Sono molti gli autori americani che amo, la letteratura americana ha attraversato la mia vita dandole voce e forma. C'è n'è uno, però, che occupa un posto speciale nel mio cuore: si tratta di Delmore Schwartz, nato a Brooklyn nel 1913 da una famiglia ebraica di origini rumene e morto a New York, in un alberghetto della Bowery, nel 1966.
Di Schwartz recentemente l'editore Neri Pozza ha dato alle stampe la raccolta di racconti Nei sogni cominciano le responsabilità, che riprende un volume pubblicato in origine nel 1948. Conoscevo parte di questi racconti per una precedente raccolta, intitolata nello stesso modo e pubblicata da Serra & Riva nel 1990. A quanto ne so, quello è stato il primo libro di Schwartz ad essere pubblicato in Italia; quando l'avevo visto esposto nella vetrina di una libreria, mi ci ero letteralmente tuffato. Come credo il 99% dei (pochi) estimatori di questo autore nel Belpaese, conoscevo il suo nome, fin da ragazzo, grazie a Lou Reed, che firma anche l'introduzione del volume di Neri Pozza. Lou era stato allievo del professor Schwartz alla Syracuse University e gli aveva dedicato due canzoni, European Son, nel primo album dei Velvet Undeground (1967), e My House, da Blue Mask (1982), dove il cantante immagina di evocarne lo spirito con una tavola Ouijia per discorrere con lui di letteratura, in particolare dell'amato Joyce. L'unica altra possibilità per conoscere questo tormentato narratore e poeta, il cui periodo di massimo successo negli USA risaliva agli anni 30-40, era sapere che Saul Bellow, nel suo romanzo Il dono di Humboldt (premio Pulitzer 1976), si era parzialmente ispirato a lui.
Date queste premesse, sarebbe stato facile per chiunque immaginare che Delmore Schwartz fosse un altro "cantore dei bassifondi", come i tanti a cui la letteratura e la musica americane ci hanno abituato. Quando finalmente – ovvero tardivamente – ho potuto leggere le sue prime traduzioni in Italiano, mi sono reso conto che ero fuori strada. Qui abbiamo a che fare con uno scrittore che ha sì condotto un'esistenza "deragliata", specie nella sua parte finale, dominata dall'alcol, ma che nei suoi racconti ha toccato, spesso con molto humor e finezza psicologica, temi diversi, centrati piuttosto sugli ambienti dei giovani intellettuali newyorchesi degli anni compresi fra la Grande depressione e la Seconda guerra mondiale, degli absolute beginners che cercavano di farsi strada nel mondo letterario e universitario, e anche dei discendenti delle prime grandi migrazioni ebraiche dall'Europa all'America, incapaci di rimanere attaccati appieno alle proprie radici e quindi spaesati, sospesi fra un passato ormai andato per sempre, incarnato dai propri genitori, e un futuro indecifrabile.
Prendiamo il suo racconto più celebre, In dreams begin responsabilities, pubblicato nel 1937 sulla Partisan review, storica rivista americana di letteratura e politica: protagonisti sono i genitori di Delmore, colti all'epoca del loro innamoramento, mentre trascorrono la tipica domenica di una coppia di fidanzatini a New York e Coney Island. La modernità di questo racconto sta nel suo doppio binario, dal taglio onirico: l'autore in realtà è al cinema, e sta guardando un film sulla domenica dei suoi genitori, ben sapendo che il loro matrimonio presto naufragherà fra dolori e recriminazioni. Tant'è che ad un certo punto non riesce a trattenersi ed esplode in un: "Non fatelo. Non è troppo tardi per cambiare idea, tutt'e due. Da tutto questo non verrà fuori niente di buono, solo rimorsi, odio, scandalo e due figli dal carattere mostruoso" (il brano è citato anche nel film Into the Wild).
Schwartz pubblicò l'anno successivo un libro che riprendeva il titolo del racconto ma conteneva anche componimenti poetici (diverso quindi dalle raccolte di racconti edite in Italia). Aveva 25 anni, e l'esordio venne accostato a quelli dei grandi della poesia dell'epoca, come T.S. Eliot o William Carlos William. Successivamente arrivarono racconti come Il mondo è un matrimonio o I figli sono il senso della vita, molto newyorchesi, molto centrati sui dialoghi, spesso arguti e pungenti, dei loro protagonisti, giovani "di belle speranze" alle prese con famiglie che hanno lavorato duro per ritagliarsi una nicchia all'interno dell'American dream e nelle quali non si riconoscono, impegnati in esistenze anticonformiste ma ancora lontane dagli eccessi della beat generation, altri più amari, come Il discorso conclusivo, in cui un vecchio professore universitario scandalizza il pubblico convenuto ad una cerimonia di laurea con le sue considerazioni sulla società e la storia.
Tuttavia il successo precoce di Schwartz non venne confermato, specie nel campo della lirica: l'ambizioso poema epico Genesis, del 1943, che l'autore considerava il suo Waste Land, non ebbe fortuna, e Schwartz imboccò la china di un'esistenza travagliata, pur insegnando fin quasi alla fine scrittura creativa alla Syracuse e in altre università e pur ricevendo ancora un premio importante nel 1959. Va detto, a onor del vero, che la stagione nella quale ebbe modo di coltivare il suo talento non era particolarmente favorevole, essendo già affollata di giganti della letteratura: prima Hemingway, Steinbeck e co., poi, poco più tardi, Miller, Kerouac e altri autori più "radicali", che già incarnavano le nuove ansie e le nuove aspirazioni dei giovani americani.
Schwartz è rimasto nella leggenda anche per il suo essere stato un grande affabulatore e un grande bevitore. Lou Reed racconta che una ispirazione fondamentale per le sue canzoni gli venne proprio al tavolo di un bar di New York, quando il suo "maestro e amico" (come lo definisce in My House) commentò con disprezzo una canzone rock 'n' roll suonata nel juke box, a causa del suo testo elementare. Reed capì il punto di vista. Tuttavia, amava anche quella musica, come ogni giovane americano cresciuto negli anni '50. Così si chiese: "Come sarebbe suonare il rock mettendoci dei testi adulti, dei testi di taglio letterario?". Nacquero così canzoni memorabili come Heroin, Venus in Furs (ovviamente ispirata a Sacher-Masoch) o The black angel's death song, che sembra figlia di un cut up di Burroughs.
In verità però sarebbe ingiusto ricordare Delmore Schwartz solo per ragioni extraletterarie. I suoi racconti sono davvero molti belli, sono "il ritratto definitivo della classe media ebraica a New York durante la Grande Depressione", come scrisse un critico americano, ma sono anche più di questo, grazie ad una deliziosa vena poetica, a volte, come in Cinembola, sottilmente malinconica, che li rende universali e ancora attuali. E poi in Schwartz spesso compaiono particolari voli retorici, pieni di accostamenti di parole inaspettati, in grado di dipingere, in poche righe, a seconda dei casi uno stato d'animo o un paesaggio urbano, ad esempio: "Ritornò così la percezione della metropoli, stretta e alta su tutti i lati, piena di traffico, incidenti, commercio e adulterio, di mille negozi e palazzi e teatri, il ventre corso da nere ferrovie sotterranee, con le sue torri e i suoi ponti grandiosi, torbidi e privi di significato. Intanto la sera grigio topo si stendeva impercettibilmente sopra i lampioni e i semafori, coprendo lo stridio delle ruote dei taxi sulla strada bagnata". Ditemi voi se non suona grandioso, pur nell'economicità dei mezzi.
Delmore Schwarzt, Nei sogni cominciano le responsabilità, a cura di Viviana Filippini, Neri Pozza, 2013.
Una precedente raccolta di racconti di Delmore Schwart è stata pubblicata in Italia con lo stesso titolo dall'editore Serra e Riva nel 1990.
Edizione inglese: In Dreams Begin Responsibilities and Other Stories, New Directions Publishing, 1978.