Un artista a tutto tondo, che inizia dal doppiaggio da adolescente per ritornarci da attore ormai affermato, dopo essere passato dal palcoscenico, dal piccolo e dal grande schermo, non solo per recitare, ma anche per cantare. Il suo eclettismo Claudio Santamaria ce lo ha dimostrato in più occasioni e oggi ci sorprende nuovamente con un ruolo drammatico e un po' diverso da quelli in cui siamo abituati a vederlo: il Maggiore che interpreta in Torneranno i prati, il film che Ermanno Olmi ha dedicato alla tragedia della Prima Guerra Mondiale. Il film è una poesia e ha avuto una notevole risonanza a livello internazionale. Presentato per la prima volta a Roma il 4 novembre del 2014, la pellicola è stata proiettata in 100 Paesi in tutto il mondo, compresi i contingenti italiani per le missioni all'estero e l'appello di Olmi, che quanto accaduto non fosse dimenticato, è stato raccolto non solo dalla Presidenza del Consiglio italiana, ma anche da ambasciate, istituti di cultura, fino al Palazzo di Vetro dell'ONU, dove è stato presentato dall'Ambasciatore Sebastiano Cardi in occasione del centenario della Prima Guerra Mondiale.
Torneranno i prati ritorna a New York nell'ambito del festival Open Roads New Italian Cinema 2015 e il suo ambasciatore è proprio Claudio Santamaria. Lo incontriamo in una piovosa e uggiosa mattinata newyorchese e ci facciamo una lunga chiacchierata. Parliamo del film, un'esperienza che per lui ha rappresentato un punto d'arrivo meraviglioso, parliamo di Ermanno Olmi, un maestro come pochi se ne incontrano nella vita, parliamo della bellezza di questa città (New York), ma anche dell'Italia e delle cose che del Belpaese proprio non gli vanno giù.
Cosa ha significato per te prendere parte a un film del genere e interpretare un ruolo un po' diverso da quelli a cui siamo abituati a vederti?
Per me è stato un punto di arrivo meraviglioso lavorare con Ermanno [Olmi], un maestro come li ho incontrati pochi nella vita, è come lavorare col Dalai Lama. Penso di non avere mai fatto nella mia carriera un'esperienza cinematografica così intensa, sia dal punto di vista lavorativo che umano ed emotivo. Tutti quanti siamo stati contagiati dalla grande poesia che porta Ermanno dentro di sè, con cui ti sa comunicare quello che vuole in scena, anche attraverso una praticità da figlio di ferroviere. Un'esperienza pazzesca, che non dimenticherò mai. Quando abbiamo visto il film siamo tutti scoppiati a piangere. Abbiamo girato il film in un paio di mesi, sicuramente avvantaggiati dal fatto che avevamo un ambiente unico, per quanto quest'ambiente fosse poi alla mercè delle intemperie. Ci sono stati 3 metri di neve e tutta Asiago si è messa a spalare per aiutarci, le condizioni sono state assolutamente dure da quel punto di vista; però dentro c'era un calore umano che si è creato tra noi attori ed Ermanno che tutto il resto passava in secondo piano.
C'è stato qualche aneddoto simpatico accaduto durante le riprese?
Simpatico no, forte sì. Ogni giorno succedeva qualcosa a qualcuno, perché ognuno di noi è stato coinvolto in qualcosa di molto intimo dentro, ed è quello che voleva Ermanno: lui ha distrutto, tolto di mezzo l'attore e lasciato solo l'essere umano, lì a vivere un'esperienza. Alcuni di noi, io no per fortuna, sono stati minacciati di essere mandati via. Ricordo quando abbiamo girato la scena in cui io entro nel bunker del Capitano e gli spiego quello che dovevamo fare, ci sono stati 11 ciak; al decimo ciak, Ermanno, che ci aveva interrotto in continuazione, ci ha detto di prenderci un quarto d'ora di pausa, di rinfrescarci e di studiare meglio la parte, scusandosi per avercela data soltanto quella mattina. Dopo una chiacchierata che ci siamo fatti con Ermanno, prima io poi Francesco Formichetti che è scoppiato a piangere, arriviamo a girare l'unidicesimo ciak in una condizione di sconvolgimento emotivo non indifferente. Ma siamo stati interrotti dal grido di Ermanno: "Bellissima, formidabile!", e a quel punto siamo scoppiati entrambi a piangere come due bambini. Ci aveva portato fino al punto di ebollizione. È stato in quel momento che il regista esecutivo ha detto all'operatore di riaccendere la macchina e continuare a riprenderci e alcune di quelle scene, molto intime, molto forti, sono finite poi nella pellicola finale.
È la tua prima volta a New York come attore?
Sì
Che ti aspetti da questa esperienza?
Ma sai, uno come attore italiano chiaramente guarda sempre al cinema americano come una possibilità che si possa aprire, e che io ho anche aperto a un certo punto con James Bond anni fa, ma che però è stata una strada che o non ho percorso io o non era il momento di percorrerla. Ma è chiaro che uno spera sempre di poter ampliare i propri orizzonti, anche perché il cinema in Italia, mi dispiace dirlo, sta andando veramente giù. Al di là dei successi internazionali di pochi registi, c'è un sottobosco di giovani attori e registi che non lavorano e fanno fatica a fare i propri film; magari fanno un ottimo esordio e poi ci mettono anni per fare il secondo film e questo è assurdo. In Italia non si valorizzano i talenti giovani, non si tende a prendere questi talenti e a tirarli su, a farli emergere e a dare loro la possibilità di lavorare.
Quindi uscire dall'Italia potrebbe essere una soluzione a questa "cancrena" che si è creata?
Sicuramente sì, ma anche una politica diversa, una politica di sostegno del cinema, dell'arte in generale che non c'è, così come esiste in Francia, per esempio, grazie ai socialisti che negli anni '80 hanno fatto delle leggi specifiche di sostegno per l'arte. Perché l'arte non è un prodotto come un altro. Per esempio, hanno la tassa sul biglietto del cinema: una piccola percentuale del biglietto, anche se si tratta di film non francesi, finisce nel fondo per produrre altri film francesi. Noi non abbiamo questa cosa, da noi preferiscono mettere l'accisa sulla benzina…In questo modo, è evidente, il cinema diventa controllabile, non tutto deve finire al cinema. Sembra quasi che ci sia una volontà di distruggere. Poi ci sono sempre meno poli produttivi in Italia. Prima c'era anche Cecchi Gori, che al di là di tutto era comunque una fucina di giovani registi cui dava la possibilità di fare loro film; tanti registi sono usciti fuori da lì, produceva sia commedie che film d'autore. Adesso ce ne sono sempre meno di produttori e con sempre meno soldi per cui è tutto più difficile e molto spesso per dei registi avere successo in Italia significa avere prima successo fuori e poi tornare in Italia e sentirsi dire "Ma non c'eravamo accorti di te".
Come pensi venga accolto il film dal pubblico americano?
Io trovo che questo film sia l'opera di un poeta. Che poi possa piacere o meno o possa essere recepito o classificato come un film drammatico, quello non è importante. Chi ama il cinema amerà il film. Ermanno ha questa grande capacità di prendere un piccolo episodio, un piccolo evento e di ingigantirlo attraverso una lente di ingrandimento; il film tra l'altro è in tempo reale. È un film che tocca molto, che può essere apprezzato a livello universale, al di là del coinvolgimento emotivo o meno del pubblico sull'argomento.
Torniamo a New York. Che idea ti sei fatto di questa città?
Puzza! [ride] Scherzi a parte, è una città che ha un'energia pazzesca, hai l'impressione di essere al centro del mondo. Sono passato da Broadway stamattina e c'era già gente in fila per vedersi gli spettacoli. C'è tantissima attività e hai l'impressione che se hai una buona idea, hai la possibilità di vederla realizzata, di farla conoscere, di farla arrivare agli altri e al mondo.
Quindi l'idea di fare qualcosa qua ti attira?
Non lo so…ultimamente ho lavorato un po' in Francia, più vicino al cinema che mi piace. Dopo l'America, in Occidente c'è la Francia come produzione, in quantità e qualità, di film. Di sicuro mi piacerebbe avere un agente qui a New York e avere la possibilità di fare qualcosa qui…chissà.
Cosa ti fa imbestialire dell'Italia di oggi?
Che non sappiamo più valutare e valorizzare i nostri talenti, il nostro talento. Siamo degli artigiani e degli artisti che hanno fatto scuola in tutto il mondo, abbiamo la capacità di prendere tutto ciò che c'è, farlo proprio, rielaborarlo e renderlo speciale, dal caffè alla cioccolata, al tango….eravamo un paese con un'industria forte, un forte artigianato e stiamo perdendo tutto perché non sappiamo più valorizzarlo, non puntiamo più su quello che possiamo fare, ma su come conservare quello che abbiamo. Abbiamo un'eredità così vasta in ogni campo che ci siamo un po' seduti su quello che abbiamo fatto nel passato, senza saper sfruttare quello che abbiamo. Pensa se Pompei fosse in America o in Francia…! Dovremmo farci gestire da qualcun altro perché noi non sappiamo gestirci, siamo il paese dell'improvvisazione. Anche nel cinema, c'è una grande eredità che ci pesa sulle spalle, ma molto spesso non c'è preparazione; tanti giovani cineasti, per esempio, vogliono fare gli autori, magari hanno scritto una sceneggiatura, ma poi non si intendono di filtri o di lenti e molto spesso sembra che improvvisino, pensando di cavarsela sul set. Ma chi lo dice?
Cos'è che invece ti rende orgoglioso di essere italiano?
Tutto questo enorme talento che viene riconosciuto e apprezzato all'estero, quel grande talento che viene dal basso, dal nostro modo di essere. Questo mi inorgoglisce. C'è chi ha il pane e chi ha i denti. Noi abbiamo tanto pane, ma proprio tanto pane….
Progetti futuri?
Deve uscire un film, che ho girato prima dell'estate del regista Gabriele Mainetti che si intitola Lo chiamavano Gig Robot ed è la storia di questo ladruncolo dell'estrema periferia di Roma, a cui succede qualcosa all'inizio del film, che non ti dico, per cui si ritrova con una forza sovrumana e diventa una specie di supereroe, che piano piano imparerà a utilizzare questo suo dono per gli altri. È un film insolito per l'Italia, era in cantiere da anni e dovrebbe uscire a ottobre. C'è la tradizione del supereroe, che è prettamente americana, ma tutto è reso credibile da vicende umane molto forti, problematiche degli esseri umani che ti fanno entrare in empatia con la storia e te la rendono credibile. Io l'ho visto il film e ti dico: ci credi davvero, ci caschi con tutte le scarpe! Azzardo: questo film secondo me qua [al festival Open Roads] ci verrà!
Greenery Will Bloom Again (Torneranno i prati) sarà proiettato al Walter Reade Theater del Lincoln Center lunedì 8 giugno alle 4.00 pm.
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