Un’ondata di meraviglie dell’arte barocca si abbatte in questi giorni sull’isola di Manhattan riscaldando gli animi intirizziti dal freddo autunnale precoce e sconcertati dall’esito delle elezioni. L’ultima ad arrivare è una figura di donna seminuda languida e paffuta che sorride misteriosamente seduta in poltrona, una Cleopatra morente del pittore romagnolo Guido Cagnacci (1601-1663). Giunta qui per gentile concessione dell’Accademia di Brera essa è, a partire dal 2 dicembre e fino al 19 gennaio, esposta all’Istituto italiano di Cultura su Park Avenue. A presentarla al pubblico ha provveduto il giovane capo conservatore della Frick Collection, Xavier Salomon, un inglese ma di formazione italiana (ha studiato al liceo Marcantonio Colonna di Roma), autore dell’unico libro su Cagnacci apparso in epoca contemporanea.
Un altro quadro di Cagnacci era stato esposto qualche giorno fa, per iniziativa dello stesso Salomon, come fulcro di una mostra alla Frick, dal cui titolo, Cagnacci’s Repentant Magdalene: A masterwork of the Italian Baroque, già traspare l’intenzione di ricollocare sull’alto livello che gli è dovuto questo straordinario allievo di Guido Reni in buona parte dimenticato non solo dalle presenti generazioni ma anche, sempre, in passato. In quest’altro quadro una Maddalena che non sembra affatto pentita è sdraiata, anch’essa seminuda, al suolo, monopolizzando gli sguardi per la stessa delicatezza cromatica, equilibrio compositivo e di chiaroscuri e squisitezza formale che li dirigono sulla Cleopatra.

Come ha osservato Salomon nella sua conferenza all’IIC, alla scarsa notorietà di queste opere ha sicuramente concorso il fatto che sul loro autore non si è mai saputo quasi nulla, e che quel pochissimo che si è saputo viene esclusivamente dalle procedure giudiziarie mosse contro di lui per le sue ininterrotte trasgressioni dei costumi morali del tempo; sia da parte delle autorità papali in Romagna sia, in seguito, dell’autorità imperiale a Vienna, dove trascorse l’ultima parte della sua vita. Salomon ha fatto al riguardo, saltando da un secolo all’altro, un’interessante parallelo dell’opera di Cagnacci con quella pure sottile, sensuale e umana di un altro romagnolo, Federico Fellini, e con l’intera dolce vita italiana, e ha paragonato le donne cagnaccesche all’Anita Ekberg che nel famoso film guazza pettoruta nella fontana di Trevi.
Nel frattempo anche il Metropolitan Museum ha annunciato l’esposizione di un altro quadro di Cagnacci, una seconda Cleopatra morente (il quadro si intitola The Death of Cleopatra) che si trastulla con un’aspide velenosa sul seno. Alla base di tutte queste coincidenze sembra esistere una specie di coalizione tra Salomon, il capo dell’Istituto di cultura italiano di recente nomina Giorgio van Straten e il console generale italiano Francesco Genuardi, anche lui da poco arrivato, per portare la grandezza dell’arte italiana all’attenzione dell’America, dove per un complesso di circostanze anche economiche e politiche il ricordo non solo di quest’arte, ma addirittura dell’Italia sembra ogni giorno e soprattutto nelle giovani generazioni sempre più svanire.
Per rimanere al Barocco, è ancora il Met Museum che parla di un’altra scoperta con una mostra intitolata Valentin de Boulogne: Beyond Caravaggio, che, organizzata dal curatore Keith Christiansen in collaborazione con il Louvre di Parigi mette insieme da ogni parte del mondo 45 dei 60 quadri sopravvissuti di questo grande artista, per quella che, incredibilmente, è la prima mostra monografica mai dedicatagli nella storia. Nato a Coulommiers nel 1594 ma trasferitosi a Roma fin da ragazzo per rimanervi fino alla morte precoce vent’anni dopo, Valentin fu allievo di Bartolomeo Manfredi attraverso il quale subì il potente magnetismo di Caravaggio, realizzando nei suoi quadri una movimentato quanto appassionato panorama dei bassifondi romani con i suoi bevitori, i suoi giocatori, i suoi zingari e le sue prostitute. Il realismo della sua visione ebbe poi in Francia influenza determinante su artisti come Courbet e Manet. Dire però, come fa fin dal titolo la mostra, che Valentin va “oltre” Caravaggio grazie alla sua dinamica e senso del dramma mi trova dissenziente. Basta pensare alla Vocazione di S. Matteo in San Luigi de’ Francesi a Roma per capire perché.
Ma forse il più profondo omaggio all’arte barocca viene fatto dal Met stesso, sempre in questi giorni, con una mostra più modesta in una delle sue gallerie intitolata Velazquez: Truth in Painting, in cui cinque degli eccezionali ritratti del maestro sivigliano (1599-1660), tra cui quello appena restaurato dell’ineffabile cardinale Camillo Astalli-Pamphili, naturalmente parente del papa, con la sua “biretta” di sghimbescio, dipinto dall’artista in uno dei suoi lunghi e decisivi viaggi a Roma rappresentano indubbiamente ciò che dice il titolo della mostra: “il vero.”