Non è facile giudicare i lavori cinematografici di Francesco Leprino, musicista e apprezzatissimo musicologo, nonché studioso della multimedialità e saggista, perché il suo modo di fare cinema, per molti versi unico, innovativo, può causare talvolta delle difficoltà di fruizione o deludere magari certe aspettative di chi li guarda secondo schemi classici di analisi cinematografica.
I suoi film hanno fortemente al centro la musica nella sua accezione aulica, volutamente non vogliono essere “mainstream”, commerciali, non cercano cioé l’effetto speciale con il classico un colpo al cerchio e uno alla botte pur di piacere, ma si pongono l’obiettivo di far riflettere sul modo in cui fruiamo la musica, perché i “messaggi”, fa capire il regista, sono nella musica, non nella sceneggiatura.
E così, dopo “Sul nome B.A.C.H” (2011), su Johann Sebastian Bach, “O dolorosa gioia” (2015), su Carlo Gesualdo di Venosa, e “Un gioco ardito, dodici variazioni tematiche su Domenico Scarlatti” (2005), ecco il suo nuovo lavoro “La corda spezzata – Musical barocco”: un titolo volutamente provocatorio per dire che la musica di Stradella, contrariamente a quanto si pensa comunemente, è moderna nella sua creatività ed improvvisazione, e che i personaggi formano un ensamble che ricorda nella sua struttura quello dei musical.
Il tutto grazie all’utilizzo di diversi piani narrativi, di dissolvenze, con i personaggi che entrano ed escono continuamente dalla fiction, dalla loro parte musicale e cinematografica, con continui salti temporali, come per permettere ai personaggi di guardare al loro passato “da una finestra”, rivivendo nell’oggi quelle emozioni amorose, quei luoghi.
Il film è un po’ concerto molto raffinato, un po’ fiction e un po’ documentario: tre elementi che insieme restituiscono dinamicamente il personaggio storico Alessandro Stradella, senza però romanzarlo troppo, come invece normalmente viene fatto nei film biografici. “
“La corda spezzata – Musical barocco” cerca di avvicinare la musica barocca ai nostri tempi: il se ci sia riuscito è compito degli spettatori, non mio, ma va comunque sottolineato che il visionario Francesco Leprino – che ha scelto di non fare montaggio musicale ma di presentare solo ‘musica live’ – ha comunque senz’altro il merito di provare sempre strade nuove di comunicazione e fruizione multimediale.
Ad indossare i panni di Stradella è il bravissimo Claudio Astronio, direttore d’orchestra, tastierista, clavicembalista di fama mondiale e studioso musicale “a tutto campo”, per certi versi, insomma, un ‘musicista barocco d’oggi’: vedendolo nel film suonare il clavicembalo e allo stesso tempo la tastiera elettronica si può cogliere in modo pregnante come si possa considerare davvero moderna la musica barocca del secondo ‘600.
Com’è nata l’idea di questo film su Alessandro Stradella?
“L’idea è nata principalmente dal fatto che io mi sono sempre occupato di musicisti con delle peculiarità che nella storia della musica hanno un valore musicale un po’ unico, che non hanno cioé né antecedenti né conseguenti, qualche volta fanno scuola e sono iniziatori di qualcosa: Stradella è uno di questi. Nel repertorio dei concerti la sua musica non è molto tenuta in considerazione come invece meriterebbe e quindi lo scopo del film è innanzitutto quello di far scoprire tutta la bellezza della sua musica, la sua particolare creatività e modernità. Poi mi ha interessato anche dal punto di vista biografico e cinematografico perché ha avuto una vita piuttosto avventurosa, tormentata: è morto infatti, accoltellato, a 38 anni a Genova, in piazza Banchi, dopo essere stato oggetto, qualche anno prima, di un tentativo di accoltellamento a Torino: insomma, è stato un personaggio, un artista, dalla vita un po’ particolare, che possiamo paragonare per certi versi a quella di Caravaggio o a quella di Gesualdo da Venosa, altro musicista precedentemente al centro di un mio film”.
Quale aspetto, o aspetti, di Stradella l’hanno particolarmente affascinata ?
“Innanzitutto il contrasto fra questa vita avventurosa, anche un po’ malsana, e una musica veramente purissima, unica, molto luminosa (più di trecento opere da lui composte in poco più di 15 anni). Mentre in Caravaggio possiamo cogliere una similitudine fra la biografia e la sua pittura, qui c’è veramente uno scarto grande. Voglio comunque precisare che “La corda spezzata” lo chiamo film – con il sottotitolo, un po’ provocatorio, ‘Musical barocco’ – anche perché quando i musicisti cantano e suonano in realtà stanno operando in una fiction cantata: insomma, stanno recitando musicalmente qualcosa che si avvicina molto al cinema, anche se poi viene magari considerata diversamente. Per me tutto parte comunque sempre dalla musica e dalle esecuzioni che – come in miei altri film del genere – sono il massimo che si possa avere dal punto di vista della qualità: sono cosciente che è una dimensione che è difficile possa essere colta, capita da chi non è avvezzo alla musica. Per molti è difficile cogliere la differenza tra un’esecuzione di mediocre qualità ed una di alto livello, mentre è più facile per lo spettatore comune capire la differenza tra un attore che recita male ed uno bravo”.
In seguito ai suoi approfonditi studi su Stradella, c’è qualcosa da aggiungere alla sua biografia?
“Ci sono molti libri su autori del passato che raccontano tante cose che non sono vere o sono solo presunte, di cui cioé non si hanno le prove, perché c’è bisogno di dare in pasto alla storia qualcosa che sia attaccata all’arte di un personaggio, che sia appetibile. Faccio un esempio calzante: Giorgio Vasari ha scritto le vite dei pittori, ma molte cose non sono vere, però fanno storia perché aggiungono un’aurea al personaggio, che se fosse soltanto il pittore sarebbe magari preso meno in considerazione dall’immaginario collettivo, popolare. La prima cosa che scopri indagando a fondo Stradella e la sua peculiarità musicale: ha, per esempio, influenzato moltissimo uno dei più grandi musicisti del ‘700, Georg Friedrich Hendel. Nelle sue partiture ci sono infatti molte cose prese dalla musica di Stradella e questo pochi lo sanno. Hendel, insieme a Bach, è uno dei più grandi compositori del ‘700 mentre Stradella è per molti un oscurio compositore della seconda metà del ‘600, periodo purtroppo poco frequentato dai musicisti e dagli esecutori. L’intento del mio film è quindi non solo quello di far conoscere l’opera di Stradella a chi ama la musica, ma anche di far emergere nuovi fruitori di essa: per questo motivo ho operato dei legami molto saldi e molto naturali fra il periodo Barocco del secondo Seicento e i nostri giorni, perché quel Barocco è molto più vicino a noi di quanto crediamo. Ho avvicinato le forme musicali di Stradella al jazz, al rock e al pop: sono molti, infatti, gli elementi che avvicinano la musica barocca, così apparentemente lontana, a forme musicali dei nostri giorni, come, per esempio, l’improvvisazione: i musicisti barocchi improvvisavano moltissimo, esattamente come i jazzisti. Lo conferma l’apertura del mio film, con un chitarrista che fa un’improvvisazione quasi hard-rock che poi si scopre essere un tema di Stradella”.
C’è un nesso tra le vicende umane di Stradella e la sua musica?
“Sì, le vicende umane di Stradella intanto si intrecciano col fatto che lui era abbastanza “birichino” nel suo rapporto con le donne. Questi musicisti nell’alveo romano, nell’alveo veneziano, fiorentino, genovese, avevano a che fare con queste cantanti che nelle chiese erano assenti, perché vi potevano cantare solo voci maschili o i castrati, invece in questi palazzi romani, dove succedeva di tutto e dove c’erano, per esempio, la regina di Svezia o Maria Mancini Colonna, ma anche i cardinali, era facile invaghirsi di qualcuno, qualcuna. Credo che Stradella fosse in fondo un ingenuo le cui creazioni musicali colpivano moltissimo: era un personaggio affascinante anche per il mondo femminile, infatti le sue mecenati maggiori furono la regina Cristina di Svezia e Maria Mancini Colonna, l’amante di Luigi XIV”.
In questo, come in altri suoi film, le immagini sono al servizio della musica: perché questa scelta? Una rivalsa verso il mondo del cinema?
“Un po’ provocatoriamente dico che il mondo del cinema – critci cinematografici, registi, cinefili, ecc – non è molto interessato alla musica, se non alla musica commerciale o di commento: non ha interesse per la grande musica, per la musica del passato, eccetera, tant’è vero che anche queste operazioni che faccio non hanno poi un grande riscontro nel mondo del cinema. Qualche volta li ho anche presentati a qualche festival, però mi rendo conto che non sono gli ambienti giusti – ma dovrebbero esserlo! – semplicemente perché la musica nel cinema viene solo usata: anche nei ‘biopic’ cinematografici dei musicisti al centro non c’è la musica ma la trama, perché il cinema è logocentrico, verbocentrico e quindi sono più importanti i dialoghi e la sceneggiatura per immagini, mentre la musica è, per così dire, una sorta di commento che serve ad esaltare queste cose. Nei miei film è esattamente il contrario: tutto è funzionale alla musica”.
Budget?
“Quasi inesistente. E’ una piccola produzione in proprio, fatta con un crowfunding, senza grandi sponsor o aiuti pubblici: il film è costato circa €30.000. Nonostante lo scarso budget è stato fatto un grande sforzo per cercare di renderlo molto cinematografico dal punto di vista visivo. E’ stato un lavoro molto duro ma sono felice anche per quanto riguarda l’ambientazione, perché nonostante il modestissimo budget ho potuto girare proprio nei palazzi romani, genovesi, veneziani in cui ha vissuto Stradella e non in set artificiali”.
Perché la scelta di musicisti che allo stesso tempo sono gli attori del film: solo motivi di budget o voleva dire qualcosa di particolare con questa scelta?
“In tutti i film in cui il protagonista è un musicista ci sono dei grandi attori che poi quando suonano o cantano vengono doppiati; oppure, se il personaggio è un grande pianista – vedi le decine di film sulla vita di Franz Liszt con grandi attori – le mani sul pianoforte non sono quelle dell’attore. Ora, poiché volevo che fosse la musica al centro del film, ho di conseguenza voluto che gli interpreti fossero realmente grandi musicisti che poi recitano anche. La recitazione non è al livello della loro musica – perché sono dei musicisti e non degli attori – ma, pur se tentato, ho rigettato l’idea di farli doppiare: il film avrebbe perso la sua specificità, sarebbe diventato una produzione standard. Inoltre, essendo l’attore un musicista poteva meglio esteriorizzare le emozioni che quella musica suscita dentro. Il protagonista è Claudio Astronio, grande musicista, che nel film dirige, suona, recita nei panni di Stradella, fa il musicologo che commenta e anche il musicista in una versione pop di uno dei brani di Stradella”.
Cosa fare perché la musica antica faccia veramente parte della nostra vita, cultura quotidiana e non sia invece soprattutto solo nominata o vista come musica, mi perdoni il termine, “di nicchia”?
“Beh, innanzitutto bisognerebbe smetterla di chiamarla ‘antica’, perché la musica è la musica, è tutto ciò – e questo succede nell’arte in generale – che non è morto, che è arrivato a noi, è eternamente presente, eternamente contemporaneo. Il problema è soprattutto educativo, perché siamo uno dei Paesi più in fondo nella scala dell’educazione musicale, perché in Italia la musica non ha alcuna valenza educativa. Nel sistema scolastico italiano la musica è ridotta al minimo, mentre – per non andare troppo lontano – in Germania, Francia e nei Paesi nordici tutti conoscono la musica, cantano da bambini nei cori, molti crescono imparando a suonare uno strumento, cosa che da noi succedeva fino alla fine dell’800, primi anni del ‘900. La musica è italiana nel mondo, fondamentalmente, però noi paradossalmente abbiamo perso questo collegamento. Occorre aprire le orecchie, ascoltare non passivamente ma attivamente, cioé non ascoltare la musica come tappezzeria mentre si fa qualcos’altro, perché la musica è un evento che colpisce tutti i sensi”.