"Un racconto è una notte di passione, un romanzo una storia d’amore”, così lo scrittore italiano Niccolò Ammaniti, autore che con grande duttilità passa dal romanzo, al racconto breve, alla sceneggiatura, ha concluso il suo intervento alla Casa Italiana Zerilli Marimò della New York University, dove è stato ospite venerdì sera del New Literature from Europe Festival 2015, appuntamento annuale che celebra i più influenti scrittori contemporanei d’Europa.
La serata ha avuto inizio con la proiezione dell’adattamento cinematografico del libro Io e te di Ammaniti, firmato dal regista Bernardo Bertolucci nel 2012. Io e te racconta un rapporto travagliato tra due fratellastri, Lorenzo e Olivia. Due persone completamente differenti, quasi agli antipodi seppur unite da un legame di sangue, si vedranno costrette dagli eventi a vivere una settimana insieme in una cantina. Le loro vite verranno, inevitabilmente, cambiate da questo forzato incontro. Nel libro e nel film, Ammaniti e Bertolucci mettono in contrapposizione due figure distanti ed antitetiche: un giovane ragazzo di 14 anni, introverso, narcisista, schivo e dall’intelligenza brillante, ed una giovane artista, tossicodipendente, fragile e in balia di se stessa. I due giovani protagonisti impareranno a conoscersi e scopriranno se stessi, l’uno attraverso gli occhi dell’altro. Tra i protagonisti spicca una sorprendente ed ironica Tea Falco che per questa interpretazione è stata candidata al David di Donatello come migliore attrice protagonista nel 2013.
Selezionato come film dell’anno per il Nastro d’Argento, Io e te ha segnato il ritorno di Bernardo Bertolucci dietro la macchina da presa. Dopo un lungo silenzio che sembrava preannunciare la decisione di non dirigere più nessun altro lavoro, il regista, leggendo il libro di Ammaniti, ha deciso di cogliere l’opportunità per tornare a dirigere un film. E così la proiezione è stata presentata dal direttore della Casa Italiana, Stefano Albertini, come un evento nell’evento, sia per la presenza in sala dello scrittore Niccolò Ammanti, sia per ciò che il film stesso rappresenta, la rinascita professionale e personale del grande regista italiano.

Antonio Monda, Niccol├▓ Ammaniti e Stefano Albertini

Nell pubblico, anche Jovanotti
Al termine del film Stefano Albertini e Antonio Monda, docente alla New York University, scrittore e direttore del Festival di Roma, hanno aperto un dialogo con l’autore, ponendo diverse domande e offrendo spunti di riflessione che hanno coinvolto il pubblico presente in sala. Tra i numerosi spettatori c'era anche il cantante Jovanotti con la moglie.
L’autore ha spiegato come Bernardo Bertolucci fosse in un momento di difficoltà personale che lo teneva lontano dal suo lavoro da oltre 10 anni. “Quando l’ho incontrato, da molto tempo non sedeva dietro ad una macchina da presa, stava aspettando il soggetto giusto per cui tornare. Ho pensato che questo libro potesse andare bene per lui”. Bertolucci, ormai da tempo, utilizza la sedia a rotelle per muoversi e questo crea delle difficoltà spesso inficianti nello svolgimento del suo lavoro. Così, quando Ammaniti gli presentò il soggetto da cui trarre il film, la prima preoccupazione di Bertolucci fu la location. Prima di decidere se farne o meno un film, il regista voleva essere sicuro di avere il luogo giusto: doveva trovare la cantina, ha raccontato Ammaniti. Alla fine la cantina del film è stata interamente ricreata all’interno di una palazzina, a non più di 100 metri da dove abita il regista. E la resa è stata assolutamente perfetta.
Il film si apre con il protagonista, Lorenzo, seduto dentro lo studio di uno psicoterapeuta. La scena è particolare e fin da subito fa entrare lo spettatore nel carattere difficile ed introspettivo del protagonista. “Bernardo era convinto che io fossi il protagonista – dice sorridendo Ammaniti – Ho cercato di spiegargli che non ero io ma non mi ha mai creduto. Infatti quando ha dovuto cercare lo studio dello psicologo per girare la scena iniziale, voleva registrare nello studio di mio padre, che effettivamente fa lo psicologo. Io non ero convinto ma non sono riuscito a persuaderlo. Alla fine fortunatamente lo studio non era adatto a causa della scarsa luce e devo dire la verità ne sono stato sollevato”.
Libro e film hanno due finali diversi. Ammaniti sceglie un finale tragico (che non sveliamo) e di grande impatto emotivo che nella pellicola invece non si vede. Nel film i due fratelli si separano con un abbraccio in mezzo alla strada. Ognuno dei due, da quel momento in poi, prenderà in mano la propria vita, lasciando allo spettatore intuire quello che accadrà. Lo scrittore ha spiegato al pubblico che attraverso un libro è possibile, anche con una sola frase, riportare una sorta di equilibrio emozionale nella mente del lettore, cosa che in un film, essendo fatto di immagini visive, non accade. Se il finale di un film non è di impatto, rischia di rovinare l’intera pellicola, l’intero lavoro. L’ultima immagine è quella che lo spettatore si porterà fuori dalla sala. “Abbiamo provato a scrivere un finale simile al libro – spiega Ammaniti – ci abbiamo lavorato mesi e mesi ma non eravamo mai soddisfatti. Poi ne abbiamo proposto uno ma tutti sapevamo che non funzionava. Un giorno Bernardo mi ha chiamato durante le riprese e mi ha fatto vedere un pre-montato. Ho visto la scena del ballo e la scena in cui loro uscivano in strada e ho capito, e Bernardo insieme a me, che fosse quello il giusto finale, che in qualche modo desse la possibilità allo spettatore di capire cosa sarebbe successo. Le ultime due settimane, previste per il finale, non sono mai state girate. Come se il film si fosse chiuso da solo”.
Quando si parla di trasposizioni cinematografiche, inevitabilmente si finisce per parlare di fedeltà e tradimento. Ammaniti sul tema sembra non avere troppi dubbi: in generale tradire, nella vita, è sempre meglio che rimanere fedeli, ha detto lo scrittore rispondendo a Monda che gli chiedeva se e quanto un film possa tradire il libro da cui è tratto. Tra le risate del pubblico l’autore ha poi spiegato che sicuramente ci sono pellicole che hanno tradito profondamente i libri da cui sono state tratte, e che allo stesso tempo sono riuscite a diventare opere a se standi, pellicole di registi che hanno saputo reinventare completamente la storia originale. Come Apocalypse Now, tratto dal celebre romanzo di Josep Conrad Heart of Darkness (Cuore di tenebra) e che però racconta completamente un’altra storia, ambientato in un altro periodo e in Vietnam anziché in Africa: sicuramente uno degli esempi migliori di tradimento cinematografico.
“È anche vero, però – ha fatto notare Ammaniti – che ci sono registi in grado di raccontare e ricreare quello che è nell’immaginario del lettore. Nella lettura di un libro restano degli spazi oscuri che ognuno riempie con la propria esperienza, con la propria immaginazione. Gabriele Salvatores, per Io non ho paura, mi chiese dove io avevo immaginato l’ambientazione del libro e dove avrei voluto venisse girato il film. Risposi: 'tra la Puglia e la Basilicata', un posto preciso che avevo visto. Lui è andato in quel posto e ha girato il film, ricostruendo perfettamente quello che era nel mio immaginario”.
Antonio Monda ha poi chiesto ad Ammaniti quale forma d'arte, tra letteratura e cinema, lo scrittore consideri superiore e la risposta, forse ovvia, è stata in favore della letteratura. Un libro viene scritto al cinquanta per cento dall’autore, mentre la restante metà la immagina il lettore, ha spiegato Ammaniti. Ogni volta che viene descritto un personaggio, ognuno poi lo visualizza come preferisce attraverso la propria esperienza; lo stesso vale per un luogo, ognuno lo vede in modo differente. E questa libertà è specifica della letteratura, mentre il cinema, essendo un’arte visiva, non concede spazio all’immaginazione: “È come se l’immagine offertaci dal film ci impedisse di immaginare”.
Niccolò Ammaniti è parte attiva nella realizzazione dei film tratti dai suoi libri. Cura la sceneggiatura e partecipa attivamente alle riprese. Al pubblico della Casa Italiana ha spiegato che, oltre all’aspetto economico (scrivere una sceneggiatura è, infatti, molto remunerativo) c’è anche un aspetto personale: “Quando scrivi un libro sei solo, isolato, lavori per anni senza avere contatti, mentre quando scrivi una sceneggiatura è come se ti trovassi a fare i compiti a casa insieme ai tuoi compagni di scuola. È divertente ed entusiasmante. È un momento completamente diverso e per questo direi che amo scrivere un libro e altrettanto curarne l’adattamento per il cinema”.
Difficile chiedere ad un autore con così tanti successi alle spalle da dove tragga ispirazione, ma il film è talmente particolare che la domanda nasce dal pubblico spontaneamente. Non è la prima volta che Ammaniti dichiara che i suoi non sono libri autobiografici, ma in questo caso forse questo è quello che più si avvicina alla sua vita. Anche lui aveva una cantina quand’era ragazzo e ha raccontato che in quella cantina passavo molto tempo: “Mi ero costruito una specie di casetta e credo che da questa idea ho iniziato ad immaginare il resto della storia. Oggetti dei miei nonni e di tante persone erano finiti lì dentro. In qualche modo, ogni oggetto portava a delle vite passate e mi dava l’idea di un mondo completo”.
Nel chiudere il suo intervento, Ammaniti ha regalato al pubblico una suggestiva metafora: “In fondo scrivere un racconto equivale ad una notte di passione mentre un romanzo rappresenta una storia d’amore”. Quella tra Lorenzo e Olivia è sicuramente una storia d’amore raccontata in modo semplice ma allo stesso tempo complesso, che regala al lettore, come allo spettatore, forti emozioni, evocando, in chiunque abbia un fratello o una sorella, ricordi, difficoltà e complicità spesso dimenticate, che uniscono in modo unico due individui con le loro differenze e i loro punti di contatto.