Alla Casa Italiana Zerilli Marimò della New York University, il confronto genera sempre discussioni interessanti. Questa volta, durante la serie video on line settimanale “Tutti a Casa”, il tema toccato è stata la “violenza”, quella perpetrata in centinaia di anni dalle guerre risorgimentali fino ai giorni nostri.
Come moderatrice, il direttore della Casa Stefano Albertini ha introdotto Ruth Ben-Ghiat, critica culturale americana che alla New York University insegna storia e studi italiani, esperta di fascismo e leader autoritari.
Ad intervenire, poi, è stato un parterre di grande prestigio. David Forgacs, professore di storia contemporanea alla NYU e autore del libro Messaggi di sangue: La violenza nella storia d’Italia, Walter Veltroni, ex sindaco di Roma e segretario del Partito Democratico e Benedetta Tobagi, autrice e giornalista di Repubblica.

Il libro di Forgcas rappresenta il centro dell’intero dibattito. Dodici capitoli per dodici storie diverse, tutte accumunate da un uso della forza che nasconde un significato più sottile. La storia dell’Italia contemporanea, di cui l’autore è un massimo esperto, è scandita da una serie di atti di violenza che la dividono come un preciso orologio svizzero. Non c’è epoca che si salvi. In un modo o nell’altro, la ferocia dell’uomo si è sempre riuscita a inserire.
Spesso è stata usata come messaggio, perché il sangue delle vittime comunica più di qualsiasi parola possa essere spesa. Alcune volte, racconta Forgcas, dietro agli atti violenti si trova un coinvolgimento statale che lascia a bocca aperta. È il caso, ad esempio, degli anni del terrorismo nero, quello di estrema destra, un periodo non per caso definito della “strage di Stato”. Altre volte, come ricorda Veltroni, gli omicidi sono stati invece pensati proprio per colpire le istituzioni.

È il caso delle Brigate Rosse e del loro rapimento più famoso: Aldo Moro. Ma è anche quello dei mafiosi, che tra il 1992 e il 1993 mettono in scena una serie di attentati con lo scopo specifico di intimorire gli esponenti principali della politica italiana. L’esempio principale è l’omicidio combinato, a solo un mese e mezzo di distanza, di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, i magistrati simbolo della lotta alla mafia. Non si pensi che la loro uccisione fu soltanto un modo per rimuovere un ostacolo. Fu piuttosto un segnale diretto agli uomini dello Stato che con Cosa Nostra avevano iniziato a trattare.

Forgcas parla di circostanze in cui la violenza è entrata a gamba tesa nella coscienza pubblica ed è riuscita a imprimersi nella memoria collettiva, ma anche di altri contesti, come le fucilazioni “disciplinari”, i massacri di civili e gli stupri di guerra, in cui è stata nascosta per tanti e troppi anni. “Quando è legittimo usare la violenza?”, chiede a un tratto Veltroni. “Solo in difesa – è la risposta – quando si viene attaccati e non resta altro da fare”. A dirlo è il diritto internazionale, con l’articolo due della Carta delle Nazioni Unite che stabilisce il divieto generale di ricorso alla forza armata, ammettendo una sola eccezione: la legittima difesa (art. 51).

Benedetta Tobagi, che ha consigliato il libro per il suo contenuto, ma anche per l’estrema scorrevolezza del testo, torna a parlare della violenza portata avanti dallo Stato e cita la durissima repressione del brigantaggio durante l’unificazione. Una strategia politica che, nella tornata elettorale del 1865, fece prendere diversi voti alla destra storica. “Messaggi di sangue – dice la giornalista – analizza il modo in cui gli atti di violenza pubblica sono usati come messaggi, come i mezzi di comunicazione li abbiano trattati e quale impronta abbiano lasciato nella memoria collettiva, lavorando, come nel precedente Margini d’Italia, su una vasta gamma di fonti tra cui spiccano fotografie, filmati, canzoni popolari, opere letterarie e cinematografiche”.