Angelina La Mula, In Scena! alla Casa Italiana Zerilli-Marimò giovedì 7 maggio nell'ambito dell'Italian Theater Festival newyorchese, è la storia di una donna che si ritrova vittima e carnefice della sua famiglia, composta da un marito con una depressione di cui lei non capisce le cause e una figlia anoressica, che rifiuta l'unica cosa con cui Angelina sa trasmettere amore: il cibo.
La storia ha avuto una gestazione drammaturgica alquanto singolare. La regista e interprete, Rossella Raimondi, ci è arrivata attraverso un metodo che le è stato trasmesso da Gigi Gherzi e dalla sua Bottega dell'attore-autore, dopo ore e ore di scrittura e improvvisazione. Non è stato facile fare tutto senza la supervisione di un occhio esterno, ma alla fine il progetto è nato, con non poca soddisfazione da parte dell'autrice. Ci siamo fatti raccontare qualcosa di più.
Da dove è nata l'idea di questo progetto teatrale?
Il progetto è nato anni fa durante la Bottega dell'attore-autore Gigi Gherzi e Silvia Baldini, un contesto in cui attori, ma anche drammaturghi e scrittori volevano approfondire il passaggio dalla scrittura alla scena. Io ero già attrice, ma scrivo e scrivevo da sempre (a casa dei miei c'è ancora il letto da bambina tutto scritto di poesie). Il percorso era una scrittura a ricalco su vari testi, in questo caso la metamorfosi di Kafka: si dovevano individuare le funzioni drammaturgiche e poi, mantenendole, o eventualmente creandone delle altre, scrivere ciò di cui si vuole parlare. Gherzi è stato un allievo di Testori, che gli ha "regalato" questo metodo, e Gherzi a sua volta lo ha regalato a me. La cosa che ricordo partendo dal chiudersi del protagonista: tutti avevano idee meravigliose, a me veniva in mente il chiudersi dello stomaco, il chiudersi del corpo che va al gabinetto per poi liberarsi… insomma ero in grande crisi, ma se era quella l'urgenza, andava perseguita!
Prima volta a New York?
Primissima in assoluto nella vita. Le aspettative sono enormi da una parte, dall'altra ci sono i piedi per terra che mi dicono di prenderla proprio così com'è: una esperienza da cui imparare e a cui regalare qualcosa…uno scambio. La mia Anima Buddica mi ha insegnato a considerare gioie e sofferenze alla stessa maniera, ma a cercare di dare sempre il massimo. Sono assolutamente curiosa di vedere come reagirà il pubblico al dialetto mantovano che non è strettissimo, ma l'influsso è forte. All'estero ho lavorato a Varsavia con Pietro Floridia per City Ghettos, un progetto internazionale sui Ghetti delle città partendo da Calibano il mostro (La Tempesta di W. Shakespeare) e dalla sua caverna. Lì ho portato un pezzo in italiano, ma i polacchi hanno un'usanza stranissima: traduttori simultanei ai quali, mentre tu fai il pezzo, devi lasciare il tempo della traduzione…direi sconcertante, ma nuovo.
Fare teatro in Italia oggi è facile o difficile?
Oggi in Italia il teatro insieme alla danza credo siano la forme d'arte più sottopagate (anzi non pagate) che ci siano. Il teatro, il recitare, è qualcosa che molti pensano si possa fare senza studio, abnegazione, fatica, e questo purtroppo a causa dei media e dei loro prodotti di massa senza dignità, e i risultati si sono visti). Il peccato è che poi i soldi, i cosiddetti finanziamenti vanno non verso la qualità e la ricerca, ma verso la pubblicità. Perché fare teatro è sempre stato difficile per natura stessa della professione. Una volta c'erano tanti i teatri stabili, fondi pubblici e le compagnie sovvenzionate. Abbiamo assistito lentamente alla morte di tutto questo. Da una parte credo sia stato un bene perché, e parlo per Milano, tutti i finanziamenti andavano sempre agli stessi e ai grossi gruppi, dall'altra è come se ci fosse stato un momento di buio, di medio-evo teatrale. Lo sa bene chi crea uno spettacolo, che deve avere il tempo ed i mezzi per lavorarci otto ore al giorno per mesi, ma pochi se ne rendono conto. La cosa magnifica è che in tutto questo, le tantissime compagnie, gli artisti e i giovani che da sempre fanno ricerca, abituati a non avere nulla da nessuno, non si sono lasciati scalfire dai mancati contributi e hanno continuato a lavorare. Grazie a queste persone oggi in Italia ci sono tantissimi spettacoli di teatro indipendente che sono veramente di grande valore. Bisognerebbe recuperare un fuoco prometeico, recuperare quelli che una volta erano i "Mecenati" dell'arte e solo grazie a loro gli Artisti potevano creare. Negli anni sono nate tante forme differenti di scambio, come residenze, festival, Fringe…In Scena! è un esempio rischioso di ricerca, ma magari tutti rischiassero di più! Credo, e lo vivo a Milano con Il Teatro degli Incontri e il Comteatro, le mie due compagnie di ricerca, che si debba continuare su questa strada. Il Teatro è un'utopia realizzata, è il segreto per toccare il cuore dell'uomo.
A tuo avviso il teatro italiano è esportabile?
Credo che il teatro Italiano sia esportabile. Oggi la commedia dell'Arte pura si fa in tutto il mondo tranne che in Italia e mica viene tradotta! Abbiamo una tradizione pazzesca, ma lasciandola perdere, credo che soprattutto oggi, dove la popolazione è sempre più migrante e meticcia (e la lingua di conseguenza), il teatro italiano abbia una grande possibilità di rinascita in tante forme differenti.
Raccontaci protagonisti e temi dello spettacolo.
La protagonista dello spettacolo è una donna semplice lombarda, di estrazione contadina, bella e ammirata al suo paese, che emigra a Milano, fa il grande salto alla ricerca di una nuova vita, e lì sposa un uomo di cultura, ma in quella unione vengono disattesi tutti i suoi sogni e le sue aspettative. Si ritrova infatti a fare la Mula del Focolare per tutta la vita e a lei, donna che non sa nemmeno dare una carezza perché mai ricevuta e che comunica con il cibo, piomba addosso non solo la maledizione di un marito depresso di cui non è in grado di capirne la depressione, ma anche una figlia anoressica che rifiuta l'unico modo che la Mula ha di comunicare amore. Così la Mula una sera decide di cucinare per l'ultima volta: un manicaretto avvelenato con la sua cacca con il quale avvelenerà il marito. Parliamo di amore e della sua incomprensione. La Mula è una qualsiasi donna di qualsiasi focolare del mondo, una donna di grande saggezza popolare che ha anche da insegnare a Dio e a Padre Pio, ma che non può capire tante cose, come una malattia che ti fa rifiutare il cibo, o come una depressione lavorativa. Però, pur non capendo, lei rimane lì a fare la Mula. Lo spettacolo è autobiografico, lascio a voi indovinare i protagonisti.
Qual è stata la cosa più bella e quella più difficile nel costruire questo spettacolo?
La bellezza e la difficoltà è stata la struttura drammaturgica. Ho iniziato a scrivere in italiano di questa donna sulla sedia a rotelle che cercava di fare la cacca per avvelenare il marito e fumava, fumava. Non ero contenta, non mi bastava quindi mi sono messa in scena da sola a improvvisare, io e un registratore a cassetta. E non so come, forse a furia di parlare di merda e di animali, ad un certo punto mi è uscito il mantovano. Non è un dialetto che parlo, è il dialetto di mia madre e noi tre sorelle da bimbe andavamo in vacanza per mesi in campagna da mio zio, che era contadino e aveva tanti animali. Così ore di registrazione in mantovano mentre creavo azioni e ore e ore a sbobinare con l'auricolare (non so se avete presente cosa significhi sbobinare da cassetta… altri tempi!). Pian piano che sbobinavo, la storia prendeva forma, una forma incasinata, sporca, ma sempre più precisa e indirizzavo le improvvisazioni sui temi che volevo trattare in questa storia. Quando ho finito, avevo 60 pagine di sbobinamento. “Ma che cos'è?”, mi sono chiesta. Ero stupita, stanca, era stato difficile lavorare quasi sempre da sola, senza nemmeno un occhio esterno, dato che la regia era mia, ma ero fiduciosa. Però c'era tutto, tutto quel mondo e Gherzi mi disse: "Forse non ti rendi conti, ma questa è una verbigerazione alla Testori”. Dopo di questo ho scelto le parti più importanti per me da raccontare e la Mula si è potuta sedere sulla sua sedia a rotelle e "cagare" il manicaretto avvelenato.
Come convinceresti il pubblico a venire a vedere lo spettacolo?
Almeno per sapere se alla fine il marito muore!
7 maggio 2015, 6.00 pm – Casa Italiana Zerilli-Marimò NYU (24 West 12th Street, Manhattan)