L’arte, diceva Benedetto Croce, si pone lo stesso compito della scienza: scoprire la verità. Solo che lo fa con mezzi diversi, intuitivi la prima, logici la seconda. Oggi, per fare una cosa nuova, vorrei dare gli ultimi esempi interessanti di tutti e due i procedimenti, così come se n’è avuta notizia qui a New York.
Parliamo prima della scienza. È uscito in questi giorni il libro di un biologo londinese, Nick Lane, intitolato The Vital Question (ed. Norton) che dichiara ormai sufficientemente chiara l’origine della vita. Dice che non bisogna più parlare di vita limitatamente agli animali e agli uomini, perché è diventato evidente che quando esiste un certo insieme di condizioni chimiche, la vita biologica non può non venirne necessariamente fuori. L’unico esempio che noi conosciamo di questa situazione è qui sulla Terra, il che non significa che non ce ne siano altri.
Questo non è, tuttavia, il punto. Il punto è che se, date certe premesse chimiche, la vita ne consegue sicuramente – e questo è dimostrato dalla comparsa dei microbi, che si sono divisi la vita sulla terra per due miliardi di anni prima ancora che apparissero gli animali – allora possiamo anche dire che il pianeta che li conteneva è un “pianeta vivente”, e distinguerlo in questo modo dagli altri. Ma dire in che momento la vita animale, prima microscopica e poi macroscopica, venga fuori, diventa solo una questione di parole, anzi non ha più nemmeno senso. Lane dimostra anche come le grandi spinte alla manifestazione della vita siano venute prima dalla diffusione dell’ossigeno sul pianeta (quando i microbi esistevano già da eoni), poi quella dei protoni d’idrogeno, che sono diventati, accanto agli elettroni dell’elettricità una fonte primaria di energia che potrebbe dirsi “proticità”. Io trovo le idee di Lane affascinanti.
Adesso veniamo all’arte. Per illustrare il parallelismo scoperto da Croce mi pare calzante citare l’artista contemporaneo che sembra ispirarsi più direttamente alle seduzioni della scienza. È un francese di 54 anni che si chiama Pierre Huyghe e che per coincidenza espone proprio in questo momento la sua opera sulla terrazza del Metropolitan Museum in una mostra intitolata The Roof Garden Commission: Pierre Huyghe. Questo titolo richiede una spiegazione. Il Roof Garden è la terrazza del museo, che in estate si trasforma in un vasto giardino pensile attorniato dai grattacieli e dal verde di Central Park, aperto ai visitatori. “Commission”, perché la mostra è una istallazione commissionata dal museo all’artista, che da 25 anni esplora gli stessi temi – generalmente, il rapporto tra la natura e l’arte – in una molteplicità di media.
Le sue istallazioni sono state presentate in tutti i principali Paesi (ma non in Italia). Questa volta la mostra consiste in una serie di espedienti, di cui posso qui citare soltanto i principali: un acquario che si illumina periodicamente mostrando piante, pesci e anfibi antidiluviani che si aggirano tra rocce antichissime; corsi d’acqua che fluiscono intorno alla terrazza; un immenso macigno; una parte della terrazza da cui sono state divelte le lastre di copertura di marmo per mostrare il terriccio sottostante, su cui circolano insetti. Il tutto come richiamo alla circostante botanica e geologia di Central Park e, come spiegano i curatori della mostra, ad “esaminare i modi complessi e a volte contraddittori in cui gli esseri umani si correlano col mondo della natura e con i suoi sistemi intelligenti e spesso inscrutabili”.
Ammettendo pure che questo obbiettivo sia veramente raggiunto, e dato e non concesso che se ne tragga un profitto intellettuale, si può paragonarlo, questo profitto, alla visione di un bel quadro? O di che natura è? Una specie di risposta potrebbe averla data circa un mese fa il performance artist Joe Gibbons, che è stato arrestato a Manhattan mentre rapinava il cassiere di una banca nel quartiere cinese, intascando 1.002 dollari. Nella sua precedente carriera Gibbons aveva presentato al Moma e al Museo Whitney di New York, nonché al Centre Pompidou di Parigi, atti di “performance” varia riprodotti su video, e destinati, come dice una sua biografia ufficiale, ad “esplorare i confini tra fatto e fantasia”. Al giudice che lo ha condannato a un anno di reclusione Gibbons ha ammesso, però, di essere stato mosso anche “da stringenti difficoltà finanziarie”.