Era il 1907 e John Piermont Morgan, il titano della finanza e dell’industria americana, aveva appena finito di mettere insieme la coalizione bancaria che avrebbe contenuto quell’anno il panico scoppiato in a Wall Street quando, per riposarsi l’animo, chiese al suo agente di acquistargli due squisiti pannelli tardo-quattrocenteschi del pittore germano-fiammingo Hans Memling (1435 ca.-1494) che erano venuti in vendita sul mercato internazionale. Rappresentavano uno due vecchie donne, una delle quali inginocchiata e con un’espressione naturalissima tra il doloroso e l’arcigno; l’altra un giovane anche lui inginocchiato ma perso nella lettura di un libro, ai piedi di un personaggio eroico con la spada tratta.
Ai due pannelli resi vividissimi dalla tecnica a olio che solo pochi decenni prima era stata inventata dai pittori fiamminghi Morgan si era poi specialmente affezionato dandogli un posto d’onore nella sua vasta collezione, appendendoli cioè ai lati del suo tavolo di lavoro. Ce li avrebbe tenuti fino alla morte, avvenuta sei anni dopo in una delle consuete sue lunghe permanenze a Roma.
Non è noto, ma è probabile, che Morgan sapesse che i pannelli erano le due ali di un trittico d’altare, smembrato e disperso un paio di secoli dopo la morte dell’autore. O che una grande parte centrale, rappresentante la tragica scena della Crocifissione con ai piedi Maria e i santi e il donatore, l’abate Jan Crabbe del monastero cistercense di Bruges, fosse venuta in possesso di una famiglia vicentina che a sua volta l’avrebbe donata ai Musei Civici di Vicenza; mentre altri due pannelli, quelli che formavano la parte esterna del trittico una volta chiuso, erano finiti in Inghilterra e di lì ritornati a Bruges, nel locale Groeningenmuseum.
È solo adesso – la notizia avrebbe affascinato Morgan – che tutti i pezzi di una delle più complesse e ricche opere di Memling sono stati rimessi per la prima volta insieme ed esposti proprio in quella che era stata a Manhattan la villa e biblioteca del grande banchiere e “re dell’acciaio”, in una mostra intitolata Hans Memling: Portraiture, Piety and a Reunited Altarpiece.
Allestita in una sala intima e silenziosa a pianterreno della parte moderna che è stata di recente aggiunta alla Morgan Libary & Museum dall’architetto Renzo Piano, la mostra, arricchita da contributi di altri massimi musei come il Metropolitan di New York, la Frick Collection pure di Manhattan e ovviamente i Musei Civici di Vicenza e gallerie di Bruges e di Londra, garantisce, pur occupando soltanto una sala, una delle più raffinate e sottili esperienze estetiche agli amanti dell’arte in questo appena iniziato autunno newyorchese.
Ma essa è anche di un’importanza particolare per gli specialisti e per un motivo preciso. Dopo gli splendori iniziali della pittura a olio nella prima parte del Quindicesimo secolo, rappresentati dalle magiche quanto meticolose scene di genere a firma dei due fratelli van Eyck e di Roger van der Weyden – il maestro di Memling a Bruxelles – nessuno, nella seconda parte del secolo, aveva meglio di Memling trasportato nella ritrattistica la prodigiosa tecnica messa a punto dalla scuola di Bruges. Ma poiché la pittura, anche la più eccelsa, nasce dal disegno che è anche studio iniziale dell’equilibrio e della composizione, questo aspetto della pittura di Memling è difficile da analizzare perché nessuno dei suoi disegni è sopravvissuto. Salvo quelli che generalmente esistono come guida al disotto del dipinto; in questo caso, essi sono stato rintracciati, ma finora solo per la parte “vicentina”del trittico, sui sottostanti pannelli di legno, a cura di due specialisti italiani di fisica applicata alle arti visuali e cioè principalmente con i raggi x e con la riflessografia a raggi infrarossi. Si tratta di Gianluca Poldi e Giovanni C. F. Villa, due docenti all’Università di Bergamo e consulenti dei Musei Civici di Vicenza.
I risultati di queste analisi per le figure del trittico, ognuna delle quali isolatamente, per la penetrazione psicologica dei volti associata al prodigioso naturalismo, costituisce dei piccoli ritratti attestanti la perfetta fusione degli echi tramandati dalla scuola di Bruges con le contemporanee esperienze rinascimentali italiane. E’ una delle più eleganti mostre del momento, resa anche più attraente dalla sobria architettura di Piano e dal fatto che, in una sala al primo piano, la Morgan Library offre in questo momento un’altra deliziosa mostra, questa sulle tre sorelle Brontë (chi sapeva che l’autrice di Jane Eyre disegnasse così bene?).
Le due mostre finiscono ai primi del gennaio 2017, la prima l’8, la seconda il 2.