"I rasoi fanno male; i fiumi sono freddi; l'acido macchia; i farmaci danno i crampi. Le pistole sono illegali; i cappi cedono; il gas fa schifo. Tanto vale vivere": la poesia Resumé probabilmente il lavoro più citato di Dorothy Parker (Long Branch,1893 – New York,1967), e costituisce un buon viatico per un'autrice che ha trattato con caustico sense of humor anche le sue inclinazioni suicide. La prima raccolta di racconti di Dorothy, detta anche Dot, o Dottie, ad essere stata pubblicata in Italia, Il mio mondo è qui, risale ai primi anni '40, a cura di Bompiani, con traduzione di Eugenio Montale. Più tardi i suoi lavori sono stati ripubblicati da altri editori, fra cui La Tartaruga di Milano, che ha dato alle stampe la raccolta Tanto vale vivere, contenente i racconti più famosi, come Una bella bionda, vincitore dello O. Henry Award nel 1929 come "migliore storia dell'anno".
Dottie, la quarta autrice di cui proponiamo la rilettura, potrebbe essere considerata un'antesignana di molte fortunate scrittrici agrodolci contemporanee, una versione femminile di F.S. Fitzgerald, specie ai tempi dell'Algonquin (l'albergo su di una traversa tra la Quinta e la Sesta strada di Manhattan dove si ritrovava con il suo circolo) o un'erede di Edith Warthon, per l'acuta capacità di osservazione della società, in particolare quella di classe medio-alta. Il personaggio, in ogni modo, è di quelli che non si lasciano incasellare, per non dire della donna reale che sta dietro al personaggio.
Gli aggettivi che più spesso la descrivono sono "ironica", "graffiante", "sarcastica"; e ci stanno, anche se nei suoi racconti questi elementi si accompagnano spesso ad una vena malinconica. Dottie, al pari di altri autori ricchi di umorismo, nascondeva demoni inquieti, a partire da quello dell'alcol, che ha fatto strage fra gli scrittori della "Generazione perduta". Ed è l'alcol, in alcune delle sue short stories, il migliore amico delle donne, non i diamanti.
"L’immagine di Dorothy Parker – ha scritto Fernanda Pivano – è legata alla New York ruggente degli Anni Venti e alla Hollywood laminata d’oro degli Anni Trenta: è legata al lusso e alla frivolezza, a sbronze più o meno festose e ad amori più o meno discutibili, a cronache maligne e a recensioni canzonatorie (…). Dei suoi guai politici non si è mai sentito parlare: si è sentito parlare dei suoi boa di struzzo e del suo whisky, dei suoi mariti e dei suoi amanti, dei suoi aborti e dei suoi tentativi di suicidio, dei suoi debiti e della sua incapacità a dirigere il ménage, del suo amore per i cani e, interminabilmente, delle malignità con cui stroncò personaggi o amici o conoscenti".
Difficile, ancora oggi, mettere assieme la "donna più spiritosa di New York", la temuta demolitrice di commedie e spettacoli teatrali e la militante di sinistra che nel suo testamento lasciò ogni cosa alla fondazione di Martin Luther King. Meglio forse andare oltre la leggenda, e leggere, o rileggere.
Per quanto mi riguarda, rileggendo Tanto vale vivere a distanza di anni, ho rafforzato la prima impressione: Dorothy Parker usava la sua penna in maniera meno spietata di quanto non racconti usualmente la sua leggenda. La galleria di personaggi che mette in scena è vasta e varia: abbondano donne che inseguono l'amore, deluse, tradite, divorziate, oppure ambiziose, gelose, scaltre, vacue, di fronte a un telefono che non squilla nel cuore della notte, descritte attraverso tic, manie, strategie, sogni, drink, ma anche vestiti, unghie, gioielli. Gli uomini dal canto loro sono spesso spietatamente realisti, stringono o allargano le maglie delle convenzioni sociali a piacimento, predano e deludono, tronfi o distratti, ipocriti e sfuggenti. Nella New York del Proibizionismo, la miglior dote di una ragazza sembra essere il suo buon carattere, la sua capacità di mettere allegria al suo compagno, sia esso marito o accompagnatore occasionale. Quando questa capacità viene meno, l'uomo brutalmente la scarica. È quello che succede ad Una bella bionda, ex-modella che crede di approdare ad un lido sicuro e tranquillo con il matrimonio, ma che presto viene lasciata dal marito, e senza tanti complimenti, finendo con il bazzicare i club dove il gin scorre a fiumi. Finché un'amica – a cui confessa i suoi problemi di insonnia – non le suggerisce di andare in qualche farmacia del New Jersey a procurarsi certe pillole….

Dorothy Parker insieme ad altri membri della round table dell’Algonquin Hotel di New York City
In racconti come questo, la vena dolorosa di Dorothy Parker fa la sua comparsa sotto allo strato ironico e un po' hemingwayano. Ma non sfocia mai in tragedia: alla fine, le protagoniste dei suoi racconti si liberano del male di vivere con un'alzata di spalle, o versandosi ancora da bere.
Altre volte, è l'osservazione delle schermaglie amorose a farla da padrona. In Una telefonata, abbiamo il monologo interiore di una ragazza che aspetta la chiamata di un fidanzato (che come molti degli uomini descritti in questi racconti tiene sempre il piede in più staffe): "Ti prego, Dio, fai che ora lui mi telefoni. Non ti chiederò nient’altro, davvero. Fai solo che ora mi telefoni. Ti prego, Dio. Ti prego, ti prego, ti prego. Se non ci pensassi, forse il telefono potrebbe squillare. Forse se contassi per cinque fino a cinquecento, quando ar rivo in fondo potrebbe squillare. Conterò lentamente. Non barerò. 5, 10, 15, 20, 25, 30, 35, 40, 45, 50…. Oh, ti prego, squilla. Ti prego". La graticola dell'attesa negli anni '20 è uguale a quella di oggi, solo che oggi anziché una telefonata si aspetta una mail o un sms.
Ne I sessi, invece, la ragazza che tiene il broncio al fidanzato perché ingelosita dal suo comportamento con un'altra, "stava esaminando con la massima attenzione il suo fazzoletto; l’interesse per il tessuto, la forma, e quel che ci si poteva fare era tale da dare l’impressione che non avesse mai visto niente di simile". Dopo i ripetuti tentativi di approccio del ragazzo e le risposte gelide di lei, la tensione finalmente si scioglie: "Credo che tu sia pazzo furioso – disse lei – . Non me l’ero presa! Ma si può sapere come mai ti è venuta in mente un’idea del genere? Sei tutto matto. Oh, cielo, la mia collana di perle nuova! Aspetta un secondo, me la tolgo. Ecco fatto!". E questa è senza dubbio la Dorothy Parker di Vanity Fair e Vogue, a cui tante scrittrici debbono qualcosa.
Nel 1994 uscì un film ispirato alla vita di Dot e dei suoi amici dell’Algonquin, Mrs. Parker e il circolo vizioso (Mrs. Parker and The Vicious Circle) diretto da Alan Rudolph.
Una delle canzoni più belle dell'album-capolavoro di Prince Sign 0 the Times si intitola The ballad of Dorothy Parker: "Dorothy era una cameriera sulla passeggiata, faceva il turno di notte, bionda slavata, alta e sottile, raccoglieva un sacco di mance…".
Dorothy Parker, Tanto vale vivere, trad. Marisa Ciaramella, La Tartaruga. Io ho consultato l'edizione 1996, ma l'editore ha dato alle stampe anche un'edizione allargata, con il titolo Tanto vale vivere: racconti, poesie, prose, trad. Chiara Libero e Silvio Raffo, 2002, che raccoglie oltre i racconti poesie e recensioni teatrali e letterarie (tra cui quella del romanzo storico di Benito Mussolini L'amante del Cardinale).
In America poesie e prose sono state pubblicate a partire dagli anni '20, prima nelle riviste per cui Dorothy Parker collaborava e poi in volume. Per un'edizione recente in lingua inglese, vedasi ad esempio Complete Stories, a cura di Colleen Breese, London: Penguin Books, 2003.