Chissà a cosa pensava mentre lasciava per sempre Milano per Murano. Paolo Venini aveva 26 anni, quel giorno di un secolo fa, e stava cambiando vita. Abbandonava la professione di avvocato e inseguiva un sogno e una passione: il sogno di diventare imprenditore, la passione per il vetro, di cui era innamorato.
Era il 1921 e da allora, non è retorica, il vetro non sarà più lo stesso. Negli anni quel cognome lombardo – era originario di Cusano Milanino – sarebbe diventato sinonimo di arte vetraria nel mondo. Tanto che oggi la Venini, di proprietà della famiglia Damiani, famosa per i gioielli e l’alta oreficeria, si appresta a celebrare con una serie di iniziative i suoi cent’anni di attività.
Ma torniamo ad allora. Al giovane Paolo, classe 1895. La passione gli era venuta per caso cinque anni prima, quando Giacomo Cappellin, “Bapi” per gli amici, aveva deciso di trasferire in via Montenapoleone il suo negozio di vetri antichi. Poche cose portate da Venezia quando la Grande Guerra l’aveva condotto all’ombra della Madonnina come sergente della Croce Rossa. E Paolo Venini, che passava spesso davanti al suo negozio, aveva cominciato a entrare, a informarsi, a comprare. Era nata un’amicizia tra i due e finita la guerra, nell’Italia che vede la nascita del Partito comunista e l’elezione al Parlamento di Benito Mussolini, Cappellin e Venini decidono di rilevare una fornace in difficoltà. Hanno idee rivoluzionarie, vogliono abbandonare i vecchi stili settecenteschi perché quel modo di produrre è ormai superato. La tradizione va rispettata ma anche cambiata, pensano.
Nasce così la “VSM Cappellin Venini & C.”, dove la sigla sta per Vetri Soffiati Muranesi. Partono alla grande, alla prima Biennale di Monza del ’23 espongono le creazioni del direttore artistico Vittorio Zecchin, pittore a metà tra la tradizione bizantina e le suggestioni di Gustav Klimt. Due anni più tardi i suoi vetri conquistano il “Grand Prix” all’Esposizione internazionale di Parigi.
Tra i due, Cappellin era il creativo, parlava in muranese con i maestri e si faceva rispettare. Venini invece guardava agli affari, in brevissimo tempo avevo messo in piedi una rete di negozi nelle principali città italiane e nelle capitali europee. Le cose sembravano andar bene ma i dissidi tra i due, dapprima latenti, vennero fuori in modo dirompente proprio nel 1925, l’anno del trionfo europeo. E la fine del sodalizio, i due si separano.
Venini si tiene i negozi, compreso quello ancora oggi di fianco alla Basilica di San Marco, e crea la sua azienda, la “MVM Venini & C”. (Maestri Vetrai Muranesi). Prende come direttore artistico Napoleone Martinuzzi e impianta una fornace nuova, la stessa di oggi, in Fondamenta dei Vetrai. Non a caso l’unica fornace al primo piano, più lontana dall’acqua in caso di incendio ma protetta da sguardi indiscreti.
Venini è attentissimo a preservare il segreto industriale delle sue creazioni, sa che molto è riposto nella giusta miscela di polveri di silice e pigmenti di colore. Chiama il fratello, chimico, ad occuparsi in gran segreto delle magiche pozioni che ogni volta gli fa consegnare al maestro da un piccolo sportello in legno, vietando l’accesso alla stanza dei miracoli. Così è sicuro che a fine giornata, davanti a un cicchetto, nessuno dei suoi operai possa rivelare i trucchi del mestiere a un amico di una fornace rivale.
I primi anni dopo la separazione sono difficili per entrambi. Più per Cappellin, che dopo aver cambiato nome alla società è costretto nel 1932 a chiudere i battenti. Paolo Venini supera le difficoltà della Grande Depressione dopo il crollo di Wall Street del 1929, e con la chiusura di Cappellin prende a collaborare un giovane studente di architettura, veneziano e amante del vetro: Carlo Scarpa. E’ la svolta. I vetri di Carlo Scarpa inaugurano la lunga serie di capolavori d’autore e questa forma di alto artigianato diventa vera arte.
Lo stesso Venini crea, inventa il vetro “Diamante”, il vetro “Tessuto”. Rielabora il vetro “Zanfirico”, costruisce nuove espressioni con le “Murrine”. E poi coltiva nuovi maestri (Boboli tra tutti), prende a collaborare negli anni artisti straordinari, da Napoleone Martinuzzi a Tomaso Buzzi a Gio Ponti, e poi Massimo Vignelli, Tobia Scarpa, Ettore Sottsass. Conquisterà il mercato americano tra il 1950 e il ’53 con la mostra “Italy at Work”, portando le creazioni di Fulvio Bianconi e Ken Scott nella vetrina di Macy’s a New York, nel 1952.
Morirà presto Paolo Venini, nel 1959, senza vedere tanti altri trionfi. Oggi lo spirito e la sua visione restano intatti, innovare nella tradizione, grazie a bravi e innamorati designer del vetro e che hanno realizzato pezzi dai nomi famosi, come il “Fazzoletto”, il “Balloton”, l’”Opalino”, il “Labuan” e il “Decò”, le “Odalische” e i “Battuti”.
Un ultimo dato. Appartiene a Venini il record dell’opera in vetro di Murano più pagata nella storia recente. Si tratta de “La Sentinella di Venezia” dell’artista statunitense Thomas Stearns, del 1962, che all’asta ha raggiunto la cifra record di 737mila dollari.