C’è un papà che non ha la televisione. Ha 60 anni, è un artigiano del cuoio, vive nei colli bolognesi. Ma questa sera in tv c’è qualcosa che un padre non si perderebbe per nulla al mondo. Allora chiede ospitalità ai vicini, di 78 e 87 anni. Entra in casa loro e tutti e 3 ci si siede sul divano e si aspetta, sintonizzati su Rai1.
C’è un ragazzo che lavorava all’Ikea, aveva un contratto a tempo indeterminato. Ha 32 anni e un gusto musicale spiccato per il sintetizzatore. Ha anche un gruppo musicale, si chiamano Lo Stato Sociale. Vanno forti a Bologna, gli universitari cantano i testi di ogni loro canzone. Il contratto da indeterminato inizia ad avere i minuti contati. Dura 6 mesi. E’ il 2011 quando Enrico Roberto, detto il Carota, si licenzia. Lascia la casa che ha appena preso in affitto con un amico e va a dormire per un po’ in sala prove.

Non può immaginare che tra 7 anni salirà sul palco dell’Ariston e rischierà pure di vincere, mentre suo padre, Giuseppe Roberto, lo starà guardando dalla casa dei vicini.
Incontro il signor Giuseppe, un misto di gentilezza e spessore che ci parleresti assieme per ore, nei meandri dei social media. Qualcuno su Facebook ha appena scritto lo stesso ennesimo commento sul gruppo del figlio: ‘Ma non sono stonati?’. Giuseppe si intromette con garbo e lo fa presentandosi: ‘Ho guardato Sanremo solo perché c’era il gruppo in cui suona mio figlio, Lo Stato Sociale. Questi ragazzi molto seguiti dal pubblico giovane, sono un fenomeno del tutto estraneo all’ambiente dello show business italiano, si sono fatti anni di gavetta, andando su e giù per tutto il nostro Paese, arrivando ad avere un grande seguito, semplicemente perché hanno un linguaggio che arriva direttamente al cuore dei giovani. Non hanno la pretesa di diffondere un messaggio rivoluzionario, ma sono semplicemente loro stessi.’
Gli mando un messaggio privato, ci parliamo per telefono. E ne esce un ritratto di famiglia che assomiglia al brano in gara al 68esimo Festival di Sanremo de Lo Stato Sociale, dal titolo ‘Una vita in vacanza’. Un inno generazionale, di ragazzi che si sacrificano senza sapere se riusciranno mai a raggiungere il proprio sogno. Come dice il testo, ‘Vivere per lavorare o lavorare per vivere’.
‘Stiamo vivendo il tutto con molta tranquillità, sia io che Enrico – spiega il papà Giuseppe – Frequento il mondo della musica anch’io . Sono originario di Napoli, arrivai a Bologna nel 1977, gli anni del fermento musicale. Enrico le prime tastiere le ha trovate in casa. Quando ha scelto di provare a vivere di musica io non ho potuto che sostenerlo, l’ho sempre appoggiato. Certo, ero preoccupato ma ho visto questa decisione come un atto di responsabilità da parte sua. Non ha mai avuto l’obiettivo di diventare famoso ma è stato un cambio di vita che ha richiesto dei sacrifici. Solo da un anno ha smesso di lavorare come cameriere nei ritagli di tempo per mantenersi.’
Niente talent show, niente Amici o XFactor, solo tanti palchi, testi di canzoni pungenti e dritti dentro alle piaghe della situazione italiana giovanile. Un seguito che aumenta concerto dopo concerto.
‘La canzone del Festival non è la mia preferita – ammette il signor Giuseppe – il mio suo brano preferito è ‘Niente di speciale’’.
Ma com’è il Festival visto da un genitore di un big in gara?
‘Mi chiamano ‘Il padre del carota’, sto vivendo la celebrità di rimando, il mio Facebook e Instagram si sono riempiti di richieste di amicizia. Diciamo che sto vivendo una settimana intensa anch’io.’
Lo Stato Sociale è stato il vero effetto sorpresa del Festival soprattutto per la performance, accompagnata da Paddy Jones, una ballerina 83enne inglese da guinness del mondo, che nessuno si aspettava. Compare quando il ritornello dice ‘una vecchia che balla’ e lascia tutti a bocca aperta.

‘Sarà per questo che sono così popolari anche tra gli anziani, il gruppo ha un pubblico molto eterogeneo. Mi diverto a vedere il Festival con i miei vicini, loro li apprezzano molto.’
Papà, fan, amico, ma anche difensore dagli hater?
‘No per carità, a qualcuno rispondo ma non a tutti. Ho di meglio da fare. In tanti dicono che sono stonati, e questo detto tra noi è pure vero. Ma loro sono così. Gli ipercritici ci sono sempre ma temo non abbiano capito il messaggio del gruppo di mio figlio. Loro ti dicono: non ci serve essere famosi, noi siamo delle persone qualsiasi che riescono ad andare al cuore del problema, facendolo con sarcasmo e ironia.
Sul divano della casa dei vicini sta per esibirsi Enrico, il papà fissa lo schermo di Rai1. ‘Ogni volta non ci posso credere, è un’emozione molto forte anche perché so quanta fatica e quanta paura c’è dietro, quando prendi una strada e ti chiedi se ti porterà mai da qualche parte. So che la notte prima dell’inizio del Festival non ha dormito. Certo, sono molto orgoglioso. Ad Enrico e ai suoi amici del gruppo auguro di rimanere sempre sé stessi, auguro di proseguire questa strada prendendo solo il buono che c’è. Senza ansia e senza preoccupazione, che tanto in questa vita siamo tutti impermanenti.’