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December 3, 2014
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New York nel giorno della rabbia urlata e pacifica. Non sarà processato il poliziotto che uccise Eric Garner

Maurita CardonebyMaurita Cardone
Time: 6 mins read

Non si ferma l'ondata di proteste che, dopo la decisione della settimana scorsa di non procedere con l'incriminazione di Darren Wilson, il poliziotto che l'estate scorsa sparò e uccise il diciottenne Michael Brown a Ferguson, sta attraversando gli Stati Uniti. 

E mercoledì il centro delle proteste si è spostato a New York, dopo che in mattinata il Gran Giurì aveva annunciato di non voler procedere nel caso del poliziotto Daniel Pantaleo implicato nella morte del cittadino afroamericano Eric Garner, deceduto il luglio scorso durante un fermo di polizia.

Gruppi di manifestanti sono scesi in strada e hanno iniziato a marciare in varie zone della città bloccando il traffico e facendo mobilitare grossi schieramenti di polizia. Nella città di New York è illegale, durante i cortei di protesta, marciare sulla carreggiata: i manifestanti devono restare sul marciapiede a meno di aver ricevuto una speciale autorizzazione dal dipartimento di polizia. Ma la delusione e la rabbia erano tante e, inaspettatamente e senza organizzazione, la gente si è riversata per strada decisa a farsi sentire. 

midtown

I manifestanti bloccano il traffico a Midtown. Foto: Alexander Rubinstein

A partire dal tardo pomeriggio, proteste spontanee e non autorizzate si sono allargate a macchia d'olio in tutta la città. Da Union Square a Times Square, dal Rockfeller Center ad Harlem, da Columbus Circle a Staten Island i manifestanti hanno marciato, mani alzate, gridano “mani in alto, non sparare” e “non riesco a respirare”, la frase che Eric Garner ha ripetuto ben tre volte, prima di morire, al poliziotto che lo aveva fermato e che, dopo aver tentato di ammanettarlo, lo aveva bloccato con una stretta al collo e spinto sul selciato.

Garner era stato fermato lo scorso luglio nel distretto di Staten Island perché stava vendendo sigarette sfuse in strada, una pratica molto diffusa a New York: un modo per racimolare qualche soldo per le tante persone che il super competitivo sistema newyorchese lascia ai margini. Il fermo si era trasformato in un alterco che la polizia ha in seguito giustificato dicendo che Garner non era stato collaborativo. Da lì, secondo la polizia, la necessità di bloccare Garner il cui fisico, già messo alla prova da diabete, obesità e problemi cardiaci, non aveva però retto.

L'intera scena è stata ripresa da un telefonino e le immagini hanno fatto il giro di Internet mostrando una situazione in cui è difficile credere che i poliziotti sulla scena fossero in pericolo. Il Grand Giurì ha tuttavia deciso che non ci sarebbero gli elementi per procedere con un'incriminazione di Pantaleo. Ma la città non ci sta. Dopo i ripetuti casi di uso eccessivo della forza da parte di agenti di polizia nei confronti di cittadini afro-americani la questione sembra andare ben al di là di uno sfortunato incidente e chiama in causa questioni razziali e di eguaglianza.

La vedova di Eric Garner, Esaw Garner, che mercoledì ha preso parte alle proteste insieme ad altri membri della sua famiglia, all'annuncio della decisione del Gran Giurì, cui erano seguite le scuse di Pantaleo, ha commentato: “No, non accetto le sue scuse e non me ne potrebbe importare di meno delle sue condoglianze. Lui lavora ancora, prende ancora uno stipendio, può ancora dare da mangiare ai suoi figli, mentre mio marito è sottoterra […]". 

Mentre le strade di New York si popolavano di manifestanti decisi a non lasciare correre questa nuova ingiustizia, il Dipartimento di giustizia ha annunciato che aprirà un'indagine federale sull'ipotesi di violazione dei diritti civili nel caso Garner. Una decisione che sembra parlare alla folla nel tentativo di calmare gli animi.

Con la stessa intenzione il sindaco di New York, Bill de Blasio, ha diffuso in giornata una nota stampa in cui si legge: “L'esito di oggi è un esito che molti nella nostra città non avrebbero voluto. Ma New York ha una orgogliosa tradizione di espressione attraverso proteste non violente. Siamo fiduciosi che coloro che non sono contenti della decisione del Grand Giurì faranno sentire la propria voce in quello stesso pacifico modo. Siamo tutti d'accordo che le proteste e la libertà di espressione sono un valido contributo al dibattito e che la violenza e il disordine non sono solo sbagliati ma danneggiano gli importanti obiettivi che stiamo cercando di raggiungere insieme”.

E proprio oggi nell'agenda del sindaco c'era un incontro per presentare le nuove telecamere che ogni poliziotto dovrà d'ora in poi indossare quando in servizio, all'interno di un progetto pilota che la città conta di allargare all'intero dipartimento di polizia. La proposta delle telecamere era stata lanciata questa settimana da Obama stesso che intende portarla al Congresso.

Grand Central

Il flash mob a Grand Central. Foto: Alexander Rubinstein

Le proteste comunque sono state accese ma per lo più non violente. Un gruppo è entrato a Grand Central Station dove decine di manifestanti hanno interrotto il tran tran quotidiano all'ora di punta e si sono distesi a terra in un flash mob dal forte valore simbolico. Un sit-in ha bloccato anche l'affollata Times Square mentre, a pochi isolati di distanza, al Rockfeller Center, dove mercoledì si accendeva, con la solita cerimonia in grande stile, il famoso albero di Natale, i manifestanti hanno cercato di irrompere nella piazza e bloccare la manifestazione al grido di No Justice No Tree. Ma la polizia in assetto antisommossa era ben attrezzata, aveva circondato l'area con transenne e cordoni e d è riuscita a respingere i manifestanti. Ma intanto altri gruppo si sono diretti verso ovest dove la marcia ha preso possesso, da nord e da sud, della West Side Highway ,bloccando il traffico di una delle arterie principali di Manhattan in entrambe le direzioni.

Mentre scrivo, su Internet scorrono in live streaming le immagini della protesta, alle 10 di sera ancora migliaia di manifestanti sono in strada e la polizia sta iniziando ad arrestare persone nel tentativo di liberare le strade e far riprendere la circolazione dei veicoli. Qualche momento di tensione quando alcuni poliziotti cercano di spingere sui marciapiedi i manifestanti che nella maggior parte dei casi reagiscono accerchiando gli agenti e gridando: “pacificamente!”. Alcune immagini girate nell'Upper West Side, su Broadway, mostrano manifestanti costretti a correre, spinti da un fila di auto della polizia. Ma, nonostante l'agitazione e il crescente volume dei cori contro la polizia, la situazione non sembra esplosiva e la città, malgrado i disagi, esprime solidarietà con i manifestanti.

New York non è Ferguson e non si aspetta di svegliarsi in una città in fiamme. Ma New York non ha intenzione di girarsi dall'altra parte. Il rapporto tra polizia e collettività è vissuto come una ferita aperta in una democrazia dove la parità dei diritti è ancora, almeno a parole, uno dei valori fondamentali. Eppure la popolazione nera d'America sa, perché lo vive nel quotidiano, che la realtà è un'altra.

Ma se in America il problema è vissuto soprattutto come questione razziale, l'uso eccessivo della forza da parte delle forze dell'ordine non fa vittime solo in America. E se non è il colore della pelle a fare la differenza, la fa il pregiudizio che si annida anche dietro una pelle perfettamente dello stesso colore di quella del poliziotto che alza le mani. Ce lo potrebbe raccontare un ragazzo ucciso perché aveva sbagliato, ucciso perché viveva "al limite della legalità"*, un ragazzo di nome Stefano Cucchi. 

Gli hashtag per seguire la protesta su Twitter:

#EricGarner #MikeBrown #NYC2Ferguson #ThisStopsToday #JusticeforEricGarner #IndictAmerica  #ICantBreathe #BlackLivesMatters #EveryLifeMatters

 


*Citazione dal comunicato diffuso dal sindacato di polizia in seguito alla sentenza della Corte d'Appello che assolve gli imputati nel caso Cucchi.

 

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Maurita Cardone

Maurita Cardone

Giornalista freelance, abruzzese di nascita e di carattere, eterna esploratrice, scrivo per passione e compulsione da quando ho memoria di me. Ho lavorato per Il Tempo, Il Sole 24 Ore, La Nuova Ecologia, QualEnergia, L'Indro, senza che mai mi sia capitato di incappare in un contratto stabile. Nel 2011 la vita da precaria mi ha aperto una porta, quella di New York: una città che nutre senza sosta la mia curiosità. Appassionata di temi ambientali e sociali, faccio questo mestiere perché penso che il mondo sia pieno di storie che meritano di essere raccontate e di lettori che meritano buone storie. Ma non ditelo ai venditori di notizie.

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