
Una mostra ricca di novità, pur essendo dedicata a un solo aspetto del genio di uno dei supremi maestri del Rinascimento italiano, si aprirà il 13 novembre 2017 al Metropolitan Museum of Art di New York. Si intitola “Michelangelo: Divine Draftsman and Designer” e in esposizione, fino al 12 febbraio 2018, ci saranno 133 disegni, 3 delle sue sculture in marmo, la sua prima pittura e il suo modello architettonico in legno, realizzato per una volta a cappella. Per permettere ai visitatori di comprendere meglio il contesto artistico, storico e culturale in cui Michelangelo ha operato, queste sue opere sono affiancate da una serie di opere complementari, realizzate da artisti che sono stati da lui influenzati o che con lui hanno lavorato assieme.
“Michelangelo: Divine Draftsman and Designer” vuole dimostrare come l’artista che è forse stato il più influente scultore nella storia dell’arte occidentale, fosse, in quanto disegnatore (“draftsman”) e in quanto studioso astratto delle forme (“designer”), ugualmente innovativo. Ci riesce solo in parte; ma nel percorso di studi che i curatori (vedi qui e sotto il video della curatrice Carmen Bambach, che spiega il concept e gli obiettivi della mostra) di questa esposizione hanno compiuto incominciando dal repertorio grafico lasciato dal grande artista nella sua gioventù a Firenze si sono trovati di fronte a numerose sorprese che magari indicano l’opposto, ossia il debito che Michelangelo ebbe verso i suoi contemporanei e predecessori, sia per tecnica (specialmente il difficile disegno con punta metallica su carta preparata con colore) che per la composizione formale. Un esempio: gli spunti forniti da Giotto, da Masaccio e dai due Pollaiolo a Michelangelo per molti disegni e dipinti eseguiti durante gli studi compiuti nella bottega di Domenico Ghirlandaio e di suo figlio Davide, e poi anche in epoca successiva.
Un posto particolare come coadiutore dell’opera giovanile michelangiolesca spetta al suo condiscepolo Francesco Granacci (1469-1564), che dopo il suo trasferimento a Roma Michelangelo chiamò a sé come capo del gruppo di artisti che inizialmente lo aiutarono ad impadronirsi nella tecnica dell’affresco per la decorazione della cappella Sistina. Altrettanto interessante è l’ispirazione tratta da Michelangelo da un’incisione del pittore tedesco Martin Schongauer, le “Tentazioni di Sant’Antonio”, notissima nel primo Rinascimento, in cui il santo è assalito da una schiera di demoni dalle forme grottesche. Michelangelo ne prese lo spunto per un quadro molto simile, di cui parla Giorgio Vasari nella sua biografia del maestro italiano ma che non era mai stato individuato con certezza. Adesso i curatori lo identificano in una tela in possesso del Kimbell Museum di Fort Worth in Texas, e il dipinto, di piccole dimensioni, fa parte della mostra. Un’altra sorpresa della mostra, che include 130 disegni di provenienza internazionale di cui però soltanto una dozzina di Michelangelo, sarebbe l’attribuzione fatta da una delle curatrici, Carman Bambach, di uno di questi disegni, un “uomo dormiente con accanto un bambino in piedi”, appartenente allo Staedel Museo di Francoforte, finora considerato da una maggioranza di studiosi una copia da Micheangelo, come invece di Michelangelo stesso. L’autenticazione sembra però assai poco convincente.
Va menzionato infine il primo abbozzo disegnato da Michelangelo per una tomba Giulio II, di cui aveva ricevuto commissione dal papa stesso quando lo aveva chiamato a Roma. In questo disegno iniziale l’immagine del pontefice ha una collocazione insolita al centro del monumento. Ma questa collocazione appare ancora più straordinaria quando si osserva che nella realizzazione finale, al centro del celeberrimo monumento – situato nella chiesa di San Pietro in Vincoli a Roma – fu poi dallo stesso Michelangelo posta la figura del Mosè, uno dei massimi capolavori della scultura di ogni tempo. Il pontefice defunto è invece relegato in uno scomparto superiore, sotto forma di una piccola figura contorta. Il contrasto tra queste rappresentazioni, ben noto alla storia dell’arte ma mai spiegato, è alla base della recente teoria, proposta dallo storico d’arte e restauratore capo del monumento Antonio Forcellino, secondo cui esso è indicativo della partecipazione di Michelangelo al movimento riformatore degli ‘Spirituali’, di cui erano parte anche la principessa Vittoria Colonna e il cardinale inglese Reginald Pole.
Il movimento dava suprema importanza alla fede, mentre alla burocrazia clericale, e al papa stesso, veniva riconosciuta un’importanza assolutamente secondaria. Ovviamente al tempo in cui aveva eseguito il primo abbozzo, vari decenni cioè prima della esecuzione del monumento, Michelangelo non era ancora entrato nel gruppo semiclandestino che echeggiava le correnti riformatrici che stavano per sconvolgere l’Europa dopo la protesta di Martin Lutero. D’altra parte per un solo voto il Cardinale Pole perse poi il trono pontificio nel conclave in cui la sua elezione era stata data per certa, e Michelangelo, ormai prossimo alla vecchiaia, vide sparire per ordine della curia vaticana la pensione ecclesiastica che gli era stata accordata in riconoscimento della sua immensa opera molti anni prima.