Quora è un social interessante, anche se, come tutti i social, rischia di divorarvi la parte sana di una mattinata di lavoro senza che manco ci facciate caso prima che sia troppo tardi.
Funziona così. Uno va su Quora e fa una domanda su un argomento che lo perplime. Possono essere anche domande all’apparenza stupide, ma proprio da esse a volte scaturiscono le risposte più interessanti. Uno magari chiede perché il cielo è blu, ed ecco che il giorno dopo uno scienziato della NASA fa dono a tutti di una lunga e dettagliata risposta, resa in un inglese facilmente accessibile. Un americano che aveva domande riguardo all’accordo sul nucleare tra USA e Iran si è visto rispondere da Barack Obama in persona.
“Come migliorare la propria grammatica italiana?”
Questa era la domanda che un tizio ha posto su Quora qualche giorno fa.
Non sono un linguista di professione, ma, appena l’ho letta, ho sentito che la risposta la sapevo e bastava articolarla. Cose che succedono quando la vita e il lavoro ti hanno portato a padroneggiare due o tre idiomi in aggiunta alla tua madrelingua. Un processo che porta a farsi domande sulla natura della lingua, la propria e quella degli altri, e a darsi delle risposte.
Ora, immagina che quella domanda l’abbia fatta tu, caro lettore. E immagina che sia io a risponderti. È una domanda solo apparentemente banale. Infatti, prima di provare a rispondergli, deve essere inquadrata e messa a fuoco. Cos’è davvero la grammatica? Perché ci serve? Qual’è il suo scopo?

Pensa a questo. Se tu salissi su di un aereo, volassi in Sicilia e affittassi una macchina per andare a Mazara del Vallo a parlare con un pescatore, incontreresti Vito, un signore italiano che ti parlerebbe in una lingua che ha un suo lessico e una sua grammatica perfettamente adeguati al lavoro e al ruolo che Vito svolge nella società.
Quella grammatica non ha particolari esigenze di essere migliorata: funziona benissimo così com’è. Pur essendo molto distante dall’eloquio di un Luca Serianni, la lingua che parla Vito soddisfa appieno le sue necessità cognitive e comunicative. Punto.
E allora di cosa parliamo quando parliamo di grammatica? Penso che tu ti riferisca a un’altra grammatica che Vito probabilmente non padroneggia molto, una grammatica di grande prestigio insegnata nei licei classici e scientifici italiani. Si tratta della grammatica “dotta” che prende le mosse dall’osservazione dell’italiano colto di letterati e uomini di cultura per arrivare a definire una lingua abbastanza complessa.
Diamogli un nome a questa grammatica “di prestigio”, chiamiamola “normetta dotta”. Chi parla quella lingua senza scostamenti dalla norma (quello che molti chiamano “errori di grammatica”) dimostrerà a tutti che almeno il liceo lo ha fatto bene (e forse anche qualcosina di più).
Attenzione ora. Le parole sono importanti: uso il termine “normetta” non perché io voglia sminuirne l’importanza (se uno scrive per lavoro, la norma dotta va saputa eccome!), ma per metterla nella giusta prospettiva prima di risponderti. La grammatica dotta è, da un certo punto di vista, una grammatica come le altre.
In particolare, alla pari delle altre grammatiche, quando la usi devi farti questa domanda: è una grammatica adeguata alle tue esigenze comunicative? Riesce a farti esprimere in modo efficace? Chi ti legge e ti ascolta capirebbe ciò che dici?

Potrebbe venirti da rispondere sì d’istinto, ma fai molta attenzione: quella risposta varrebbe anche se tu stessi parlando con Vito a Mazara del Vallo? Probabilmente no. Con Vito, pur rimanendo nell’ambito dell’italiano, sono pronto a scommettere il prezzo di tre chili di mazzancolle che modereresti i termini ricercati ed eviteresti congiuntivi diafasici e periodi ipotetici della possibilità, col carico di condizionali e congiuntivi che la norma dotta gli accolla.
Grammatica di grande prestigio la normetta, ma non universale e universalmente adeguata in ogni occasione, quindi. Tra l’altro la norma dotta non è neanche troppo rigidamente definita. Non solo ci sono state variazioni significative nell’uso dotto dell’italiano negli anni, ma le grammatiche non sono neanche sempre coerenti tra loro. Dirò di più. Il titolo di “normetta dotta scolastica” ci sta bene visto che nessuno si è mai presa la briga di normativizzare l’italiano ufficialmente. Neppure l’Accademia della Crusca (tra parentesi, io gli avevo consigliato di crearla una styleguide alla Crusca, ma quelli non mi hanno ancora risposto).
Fatta questa premessa, è ovvio che, in moltissime occasioni, la normetta dotta vada saputa. La domanda sulla grammatica da migliorare si riferiva a quello: se per lavoro dobbiamo scrivere un documento ufficiale o una lettera, o anche solo un’email a un cliente, frasi non costruite secondo la normetta dotta potrebbero non proiettare un’immagine di noi stessi coerente con quella che intendiamo offrire.
Attenzione ora. Quella normetta dotta ti sarà molto più facile da padroneggiare quando ti renderai conto di quant’essa si allontani dalla tua “grammatica naturale”, che è poi, oramai, la grammatica naturale della maggioranza degli italofoni che hanno completato con successo sicuramente il liceo, ma in molti casi anche la sola scuola dell’obbligo.
Esiste un italiano usato quotidianamente che si allontana in modo significativo dalla normetta dotta. È l’italiano che i linguisti chiamano neostandard. È un italiano che prende le mosse dalla normetta dotta, ma che oramai esiste al di fuori di essa e che troviamo quotidianamente in TV, nei blog, sui giornali e anche nei libri. Ti faccio un esempio tratto da un mio articolo scritto quando ho presenziato alla conferenza stampa dopo l’incontro di Stato tra i presidenti Trump e Mattarella a Washington DC nell’autunno 2019. Ecco l’incipit:
“C’avete presente quell’espediente cinematografico che permette ai personaggi del piccolo e grande schermo di abbandonarlo quello schermo per andarsi a unire ad altri personaggi della vita reale?”
Se avessi scritto un periodo di questo tipo in un tema al liceo, sarei stato redarguito. Questa non è normetta dotta. Intanto il verbo “averci” è tipico del registro parlato, ma anche l’uso del pronome quando la frase già contiene il nome a cui è riferito (abbandonarLo quello schermo) esula dalla normetta dotta (i grammatici la chiamano dislocazione, forse perché certe professoresse liceali avrebbero dislocato una spalla a chi si fosse azzardato a usarle in un testo scritto). Eppure è italiano. Infatti è “panitaliano“. Viene compreso e usato in tutt’Italia. Se tornando da fare la spesa tua moglie (o tuo marito) ti chiedesse “Le mele le hai comprate?“, tu non ti fermeresti a pensare all’errore di grammatica. Non ci sarebbe stato errore alcuno! Il coniuge avrebbe solo espresso in modo efficace il concetto fondamentale che voleva comunicare, mettendo le mele in primo piano.
Ecco, io, che penso di conoscere la grammatica italiana (normetta dotta inclusa) meglio della media, per il mio articolo ho trovato adeguato uscire dalla normetta in alcuni punti per avere uno scritto più efficace e immediato, come se parlassi a qualcuno che sta seduto accanto a me con un tono di familiarità che mi appare consono (leggere l’articolo per credere).
Torniamo alla tua domanda quindi. Mi sembra di indovinare che quello che chiedi tu sia “Come faccio a diventare un asso di ‘normetta dotta’?”, “Qual’è il metodo che hai usato tu?”
Ora che hai una mappa approssimativa delle varie grammatiche, la risposta è: leggi e osserva più che puoi. Quando leggi documenti di registro alto (quelli che verosimilmente usano la norma dotta), pensa a come diresti la stessa cosa parlando a tua moglie. E viceversa. Quando esprimi un concetto semplice, prova a scriverlo su carta o al computer con un linguaggio altisonante e preciso, non dimenticando di verificare ogni dubbio sul vocabolario e sul libro di grammatica.
Attento che le grammatiche italiane spesso contengono imprecisioni e vere e proprie sciocchezze. Dovrebbero descrivere le regole della lingua vera, ma in realtà non lo fanno. Un esempio eclatante. Più spesso che no la spiegazione dell’uso del congiuntivo è pura fantagrammatica (le regole descritte non sono quelle che in effetti determinano l’uso di quel modo verbale in italiano). Avevo scritto un articolo in proposito, articolo che ti consiglio vivamente: ti aiuterà a mettere a fuoco i diversi registri che usiamo in italiano nelle diverse occasioni.
Un meme che appare a volte sui social quando si ironizza sulla grammatica degli altri (source: Tenor)
A questo punto avrei finito, ma sento l’obbligo di fare un po’ di chiarezza qualora decidiate di approfondire ulteriormente. Se un giorno chiedeste cos’è la Grammatica ad un linguista vero, quello vi risponderebbe come ho fatto io? Forse no. Probabilmente non raffigurerebbe una “compartimentalizzazione” come la mia. Per i linguisti esiste “la” Grammatica.
Se vostro figlio di quattro anni vi chiedesse cos’è quello che si vede da un lucernario, voi gli rispondereste:
“È il cielo, figlio mio”.
“E allora il cielo che vediamo quando siamo fuori è fatto di tanti cieli?” – potrebbe incalzarvi il pargolo con la sua vivace mente inquisitiva.
“No, figliolo. Il cielo è uno. Quello che vedi in soffitta è solo un pezzetino. Ma il cielo non è diviso in quadrati. Il cielo è uno, con la sua grande estensione e varietà di colori e sfumature”.
Eccola l’analogia che cercavo. I linguisti non parlano di grammatiche, ma della Grammatica: l’insieme delle convenzioni che permettono la stabilità linguistica nelle manifestazioni espressive e fonetiche dei parlanti. Un concetto che va molto oltre la norma scolastica di cui ho parlato nella mia risposta. E hanno ragione loro, gli scienziati della lingua, ovviamente. All’atto pratico, però, cambia poco. Se sei un “laico” dei temi linguistici, adesso hai una panoramica più ampia di cosa sia la grammatica e dovrebbe esserti chiaro che la grammatica didattica della scuola italiana, la normetta dotta data dalle “regolette delle maestre”, è un punto di partenza, ma non è il Vangelo.