Bisogna provare a leggere queste parole ad alta voce: pronunciare e ascoltare il suono che producono: “Userò il verbo morire solo tre volte. Un uomo può morire quando il suo corpo è profanato. Un uomo può morire quando chi lo ascolta sente le sue parole come se fosse pronunciato da uno già morto. Un uomo può morire quando chi gli parla usa gli sguardi, i gesti, i toni che si adoperano con uno già morto o con uno che immancabilmente dovrà morire…”.
Mentre le si legge ad alta voce, bisogna cercare di fare un’altra “operazione”: immaginare di vedere le terribili immagini viste chissà quante volte, anche distrattamente, della strage a via D’Amelio a Palermo: cercare di ricordare non solo il volto di Paolo Borsellino, ma anche quello dei cinque della scorta massacrati con lui: Agostino Catalano, Walter Cosina, Vincenzo Li Muli, Emanuela Loi, Claucio Traina. Così quelle parole, che l’inizio, il prologo, del bel libro di Ruggero Cappuccio Paolo Borsellino. Essendo stato, acquistano un senso, hanno significato.
Già il titolo induce a tante riflessioni, con quel suo duplice significato, e il lettore decida quale è più appropriato. Cappuccio si concentra sull’ultimo secondo di vita di Borsellino: il quel frame, Borsellino dubita di essere ancora vivo, sa già di essere morto, ma è ancora lucido e in grado di rivivere la sua intera esistenza… Un artificio letterario che si fonda naturalmente nella cronaca, nella storia, nella realtà.
Il libro di Cappuccio è prezioso anche per una sua specifica parte documentale. Si pubblicano la deposizione di Borsellino al Consiglio Superiore della Magistratura, che aveva convocato lui e Giovanni Falcone e Borsellino agitando provvedimenti disciplinari contro di loro per quello che avevano detto: gli ostacoli, i boicottaggi, l’isolamento cui erano sottoposti perché cercavano di contrastare l’Idra mafiosa.
“In questo libro”, spiega Cappuccio, “ci sono le parole che Borsellino ha pronunciato in quell’audizione e sono rimaste secretate fino a qualche anno fa, quando il CSM mi ha autorizzato ad usarle per fini culturali. Gli italiani trovano le parole che sono durate quattro ore di deposizione che non hanno mai potuto leggere”.
Orribili le stragi di Capaci e di via D’Amelio. Ancor più orribili le catene di depistaggi e occultamenti di verità che si sono verificati dopo e su cui ancora non si è fatta chiarezza.
Ha ragione il procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho, che espressamente sollecitato da chi scrive, dichiara:
“Gli uffici giudiziari si stanno occupando dei necessari approfondimenti. E’ veramente al di fuori della democrazia che ci siano potuti essere fatti così gravi come i depistaggi a cui lei fa riferimento. Non solo: ma anche la scomparsa della famosa agenda rossa, e tutto ciò che si è opposto alla verità. E’ un lavoro che lo Stato deve fare, è un obbligo, un dovere nei confronti di tutti. Del nostro Stato, della nostra democrazia, di tutti i cittadini, di tutti i famigliari di vittime di mafia, ma che di terrorismo c’è un problema analogo. E’ quindi un lavoro che bisogna fare, e anche la Direzione Nazionale Antimafia sta cominciando”.
“Paolo Borsellino. Essendo stato”, ci aiuta a capire, ci aiuta a ricordare. A non dimenticare. Ed è l’essenziale.