L'incontro col giornalismo avviene in America, per Il Giornale di Montanelli, poi tanti anni ad America Oggi e il mio weekly USItalia. Vivo a New York con la mia famiglia americana e dal Palazzo di Vetro ho raccontato l’ONU per Radio Radicale. Amo insegnare: prima downtown, alla New School, ora nel Bronx, al Lehman College della CUNY. Alle verità comode non ci credo e così ho scritto Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination (Enigma Books 2013 e 2015). Ho fondato e diretto (2013-gennaio 2023) La VOCE di New York, convinto che la chiave di tutto sia l’incontro fra "liberty & beauty" e con cui ho vinto il Premio Amerigo 2018. I’m Sicilian, born in Mazara del Vallo and raised in Palermo. I studied history in Siena and went to graduate school at Boston University. While in school, I started to write for Il Giornale di Montanelli. I then got a full-time job for America Oggi and moved to New York City. My dream was to create a totally independent Italian paper in New York to be read all over the world: I finally founded La VOCE di New York. In 2018 I won the "Amerigo Award". I’m a journalist, but I’m also a teacher. I love both. I cover the United Nations, and I correspond from the UN for Radio Radicale in Rome. I teach Media Studies and also a course on the Mafia, not Hollywood style but the real one, at Lehman College, CUNY. I don't believe in "comfortable truth" and so I wrote the book "Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination" (Enigma Books 2013 e 2015). I love cooking for my family. My favorite dish: spaghetti con le vongole.

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