Un piccolo museo universitario del Connecticut ha fatto un colpo grosso; è riuscito a portare in America una statua di Gianlorenzo Bernini che nei suoi quasi cinque secoli di vita non si era mai mossa da Roma, e a organizzarci intorno una rispettabile mostra sul Barocco romano. Philippe de Montebello, celebre ex direttore del Metropolitan Museum di New York, ha detto: “Se io fosse ancora direttore del Met sarei geloso. È semplicemente incredibile.”
Vero è che il piccolo museo, e la Fairfield University a cui esso appartiene, sono istituti gesuiti e che la statua, un busto del teologo e santo gesuita Roberto Bellarmino (1542-1621) proviene dalla chiesa madre dei Gesuiti, la famosissima Chiesa del Gesù sulla piazza omonima che è addirittura l’epitome del gesuitismo nel mondo. In più, ricorreva il 75.mo anniversario della fondazione del College, e l’ottavo da quella del museo. Si capisce che lo straordinario accordo di prestito della statua si sia potuto realizzare.
Invece quello che comunque sorprende è la fortuna di Bellarmino, tanto ammirato che, pur essendo un gran teologo, è stato comunque colui che mandò a morire sul rogo in campo de’ Fiori (vedi la mia “grande guida di Roma” in altra parte de “La Voce”) un uomo molto più grande di lui, il filosofo Giordano Bruno, e fu anche uno dei principali persecutori di un uomo infinitamente più grande, Galileo Galilei. Ma si sa, erano i tempi. Io però se fossi la chiesa cattolica quanto meno ritirerei a Bellarmino la qualifica di “santo”.
La mostra – che si intitola “The Holy Name, Art of the Gesù” – organizzata con astuzia e perizia dalla curatrice Linda Wolk Simon, riesce attraverso gli articoli esposti a dare una buona idea di un’epoca in cui la Chiesa cercava disperatamente di rifarsi, con l’arte e con qualunque altro mezzo, culturale e non, della terribile disfatta subita con la Riforma di Lutero; e in più doveva infondere il timor di Dio nei Turchi, cioè gli Islamici, che minacciavano l’Europa da vicino.
Oltre al busto di Bellarmino, buona opera di Bernini, il Fairfield College Museum è riuscito a strappare alle autorità gesuite di Roma altri quattro pezzi conservati nella chiesa del Gesù: la straordinaria pianeta di seta di Alessandro Farnese – che finanziò nel XVII secolo la costruzione della chiesa stessa – intessuta di sgargianti colori; una statua di bronzo dorato di Santa Teresa; una esuberante rappresentazione a penna dell’Apoteosi di San Francesco Saverio, di Carlo Maratta del 1674; un disegnino del Domenichino; e un bellissimo modello in legno dipinto dell’abside della chiesa, del grande allievo di Bernini Giambattista Gaulli, detto il Baciccia.
Inoltre diversi musei, istituti e collezionisti privati sia americani che italiani hanno contribuito, col prestito di un’altra quarantina di interessanti reperti a fare di questa mostra, sia pure di piccole dimensioni, un quadro originale e attraente del Barocco romano. Il luogo è facile da raggiungere (da New York, con la ferrovia Metro North) e la mostra rimarrà aperta fino al 19 maggio.