C’avete presente quell’espediente cinematografico che permette ai personaggi del piccolo e grande schermo di abbandonarlo quello schermo per andarsi a unire ad altri personaggi della vita reale?
L’avrete visto anche voi molte volte. Per dirne una, Tom Baxter, personaggio di un film dentro il film ne “La Rosa Purpurea del Cairo”, vede Cecilia per l’ennesima volta tra il pubblico e decide di uscire dallo schermo per parlarle di persona.
Oggi, 16 ottobre, mi è successa una cosa simile, anche se per me la cosa ha funzionato in senso inverso.
Il film è quello che abbiamo visto tutti in svariate occasioni, e il set è quello della Casa Bianca, inclusa la press room, quella stanza blu che avrete sicuramente osservato migliaia di volte nei telegiornali, quella in cui tutti i presidenti che si sono succeduti negli ultimi quarant’anni hanno risposto alle domande dei giornalisti americani e internazionali su avvenimenti che oggi troviamo nei libri di storia.
Ebbene sì: ho trafitto lo schermo e mi sono trovato dentro quella stanza. Cosa c’ho trovato?
Attrezzatura per le riprese, ma anche il gotha del giornalismo italiano come probabilmente non lo avete mai visto: gente come noi, che ride, che piange, che non trova l’auricolare, che chiama il quartier generale per dare e avere aggiornamenti, che si dispera di non riuscire a completare il servizio per il TG delle 8 (ora italiana). Chi l’avrebbe mai detto?
Procediamo con ordine
La Voce di New York mi ha spedito a Washington per essere gli occhi e le orecchie del giornale protetto dal primo emendamento. Il direttore Stefano Vaccara mi aveva prospettato la possibilità un paio di settimane fa e io avevo accettato entusiasticamente, nonostante la prospettiva di un lungo viaggio da Ashburn, Virginia (circa 40 minuti di macchina dalla Casa Bianca).
Se incontrare il nostro presidente Mattarella non è cosa di tutti i giorni, vedere dal vivo una performance del campione assoluto del circo populista planetario è un’occasione che un uomo del nostro tempo non può lasciarsi sfuggire assolutamente!
Gli stretti protocolli di sicurezza hanno costretto tutti i professionisti dell’informazione presenti a una levataccia e ad una lunga attesa nella press room. Ma l’aspettar mi è lieve in compagnia di giornalisti del calibro di Federico Rampini, Claudio Pagliara e Giovanna Pancheri e altre penne e volti noti del giornalismo italiano.
Purtroppo non sono parte del gruppo scelto che va nello Studio Ovale a riprendere la stretta di mano tra i due presidenti, ed è un vero peccato, perché anziché i cinque minuti per le foto e le strette di mano, the Donald già si scatena con dichiarazioni ad ampio raggio su dazi commerciali, curdi, turchi e tutto ciò che gli passa per la testa. Dei protocolli lui se ne frega. I giornalisti l’hanno già capito da un pezzo.
Eccomi di nuovo a interpretare la parte del giornalista anch’io, quindi. Per quel ruolo bisogna essere un minimo preparati. Occorre essere un po’ aggiornati sulla situazione politica italiana, americana e internazionale. Occorre saper mettere nero su bianco con le parole un discorso coerente. E, soprattutto, occorre saper leggere tra le righe del linguaggio diplomatico usato a certi livelli. che, storicamente, non è mai stato di immediata lettura ai non addetti ai lavori.
“È nell’ottica di questi ultimi sviluppi che osserviamo con grande interesse e preoccupazione l’evolversi di una situazione che potrebbe avere risvolti indesiderati per gli interessi nazionali e quelli delle altre forze della coalizione e dei loro partner.”
Una volta occorreva analizzare anche le virgole per essere sicuri di comprendere il significato vero delle frasi di presidenti, ministri e personale diplomatico. Ma sapete una cosa? Da un paio d’anni a questa parte capire le sottigliezze del linguaggio diplomatico non è più così dura. A facilitare il compito è stato proprio Mr. Trump.
“Abbiamo più bombe atomiche di tutti gli altri, e se qualche paese di merda rompe i coglioni agli americani, io li cancello dalla faccia della terra.”
Una frase così Trump non l’ha mai detta per intera, ma i singoli frammenti sì. Il presidente spaccone le cose le dice così. E se si tratta di una visita di Stato, poco importa. Tutto più facile al giorno d’oggi per i giornalisti, sia per quelli di lungo corso che per quelli improvvisati come me.
Scommetto che se mi ci mettessi, potrei anch’io fare la traduzione simultanea. Non parlo di quella dall’inglese all’italiano, ma di quella dal diplomatese al trumpese e viceversa.
Trump parla di paesi di merda (shithole countries) che ci mandano i criminali? Ed ecco la mia voce suadente spiegarvi in cuffia di come l’immigrazione indiscriminata dai paesi in via di sviluppo di persone meno fortunate di noi non è un modo di gestire le politiche immigratorie che incontra il sostegno dell’amministrazione statunitense. In effetti un servizio di traduzione così sarebbe utile alla Casa Bianca di questi tempi.
Torniamo al racconto
Arriva finalmente il momento di creare il serpentone dei giornalisti che, sotto una pioggia maldita, va dalla press room alla sala in cui si terrà la press conference. Giovanna Pancheri molto gentilmente mi offre riparo sotto il suo ombrello. Un angelo del paradiso.
Raggiungiamo la sala. Ogni seggiola ha un auricolare a disposizione per chi avesse bisogno di traduzione dall’inglese o dall’italiano. Non mi serve. Lo metto sotto alla sedia e m’asseggo.
Sono atterrato accanto al mitico Federico Rampini di Repubblica, cose che succedono quando si bazzica la Casa Bianca. Nella lunga attesa prima dell’arrivo delle autorità, discutiamo amabilmente della vita da expat in USA.
L’attesa prima che arrivino i presidenti è lunga, ma neanche tanto vista la compagnia. Si apre la porta laterale ed escono i funzionari del Quirinale, funzionari americani, il nostro ambasciatore Armando Varricchio e il pur sempre miracolato zelig-di maio, oggi nella strabiliante interpretazione di ministro degli esteri italiano. Occupano le prime file.
Poi arriva alla chetichella anche Mike Pence, il vice-president, come da protocollo immagino. E poi, finalmente, entrano i due presidenti e cominciano le danze.
Le lingue utilizzate dai due presidenti sono abbastanza diverse: Mattarella parla diplomatese italiano, mentre Trump utilizza il trumpese che è una variante dell’inglese americano di grande efficacia nel bene o nel male.
Siete fortunati. Ci sono qui io e posso farvi la traduzione in italiano semplice della chiacchierata tra paesi amici che è andata così per quanto riguarda Donald Trump:
“Ottima relazione tra i nostri paesi con cui abbiamo una cultura comune di migliaia di anni. L’arte, la musica e altre cose di cui non so una mazza e poi Cristoforo Colombo, di cui non me ne frega niente, ma siccome per qualche motivo la sinistra qui in USA ce l’ha con lui, allora a me piace così e continuiamo a chiamarlo Columbus Day. Continuiamo a cooperare con l’Italia contro l’ISIS, ma gli italiani non pagano abbastanza per stare nella NATO e non pagano abbastanza neanche gli altri. Che l’Italia paghi almeno il 2% del PIL, e così facciano gli altri paesi. Ok vi siete comprati gli F-35, ma compratene di più. Per quanto riguarda la Libia, non ce ne fregherebbe niente, ma siccome gli italiani ci fanno du’ palle così allora diciamo che qualcosa ci importa anche a noi. Ne approfitto per tirare un po’ d’acqua al mio mulino di politica interna. Controllare la Libia serve per evitare l’immigrazione clandestina e, a proposito, i Democratici americani non ci stanno aiutando a gestire l’immigrazione. Ci hanno aiutato di più i messicani, riuscite a crederci? Tornando all’Italia, non mi piacciono i dazi della UE, perché siccome noi importiamo più di quello che esportiamo, vogliamo che l’Italia ci aiuti a convincere la UE a prendersi i dazi senza ritorsioni. Tutti si approfittano degli Stati Uniti. Potrei risolvere con uno dei miei metodi, ma non voglio essere troppo duro. A proposito, non vi fidate dei cinesi e del loro 5G. A proposito coi cinesi stiamo facendo dei buoni accordi per il commercio. Signor presidente, che bello averla qui con noi. Siete così bravi e siamo così alleati. Stasera ricevimento anche se preferirei essere in Florida a giocare a golf.”
Volevo fare un applauso alla performance. Neanche Grillo nei tempi migliori andava a ruota libera così nei suoi spettacoli. È come se Donald non avesse più un ghostwriter per i discorsi e se li scrivesse da solo. Voli pindarici su cose che non c’entrano un cacchio l’una con l’altra, senza alcuno scrupolo, neppure il buon gusto di non parlare di problemi “domestici” durante una visita di stato. Il tutto condito con quella spacconeria al limite del bullismo che lo ha rappresentato sin da quando è apparso sulla scena politica nel 2015.
Sergio Mattarella non ha battuto ciglio ed ecco anche qui la mia traduzione dal suo linguaggio diplomatico:
“Le nostre relazioni sono fantastiche e ci sono così tanti italoamericani in America. Viva Cristoforo Colombo anche per me. Che alleati fondamentali che siete cari americani. Riguardo alla NATO contribuiamo anche troppo. Per quanto riguarda le tensioni commerciali, perché non la pianti con i dazi che finiscono per fare un casino e danneggiare tutti? Riguardo ai curdi, siamo preoccupati dagli attacchi turchi al confine siriano che stanno già facendo morti e profughi, oltre a smarcare di nuovo l’ISIS che era praticamente finito. Noi la Turchia la condanniamo eccome. La Libia ci preoccupa e gli USA non stanno facendo abbastanza per risolvere la situazione. Riguardo la Cina, quelli copiano tutto e se ne fregano. Lavoriamo insieme per fare in modo che non copino tutto alla facciazza delle regole sulla proprietà intellettuale.”
Bravo Presidente. Riesce a tenere testa al bullo e ad essere presidenziale nello stesso momento. Fine primo round: applauso e prima stretta di mano.
Le domande dei giornalisti cominciano. Dichiarazioni dei due presidenti sempre secondo la mia “particolare” traduzione:
The Donald: “Erdogan sta scaldando i motori per invadere la Siria e siccome la Siria non è amica nostra, chi se ne frega? E i curdi? Non sono amici e non sono nemmeno degli angioletti. Se ci vogliono andare i russi in Siria, prego, ma a noi non ce ne frega niente. Tra l’altro la Turchia è un paese NATO. Metteremo delle sanzioni sulla Turchia, ma riportiamo 28 soldati che abbiamo lì a casa, ma io non voglio che i nostri soldati stiano lì, li riporto a casa alla facciazza dell’industria bellica. Grazie a me adesso abbiamo una forza militare enorme che prima era stata svuotata da guerre di cui non ce ne fregava niente. Adesso abbiamo munizioni, armi, cannoni, missili nucleari in abbondanza. Ho mandato una lettere a Erdogan di non fare il cattivo, specialmente ora che grazie a me abbiamo sconfitto l’ISIS (che poi mica l’ha sconfitto Obama, quello aveva fatto un casino). Ma ora riporto a casa i nostri soldati perché io sono un pacifista. Mi sono rotto di difendere paesi che per giunta non ci amano e poi non pagano. Ad esempio l’Arabia Saudita che prima non pagava, ora paga. E a proposito, fatemi riparlare della NATO e degli europei che non pagano abbastanza. E a proposito della Turchia, se danno fastidio li distruggo economicamente e voglio riportare a casa i soldati perché vedo le bare dei soldati americani che tornano a casa dal medio oriente.”
Mattarella, rispondendo alla domanda sulla web tax a Google e Amazon: “No, non ne abbiamo discusso, ma è importante. Ci sono altre sedi in cui discutere”.
Ma lì interviene the Donald: “La digital tax non mi piace. Intendiamoci: Facebook e Google mi stanno sulle balle perché mi hanno fatto perdere due milioni di voti. Ma sono pur sempre aziende americane, per questo ho messo le tasse sul vino francese così imparano. Le nostre aziende le tassiamo solo noi. E che cazzo.”
Arriva la bravissima Giovanna Pancheri. Domanda per Mattarella sulla Turchia: basterà il bando alla vendita d’armi come reazione per portare la Turchia (membro NATO) a più miti consigli sul discorso curdi?
Domanda per Trump: È stato lei a chiedere a Conte di ricevere Barr per avere informazioni dai servizi segreti italiani? Quali informazioni?
Il bullo si intromette e non lascia rispondere Mattarella. Vuole rispondere alla sua domanda per primo.
“C’è stata così tanta corruzione nel 2016 di tutti gli apparati governativi esteri per farmi perdere le elezioni. Forse c’entra anche Obama. Non so dei meeting di cui parla lei, ma va benissimo perché anche l’Italia potrebbe essere stata coinvolta in questo gioco. Chiedete a Barr.”
Finalmente l’unico presidente presidenziale può rispondere alla sua domanda: “La Turchia è importante per la NATO, ma i rapporti di amicizia non impediscono che alla Turchia gli diciamo che quello che stanno combinando a noi non va bene. Se non si fermano subito arriveranno le sanzioni e altro.”
Ora tocca ad un giornalista americano della ABC che, conoscendo bene il bullo evidentemente, lo incalza con domande su Erdogan:
Giornalista: Perché gli ha dato il via libera a invadere la Siria?
DM: Siete una TV di falsari. Dovreste scusarvi.
Giornalista: Lindsey Graham [NdR: senatore repubblicano che ha criticato la scelta di Trump di abbandonare i curdi] ha detto che se lei rilascia dichiarazioni così sarà un disastro peggio di quando Obama si è ritirato dall’Iraq.
DM: Lindsey vorrebbe stare nel medio oriente per mille anni. Farebbe meglio a occuparsi dei suoi guai giudiziari. È come i democratici: non fa nulla. Dovrebbe concentrarsi su quelli della Carolina del sud e farsi gli affari suoi. Questo è quello che vuole l’America, ci scommetto. I curdi non sono angeli, avevano il PKK che era peggio dell’ISIS.
Giornalista: Ma non crede che il paese odi l’ISIS.
DM: Sì, ma lasciate gestire il problema ai russi, all’Irak, ai turchi. Noi ce ne veniamo via.
Giornalista: Ma come non aveva detto che erano solo 28? Cosa è successo dopo che ce ne siamo andati?
DM: Sai cosa è successo? Non è morto nessun americano.
Domanda dello stesso giornalista per Mattarella.
SM: Ho già detto cosa penso della Siria e non parlo a nome di altri paesi.
Saggio. Che senso avrebbe entrare in polemica con Trump sul palco?
Donatella Di Nitto pone a Mattarella domande sui dazi. Domanda per Trump: “Riguardo a Huawei e il 5G, lei è contento di come gli italiani gestiscono la questione?”
DT: Sì, sono contento sul 5G. Gli italiani erano partiti male, ma ora l’hanno capita.
SM: Penso che come parte delle relazione transatlantiche sarebbe meglio trovare una soluzione immediata che non richieda una guerra dei dazi.
Interviene Trump, con il solito modo da bullo: gli USA non posso perdere una guerra dei dazi perché siamo quelli che paghiamo di più e in questo modo i nostri agricoltori possono avere dei vantaggi ed esportare di più. Quelli della UE ci rendono la vita difficile ma poi ci mandano quei macchinoni tedeschi. Comunque noi trattiamo.
Era l’ultima dichiarazione. Grazie a tutti e ciao. Potete sbaraccare.
Conclusione, anzi conclusioni
Amo giornate come quella di oggi. Personalmente le chiamo “one day in the life of someone else”, un giorno nella vita di qualcun altro, qualcuno che può vedere la storia svolgersi davanti ai suoi occhi per giunta.
Tra le conclusioni che voglio tirare ce n’è una molto “meta”, ovvero una riflessione sulla natura stessa del mio essere lì.
Dopo una vita passata a vedere i personaggi politici in televisione, si potrebbe indulgere nel pensiero di vivere in una specie di Truman Show, in cui tutto è inteso a farci percepire una realtà che non esiste. E se fosse falso? E se non esistesse niente di tutto questo?
Ebbene, fidatevi. Tutto questo esiste. Chi ci governa sono persone in carne ed ossa che gestiscono problemi molto reali che ci riguardano da vicino. Non li incontrerete tanto facilmente andando al supermercato, ma sono lì e non sono irraggiungibili. Il fatto che io, un comune cittadino, fossi presente in quella sala ne è la dimostrazione. La democrazia esiste, sia in Italia che in USA, e con essa la possibilità di interagire con le persone al potere. Magari, se posso dare un consiglio, fate in modo di avere qualcosa di sensato da dire il giorno che vi troverete lì.
Venendo al sunto di quanto ho visto, si è trattato di un “dialogo a distanza” tra due che facevano finta di fare considerazioni condivise. Un po’ come quando marito e moglie (civilizzati) litigano in pubblico, non volendo dare a vedere di non essere d’accordo per salvare le forme.
Il nostro Presidente ha tenuto alta la bandiera del paese, facendo il suo lavoro più che degnamente, senza perdere mai il suo aplomb anche davanti alle spacconate del bullo, ma rispondendo colpo su colpo sulle cose che contano per l’Italia e per L’Europa. Bravo Presidente.
Cosa dire di the Donald invece? Se fossi americano, sarei incazzatissimo con lui. È il bullo che tutti oramai conosciamo. Quando parla fatica a tenere un filo logico e si contraddice nell’arco di poche frasi. È un populista al 100% che sa come fare presa sulle menti meno sofisticate con le sue sparate. È evidente che vive in un mondo tutto suo in cui nessuno lo contraddice (e chi potrebbe non ha idea di come farlo).
Sarebbe da riderci sopra se solo la situazione non fosse così dannatamente drammatica. Quello spara una cazzata senza capo ne coda, e, boom!, centinaia di persone dall’altro lato del pianeta muoiono in guerra. Un altro tweet suo, e sbam!, aziende devono licenziare migliaia di persone. Una dichiarazione avventata e, bang!, miliardi di dollari investiti per costruire la credibilità dei governi USA vanno in fumo.
E questo è un vero peccato perché, al di là di tanti discorsi, le sfide del futuro prossimo sono tante e tali che proprio un’America forte e credibile sarebbe necessaria per affrontarle e coordinare globalmente le azioni di tutti i paesi. In questo momento l’America è un’orchestra che suona senza direttore, o peggio, con un direttore impazzito. La musica che sentiamo ha parecchie stonature, ma per salvaguardare la macchina da cui tutti dipendiamo, facciamo finta di non sentirle, anche perché nessuno sa qual’è l’alternativa così su due piedi.
Ma l’America è forte. Supererà anche questa. Crediamoci. Anche perché, se così non fosse, we are all f*cked.
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Qui sotto, per chi non si fidasse della mia “traduzione”, il video intero con traduzione italiana di quello che è successo alla conferenza stampa curato dall’ufficio stampa del Quirinale.