Appena uscito in Italia, Selma sta già riscuotendo un buon successo di pubblico e critica. In America, dove i movimenti dello scorso autunno contro la violenza della polizia nei confronti dei cittadini afroamericani hanno reso il tema più che mai attuale, il film dedicato alla vita di Dr. Martin Luther King ha scosso gli animi e ha fatto parlare il New York Times di una grande “lezione di storia”. Eppure alla notte degli Academy Awards Selma arriverà con solo due nomination.
Gli Oscar non sono mai solo un fatto artistico. Anzi, diciamo che negli anni abbiamo imparato che gli elementi che contano sono soprattutto altri, di natura economica e politica, spesso secondo logiche non totalmente comprensibili dall’esterno.
Nell'anno del biopic (The Imitation Game, The Theory of Everything), l'esclusione di Selma da buona parte delle categorie principali ha sollevato un polverone. Due nomination, una come miglior film, l'altra alla migliore canzone originale, e un lavoro di grande valore decisamente sottostimato dalle parti di Hollywood. Il motivo è difficile da individuare, ma è quasi impossibile credere ad una semplice ragione artistica.
Permettiamoci qualche ragionamento e partiamo, come è giusto, dal film. Selma è – come noto – il nome della cittadina dell’Alabama da cui, nella primavera del 1965, un gruppo di manifestanti, guidati dal reverendo Martin Luther King, marcia pacificamente contro gli impedimenti opposti ai cittadini afroamericani nell'esercitare il proprio diritto di voto, fino a Montgomery.
È il momento decisivo per la battaglia dei diritti civili in America, che vede al centro un personaggio che fino ad oggi poggiava su una contraddizione importante: da un lato, protagonista di un’agiografia pop quasi mai supportata da una reale conoscenza del personaggio, dall’altro lato MLK è forse la figura meno raccontata al cinema nel XX secolo. La regista afroamericana Ava DuVernay – premiata al Sundance Film Festival del 2012 per Middle of Nowhere – riesce a scardinare questi due principi apparentemente inconciliabili: porta al cinema il reverendo e allo stesso tempo lo spoglia della retorica edulcorata che lo ha spesso accompagnato la poetica dell’I have a dream, per collocarlo in una prospettiva totalmente umana, fatta di debolezze, incertezze, anche di difetti e limiti. In questo modo, la sua levatura politica e il suo carisma escono radicalmente vivificati, in un tessuto emotivo a cui è spesso molto difficile sottrarsi. Sì, perché il piccolo miracolo di Selma è quello di riuscire ad essere estremamente didascalico senza rinunciare a colpire alla pancia.
È un film a tesi, che si sforza – riuscendoci – di essere anche estremamente attuale: una profonda radice religiosa che si trasforma in uno strumento potentissimo di elevazione spirituale e morale e che soprattutto diventa l’elemento chiave per la rinuncia a qualsiasi forma di violenza. Il discorso articolato da Selma non si ferma naturalmente al livello religioso: la forza retorica del reverendo assurge a modello politico fondamentale, un modello capace di scendere a compromessi in nome di un obiettivo profondo e lungimirante che non viene mai trascurato.
Ultimo dato di rilievo sul film è una notazione sulla strepitosa performance di David Oyelowo, escluso dalla cinquina dei candidati all’Oscar. Oyelowo è semplicemente incredibile nella riproposizione dei discorsi del reverendo, trascinante ed emozionante. Proprio l’esclusione di Onyelowo ha scatenato una polemica feroce. Lo stesso attore ha dichiarato, di certo non in punta di fioretto: “Esiste una nozione ben precisa di chi siamo noi neri, ed è l’unica celebrata e riconosciuta non solo dall’Academy, ma anche nella vita. Siamo stati schiavi, domestici, criminali, tutte queste cose. Ma siamo stati anche leader, re, siamo stati quelli che hanno cambiato il mondo. Martin Luther King è stato assassinato quasi 50 anni fa. Prima di adesso non c’è mai stato nessun film in cui King sia stato il centro stesso della vicenda. Film di questo tipo solitamente erano elaborati attraverso il punto di vista di un protagonista bianco perché c’era paura di ammettere le proprie colpe. Quindi c’è sempre stato questo brav’uomo bianco che porta per mano i neri nel racconto della loro stessa storia. Non si vuole rivivere e rivedere quello stesso dolore, quindi non lo si è affrontato mai in maniera autentica, ma non si possono cambiare le cose se non le si mostrano per quelle che sono”.
È indubbio che le nomination di quest’anno sono “all white”. Ed è vero anche ciò che Oyelowo ha ricordato in un’altra intervista, e cioè che Denzel Washington è stato ignorato per l’interpretazione di Malcolm X e Sidney Poitier, il primo afroamericano della storia degli Academy ad aver vinto l'Oscar come migliore attore, ha ricevuto il premio per Lilies of the Field (I gigli del campo, 1963), piuttosto che per il personaggio interpretato in In the Heat of the Night (La calda notte dell’ispettore Tibbs, 1967). Alcuni numeri che darebbero ragione all’attore britannico emergono anche dalla composizione della giuria, che nel corso delle oltre ottanta edizioni ha mantenuto una percentuale di votanti maschi e bianchi del 90%. Oltretutto, dei 328 Oscar distribuiti, solo 15 sono stati vinti da afroamericani, altro elemento che giocherebbe contro le scelte della manifestazione. Tutto ciò rende ragionevole pensare che l’Academy sia ancora, anche inconsciamente, un organismo che perpetra delle logiche etero-razziste, anche se il trionfo, lo scorso anno, di 12 Years Slave era stato salutato come una possibile e definitiva inversione di rotta.
I rigurgiti razzisti di Hollywood non bastano però a spiegare l'esclusione del film dai premi più ambiti. Selma è uscito nelle sale tardi rispetto agli altri concorrenti, e si sa come l’impatto sul box office sia comunque determinante nei criteri per la corsa all’Oscar. Inoltre, da più parti è stato sottolineato come l’establishment abbia gradito ben poco il ridimensionamento del ruolo del presidente Lyndon B. Johnson nella lotta per i diritti degli afroamericani.
Il film è stato così bollato da alcuni ambienti politici come come “antistorico” e di certo questo ha influito, sopratutto nella candidatura – data per scontata alla vigilia – per la miglior sceneggiatura.
La nostra opinione, al di là di congetture e supposizioni, è che Selma sia un bel film, che rientra sicuramente nelle cose più belle che si siano viste quest’anno. Oyelowo è un attore straordinario, e anche lui avrebbe meritato di concorrere per la statuetta. Detto ciò, due o tre titoli fra quelli inseriti nelle nomination di quest’anno restano, secondo un personale giudizio esclusivamente cinematografico, un po’ di spanne sopra Selma.