È stata di recente inaugurata al museo MAXXI di Roma la mostra dedicata ad Olivo Barbieri, uno dei più apprezzati e conosciuti fotografi mondiali contemporanei, le cui opere sono esposte in moltissimi musei e spazi privati del mondo. Ho avuto il piacere di conoscere personalmente Olivo e di apprezzarne, oltre alla grande professionalità, la simpatia, la cordialità e l’intelligenza, segno che, dietro ad un grande artista, si nasconde spesso anche un grande uomo.
La retrospettiva, divisa in più sezioni a seconda dei diversi periodi artistici dell’autore, sarà in cartellone fino al 15 novembre. Sono esposte più di cento opere del fotografo emiliano, nato a Carpi, nel 1954, che ha iniziato da giovane a collaborare con Luigi Ghirri, partecipando a molti progetti comuni, tra cui il plurilodato Viaggio in Italiadel 1984. Proprio a partire da questo primo evento, Barbieri ha iniziato a fotografare le città, dapprima quelle italiane e poi quelle di tutto il mondo, concentrando il suo lavoro sull’illuminazione artificiale e su una rappresentazione personale, con interessanti e originali elementi percettivi che sono andati via via affinandosi, fino al progetto Site Specificdel 2003 in cui ha esposto opere raffiguranti quaranta città di tutto il mondo, fotografate da un elicottero a bassa quota.
“La città contemporanea cresce attraverso l’invenzione dell’energia elettrica e dell’ascensore – ha detto Barbieri in una recente intervista – Stiamo assistendo al più grande esperimento creato dall’uomo: la creazione di metropoli inimmaginabili fino a poco fa, se non dalla fantascienza. Io lo so bene, perché da bambino ero un grande lettore di Flash Gordon”.
Barbieri è reduce da un’altra rassegna dedicata ai suoi lavori, Ersatz Lights, a Reggio Emilia nell’ambito della decima edizione del Festival della fotografia europea. Anch’essa è centrata sempre sul concetto della luce artificiale che illumina e, a volte, modifica l’aspetto delle città stesse.

il fotografo Olivo Barbieri
“Le mie immagini sono schegge in movimento, viste da lontano raccontano la capacità e la follia dell’uomo nel progettare un habitat, accettandone i rischi”.
A metà degli anni Settanta il giovanissimo Barbieri si era messo a fotografare i Flipper, le divertenti macchinette luminose presenti in quasi tutti i bar italiani e del mondo, in genere piazzate vicino ai mitici jukebox. Li aveva ritrovati, ormai vecchi e in parte rovinati, in una fabbrica abbandonata e aveva fotografato le loro superfici di legno e vetro, le alette laterali, le luci colorate ed i disegni fantastici. Il lavoro fu esposto alla Galleria Civica di Modena nel 1978 e Franco Vaccari aveva firmato il testo introduttivo del catalogo scrivendo, tra l’altro: “Le lastre di vetro frantumate agiscono da deposito dell’immaginario di un’intera epoca, cristallizzando autentiche icone della contemporaneità, dalla cultura beat alla fantascienza, dall’epopea del Far West alla Venezia del cinema, riverberando al contempo l’arte contemporanea da Marcel Duchamp a Andy Warhol”.
Sul finire degli anni Ottanta, abbandonando per un po’ i paesaggi nostrani, Barbieri era decollato verso l’Oriente, iniziando la sua ricerca, tutt’ora in corso, sui temi dei grandi cambiamenti in atto, in quella parte del mondo, e della loro rappresentazione. Ecco quindi il Tibet, l’India, il Giappone e, soprattutto, la Cina, caratterizzata da un cambiamento sociale ed economico senza precedenti. Carmine Donzelli, nella presentazione del libro Notfareast, alla mostra, scrisse: “Nelle fotografie di Barbieri c’è il fatto che il nostro sguardo, mentre si globalizza, ha anche bisogno di cinesizzarsi. La sua Cina riempie un vuoto mentale del nostro immaginario europeo, ci spiazza e, nello stesso tempo, ci arricchisce”.
Tornato in Italia, Barbieri è salito di nuovo a bordo di un elicottero per fotografare le nostre città. Ecco quindi Milano, Catania, Genova, Firenze, Napoli. Ognuna di queste ha dato origine ad una mostra e ad un libro. Le città vengono inquadrate in modo quasi irriconoscibile, attraverso una ridistribuzione più oggettiva dei rapporti di scala tra gli edifici e la loro funzione e, nello stesso tempo, nell’originalità delle sovrapposizioni, dei close-up, dei tagli e delle geometrie inaspettate di edifici famosi oppure del tutto anonimi.
Barbieri non smetterà mai di fotografare le città del mondo e di colorarle a modo suo, con l’illuminazione artificiale. Così il cielo sopra a Montagnana, vicino a Padova, diventa arancione e quello di Firenze di un intenso blu elettrico. Fucsia a Singapore, rosa a Tokyo e verde smeraldo quello di Beijing, in Cina. Ma non c’è niente di contraffatto, nessuna post-produzione. Tutto creato all’istante, con un semplice scatto, come solo quelli bravi davvero sanno fare. Nel 2002, con il progetto Paintings, fotografo entrò nei più importanti musei italiani, interpretando le opere a modo suo.
“Ho provato a guardare i quadri come fossero delle , distruggendone la bidimensionalità. Così, trasformando la profondità di campo, ritornavano . Ho lavorato, tra l’altro, sulle antiche negative di vetro del Museo di Capodimonte che attraverso il loro tempo, i loro , congelano un passato tangenziale opere pittoriche che rappresentano. scansioni ad alta definizione, ho questi due tempi e costruito una dimensione. Le immagini si muovono ù velocemente nel tempo che nello spazio. è stato importante e mi ha aiutato a trovare un punto di vista anche nel nostro tempo”.
Nella sezione della mostra chiamata Virtual Truths esposti i primi elementi di fuoco selettivo, una tecnica divenuta tipica dei lavori di Barbieri , grazie all’impiego di lenti particolari, permette di mettere a fuoco solo una parte dell’immagine, lasciando sfocato tutto il resto. Questo permette anche di creare un nuovo meccanismo visivo, ridefinendo le gerarchie tra gli elementi del visibile. È grazie a questo lavoro che lo a far parte del linguaggio fotografico contemporaneo.

Olivo Barbieri, Capri, 2013
Il progetto Parksabbraccia invece gli anni dal 2006 al 2014 ed è quasi il contraltare di Site Specific. Protagonista assoluta è la natura e quindi i grandi parchi, i paesaggi marini, le cascate, le montagne.
Gli strumenti usati sono sempre gli stessi e cioè le riprese dall’alto, la messa a fuoco selettiva, il rendering. La mostra romana è arricchita anche da alcuni video che l’autore ha realizzato nel corso della sua carriera tra cui quello dedicato a Shanghai(2004), realizzato volutamente senza audio per denunciare l’indifferenza dell’Occidente per uno dei cambiamenti sociali e urbanistici più veloci della storia.
“Non ho mai cercato la fotografia, ma le immagini – ha sempre detto Barbieri – E credo proprio che il mio lavoro inizi laddove la fotografia finisce”.
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