È il Festival che torna indietro per andare avanti. E lo fa con classe, con brani meravigliosi ripescati dagli anni ’70 ma non solo. Quasi quattro ore di show che filano nella terza serata di un’edizione classica che si sta dimostrando molto amata dai tradizionalisti e che nella seconda serata ha registrato il 41,67 per cento di share. Il festivaliano medio non ama divagazioni intellettualoidi, ospiti troppo di nicchia (si pensi allo Stromae dell’anno scorso). Piuttosto vorrebbe vedere Mina salire sul palco. Ma chi non lo vorrebbe. Mina sale sul palco e vince con le sembianze, la barba, gli occhi azzurri, l’arrangiamento graffiante e la forte interpretazione di Filippo Neviani, in arte Nek, che con una Se telefonando al maschile porta a casa il primo premio consegnato da Carlo Conti, quello del vincitore della serata cover. Un contest dentro al concorso, un sunto di quanto la buona musica italiana ha dato nei decenni, esportando melodie e testi in tutto il mondo.

Raf interpreta “Rose rosse” di Massimo Ranieri, del 1969. Foto: Stefano Lombardi

Irene Grandi canta “Se perdo te” di Patty Pravo, del ÔÇÿ68. Foto: Stefano Lombardi

Anna Tatangelo interpreta “Dio come ti amo” di Gigliola Cinquetti scritta nel ÔÇÖ66 con Domenico Modugno. Foto: Stefano Lombardi

I soliti idioti portano all’Ariston “E la vita, la vita” di Cochi e Renato. Foto: Stefano Lombardi
Raf interpreta Rose Rosse di Massimo Ranieri, canzone del 1969, anche nel look con un completo che è tutto una rosa rossa. È accompagnato da un bel coro che fa più da sfondo che da tappeto vocale. Peccato che l’afonia non lo salvi e che l’interpretazione lasci a desiderare. Irene Grandi canta Se perdo te di Patty Pravo del ‘68 in una perdibilissima versione di sé stessa. Si aggrappa a qualche consenso in più Moreno con Una carezza in un pugno di Celentano, del 1968. Il rapper vestito da imbustato elegante pinguino fa del suo meglio e Conti finisce per rispondergli a suon di rap.
Anna Tatangelo scende la scalinata trasparente dell’Ariston come una bambolona vagamente beleniana, fasciata da uno svolazzante abito nero molto scenico. Ma quanto ci manca il candore di Gigliola Cinquetti mentre interpreta la sua Dio come ti amo che le scrisse nel ’66 nientemeno che Domenico Modugno. I soliti idioti, nomen omen, tentano una E la vita, la vita di Cochi e Renato del ’74. Lo fanno vestiti in stile anni ‘50, con cappello e sciarpa. Vero, non è una canzone che richiede chissà che abilità ma il carisma non si compra al supermercato.
Chiara Galiazzo punta su Caterina Caselli (che sul Festival aleggia come un’ombra potente) e interpreta la sua Il volto della vita del ’68. Chiara è finalmente donna, una Jessicona Rabbit con anelli dorati, capelli lunghi da un lato e immancabile vestito rosso da famme fatale. Per quanto ci riguarda potrebbe essere vestita anche in tuta: quando la voce fa la differenza.
Mare mare, successo di Luca Carboni dell’82, sta bene addosso a Nesli, che lo spezza con una strofa rap. Persino meglio del suo brano in gara.
San Valentino, santo che quest’anno si fonde alla perfezione con San Remo, si avvicina quando i ragazzi dei Dear Jack, alla fine di Io che amo solo te di Sergio Endrigo del 1962, consegnano rose in platea. E Platinette finalmente si sente a suo agio nei panni che l’hanno resa famosa: con il classico grande parruccone cotonato biondo e una scenografia che richiama il muso di una Ford Thunderbird, crea un Alghero di Giuni Russo quanto mai spassosa e caraibica. C’è anche Grazia Di Michele ma nessuno la calcola ed è meglio per lei.
I magici anni ’70 serpeggiano con melodie storiche e testi che identificano una nazione in modo preciso e persino Bianca Atzei non riesce a rovinare Ciao amore ciao di Luigi Tenco del 1967. Alex Britti canta Io mi fermo qui dei Dik Dik del ’70, una scelta fuori dal coro, con un’interpretazione fuori dallo spartito.
I cantanti proseguono di quattro in quattro, si vota per batterie. Dopo ogni quadriglia solo uno passa il turno. Lorenzo Fragola si cimenta con Una città per cambiare un brano stupendo di Ron del 1980. Al Volo piace vincere facile con Ancora di Eduardo De Crescenzo del 1981. Sta bene al timbro urlatino di Annalisa Ti sento dei Matia Bazar del 1985. E Lara Fabian ritira fuori la voce tutta in un colpo con un brano già nel suo repertorio da 20 anni: Sto male di Ornella Vanoni del ’73. Intensa.
È per Gianluca Grignani la Vedrai vedrai di Luigi Tenco del 1965 e la sua performance si distingue per la scenografia con un polipo e una medusa giganti illuminate che gli ballano attorno. Nina Zilli riporta in auge un brano di Canzonissima del ‘69. Vestita di un mantello cangiante effetto fluo riprende l’inflazionato Massimo Ranieri di Se bruciasse la città.
Malika Ayane prende coraggio e fa una delle cose più difficili per un cantante: interpreta Vasco. Ma Vivere del ‘93 rivive di luce propria: gli archi la rendono magica e Malika è intensa come non mai. L’imprecisione su di lei diventa un valore aggiunto. Come superare Vasco in un battito d’ali.
Marco Masini, con Sarà per te di Francesco Nuti del 1988, passa il turno, battendo anche Malika, ma nelle orecchie riecheggia la sua Che giorno è, in gara. L’unico caso di tutta la serata dove la sua canzone di questa 65ª edizione del Festival è più intensa della cover.
Non banali gli ospiti della serata, a partire dagli Spandau Ballet. Tornano nella cittadina ligure 30 anni dopo il 1985. Il momento revival parte con immagini e prosegue con dati, ad esempio quello dei 25 milioni di dischi venduti nel mondo. La leggenda canta Through the barricades, Gold, True. Un momento dedicato a chi era adolescente negli anni ‘80 con una standing ovation scontata.
Un po’ troppo lunghi invece i silenzi di Samantha Cristoforetti, in collegamento dallo spazio. Carlo Conti le chiede cosa le manchi di più della Terra. Risposta: “un’insalata di pomodori, lavarmi le mani o farmi una doccia. Ma sono fortunata, il mio corpo si è abituato subito all’assenza di gravità”.
I comici Luca e Paolo sono pungenti e non scontati. Con battute al vetriolo parlano di coppie gay e cantanti defunti. Una chiave leggera per leggere temi non altrettanto leggeri.
"Mi sono sentito un tutt’uno con l’orchestra", dichiara Nek al momento della meritatissima premiazione. Spodestati dalla vittoria Il Volo, terzo posto per Marco Masini, quarto persino Moreno, quinti i Dear Jack.
Sarà anche il Festival dell’usato. Ma se è così tanto garantito, chapeau.