Sono quasi esattamente centoventicinque anni da quando Vincent van Gogh, dopo aver trascorso un anno in una clinica mentale di St. Rémy in Provenza, si preparava ad uscirne dopo aver recuperato quello che sembrava un accettabile stato di salute. Aveva celebrato questo momento dipingendo una nuova serie di fiori. Per lui, dipingere questo tipo di natura morta rappresentava una specie di rito celebrativo delle svolte della sua vita.
Lo aveva fatto per la prima volta ad Arles, pure in Provenza, all’inizio della sua carriera di pittore quando aveva concepito la splendida serie, poi celeberrima, dei girasoli. Poi varie volte durante il suo soggiorno a Parigi. Questa volta il soggetto erano certi rari fiori locali che proprio in quei giorni si erano dischiusi nel trasandato giardino della casa di cura. Ne aveva fatto quattro tele della stessa misura, studiando in modo approfondito e personalissimo gli effetti cromatici e i naturali contrasti di forma. Ma per van Gogh sarebbe stata anche l’ultima svolta, come forse egli stesso sentiva. “Ho cercato di impartire un calmo, inestinguibile ardore a questi miei ultimi colpi di pennello”, scriveva in una delle sue famose lettere al fratello Théo.
È a questa speciale serie di fiori e a questo presentimento che il Metropolitan Museum of Art dedica in questa tarda primavera una delle più concise, patetiche e belle esposizioni che si siano mai viste a New York. È intitolata Van Gogh: Irises and Roses e consiste solo di quattro quadri. Due sono iridi, due certe speciali rose dette anche “roses de Provence” o “rose dai cento petali”.
Trasferitosi ad Auvers-sur-Oise, un sobborgo di Parigi più vicino al fratello nonché all’Olanda dove era nato, Vincent, ricaduto in una profonda depressione appena due mesi dopo aver lasciato la clinica, si era tolto la vita. Poco dopo i quattro quadri erano andati dispersi, prima nelle case di parenti, poi in musei. Grazie allo sforzo del Metropolitan, questa è la prima volta che si rivedono insieme, come van Gogh intendeva. Due sono di proprietà del museo, un altro è stato dato in prestito dal Museo van Gogh di Amsterdam, il quarto dalla National Gallery di Washington. Solo quattro quadri, ma anche lo spirito e il gesto di uno dei più potenti e drammatici coloristi nella storia della pittura.
La loro giustapposizione rivela l’intenzione di appaiarne, due a due, il disegno e il colore, parte di uno studio dei segreti equilibri della natura. I colori risultano dalla fusione di colori primari: giallo e viola nelle iridi, rosa e verde nelle rose. Sono meno stridenti, più meditati di quelli dei girasoli di Arles.
In un’altra lettera al fratello, il pittore aveva scritto: “I dipinti appassiscono come i fiori”. Questo è realmente avvenuto per la serie di St. Rémy come involontaria conseguenza dell’impiego da parte dell’artista di un pigmento rosso profondo particolarmente sensibile alla luce che gli inglesi chiamano “lake red”. Tutti i colori contenenti questo pigmento sono infatti fortemente impalliditi; così il viola delle iridi è diventato azzurro, il rosa delle rose è diventato bianco.
Per questo il Metropolitan Museum ha mobilitato gli studiosi dei suoi dipartimenti scientifici e di restauro, per creare una ricostruzione dei quattro dipinti come dovevano essere al momento della loro creazione. Ne ha fatto anche un documentario che viene presentato insieme alla mostra e che è anche un silenzioso omaggio al grande artista scomparso in circostanze tanto dolorose nel 1890, quando aveva solo 37 anni.
La mostra Van Gogh: Irises and Roses rimane aperta fino al 16 agosto.