La Vigilia della Finale
Si può essere quello che non si è, nello spazio temporale limitato di una notte? Questa domanda giunge dall’altro capo dell’oceano e mi toglie il sonno. Alla vigilia della finale di Champions League che vede di fronte una squadra italiana, la Juventus, ed una catalana, il Barcellona di Luis Enrique, chiunque popoli il pianeta armato di sani principi ed integrità morale avrebbe asserito con certezza che il popolo italico si sarebbe schierato dalla parte bianconera , almeno per una notte. Il dubbio mi assale come una minaccia.
Continuo a soppesare le parole rigirandole come un cubo di Rubik, mentre la domanda si fissa nella mente come un arpione. Si può essere Juventini per una notte? Almeno in una finale di Champions? In un Paese normale forse si.
Durante questi giorni di attesa, gli edicolanti oltre alla fanzine della Juve proclamanti vittorie vendevano anche coppe di simil- cartone con fiocchi blu e rossi. Sciarpe bianconere alternate a vessilli catalani. Ragazzi in motorino dalle marmitte scoppiettanti si dividevano in tre il posto di uno con addosso le maglie di Messi e Neymar. Nelle ricevitorie sportive moltissimi hanno giocato la vittoria del Barcellona come atto di deprecabile e sornione esibizionismo. Un tizio cattura la mia curiosità e la mia ammirazione. Entra deciso in una sala e pretende di giocare la vittoria della Juventus per 3 a 0! Mi avvicino e penso di avere a che fare con un tifoso di vecchia data, lui disarmante mi squadra e mi spiattella una frase ad effetto. “Lo faccio per scaramanzia, perché tanto io non vinco mai…"
In un Paese simile sembra chiaro che nel calcio come in molte altre questioni integranti, la normalità non venga enunciata nemmeno come nozione. Un archetipo assente nella vita sociale degli italiani. Non siamo italiani, siamo Romani, Napoletani, esiste un Sud ed un Nord ma sono concetti, non luoghi. In Italia la bussola riveste un significato del tutto diverso dall’indicare un semplice punto cardinale. In Italia “sei “del Sud oppure del Nord come espressione di appartenenza, non come direzione. Non generano anomalia le appartenenze alle squadre di calcio. Mi rassereno e finalmente formulo una risposta alla domanda che mi assilla da un paio di giorni. Si può essere Juventini per una notte?
Ovviamente chi non lo è, non lo sarà mai.
La Notte della Finale
La Dea Eupalla non è bendata come la fortuna, stasera ha dimostrato di vederci , ed anche molto bene. Il Barcellona di Messi alza la coppa al cielo di Berlino che si tinge di sfumature blaugrana a tono con le luci del tramonto che descrivono reverenza in onore dei catalani. Fuochi d’artificio e piroette dalle dominanti rosso fuoco e blu notte si innalzano verso le nuvole mentre l’altra metà del cielo impreca per la sorte avversa. E’ risaputo che i sogni muoiono all’alba ma per uno scherzo di controluci artificiali il sogno della Juventus, nitido quasi palpabile all’inizio, con il passare dei minuti scemava verso i contorni indefiniti di un miraggio.
La Coppa appariva e spariva in un buco nero dimensionale direttamente proporzionale all’andamento della partita. Il gol subito dopo tre minuti aveva ottenebrato la serata perfetta del cielo sopra Berlino ed i più maligni tifosi di sponde opposte attendevano solo la tempesta sotto forma di goleada. Ma la Juve tiene, regge il mare mosso oltre misura con carattere, con forza. Ritrova una disperata abilità nel navigare ad orizzonte ottico per i flutti perigliosi, senza punti di riferimento , attenta e caparbia a non imbarcare acqua per le numerose falle causate dalle devastanti bordate della "Invincible Armada" spagnola, anzi catalana, durante le prime fasi della gara.
Oltre la Champions era in ballo il Triplete, chiunque avesse vinto la coppa stasera si sarebbe portato a casa anche la prestigiosa ricompensa assegnata alla squadra che durante l’anno solare sarebbe riuscita a vincere Campionato e coppa. La Juventus ci è arrivata vicina ma alla fine Coppa e Triplete, per dirla alla spagnola, lo hanno incartato e portato a casa Neymar e soci pronto per essere esposto nelle loro famose “Ramblas” per la gioia del popolo catalano.
Togliamoci subito il dente ed andiamo dritti al punto. La svolta dell’incontro poteva e doveva essere l’occasione del rigore negato a Pogbà abbracciato e scaraventato a terra in un eccesso di effusioni da Dani Alves. Chissà, la partita avrebbe potuto prendere un'altra strada, forse quella di Torino. Ma così non è stato. Il Barca passato rapidamente in vantaggio si dimostra spaziale. Prova a stendere i bianconeri, solo un miracolo di Buffon al 14’ evita il due a zero. A quel punto il dente lo avremmo senza dubbio perso e con lui anche prematuramente la Champions.
In una sorta di beffarda illusione la partita però assume aspetti diversi. La parata, anzi il miracolo di Buffon apre per incanto uno scenario che non ti aspetti. Nel momento di acuta passione quel prodigio scuote la coscienza dei bianconeri che cominciano a contare i metri dal fondo del baratro per la improvvisa e inaspettata risalita, la squadra che poteva riaprire il match è stata proprio la Juventus in un paio di occasioni, il rimpianto è stato quello di non aver usato l’istinto del killer, il cinismo e l’insensibilità di fronte all’ avversario. Che a sua volta purtroppo si è dimostrato implacabile.
Manovra il Barca con assoluta padronanza della sfera, ma non appare poi così stellare, dal casco alieno si intravedono sguardi umani, quindi fallibili. Ci si accorge che abbiamo a che fare con degli umani soggetti anche loro ad antropici sentimenti e non con marziani scesi dall’Ade per dispensare trapassi sportivi.
Tevez al 24’ infila la difesa blaugrana ma nessuno è lesto ad approfittarne. Marchisio ci prova con un segnale luminoso sotto forma di razzo ma la sfera incendia la parte superiore della traversa. Ancora Vidal e Pirlo hanno ottime intuizioni frustrate dalla chiusura tempestiva dei difensori avversari.
In questa sinusoide bioritmica puntualmente si verifica l’inversione di rotta. La squadra che subisce improvvisamente emerge dalle difficoltà e contrattacca. Al 40’ Suarez si libera in area ma manca la porta di un niente. Poi dopo nemmeno un minuto ancora Suarez impegna l’estremo bianconero ad un intervento oltre l’ordinario .
La Ripresa
Si torna in campo per la seconda parte della tenzone ed il dentone uruguagio sembra avere un conto aperto con Buffon, al 49’ ci riprova, penetra e scaglia una sassata verso la porta ma il capitano gli sbarra ancora una volta la strada della rete. Poi al 51’ è Messi dopo uno scambio in area a liberarsi per il tiro, ma la conclusione supera il palo alla sinistra.
Ed allora in perfetto sincronismo la squadra che subisce si desta improvvisamente. Lo Spagnolo di parte juventina si trova al posto giusto al momento giusto per spingere in rete una respinta di Ter Stegen dopo una violenta conclusione di Tevez in piena area di rigore. Il pareggio riconsegna il sogno nella sua forma originale, chiaro e nitido. La partita è riaperta e l’incanto della finale è integro.
Ora siamo alla pari, gli sguardi si incontrano come a voler accettare la sfida, non esistono vinti né vincitori, deboli o forti, ora siamo uno ad uno, nel punteggio e nello spirito. La convinzione è forte, milioni di tifosi italiani di sovranità bianconera accarezzano i loro figli trasfigurandoli nella delirante allucinazione dalle sembianze antropomorfiche della Coppa. Si gioca a viso aperto come molti sportivi amano dire. Non succede nulla di importante, le squadre si accorciano a centrocampo. La spina di pesce della difesa Juventina orfana stasera di Chiellini si chiude a strozzare in gola l’urlo delle avanguardie spagnole, anzi catalane. Pirlo , Vidal e Marchisio danno il massimo. Buffon è il vero Capitano della squadra, infonde coraggio e sapienza oltre ad elargire benedizioni e miracoli.
La Fine
Al 68’ l’ennesimo miracolo di Gianluigi Buffon non basta per salvare le anime dei propri fedeli. Lionel Messi mette il turbo e lascia sul posto un paio di difensori, entra in area e scarica un siluro. Il portiere bianconero si supera evitando la rete ma la respinta termina sui piedi di Suarez che infila la porta sguarnita.
Il resto è pura accademia. Lo spazio di sette minuti di recupero servono soltanto al Barcellona a siglare la terza, inutile ed evitabile rete ed a far perdere a mio figlio la scommessa sul risultato esatto… Poi le premiazioni, la folla, la gioia e le lacrime incontenibili di Morata che aveva illuso le italiche speranze chiudono il sipario sulla finale di Champions che è andata proprio come doveva andare. Vidal accenna un sorriso poi con un gesto di stizza si toglie la medaglia, pesantissimo fardello di occasioni perdute.
Ma non tutto è perduto, qualcosa di magico persiste. La bellezza di aver cullato un sogno, la voglia e la gioia di esserci, di partecipare, di giocarsi la finale contro il Barcellona. Coloro che sono restati a casa hanno “rosicato” all’infinito. La Spagna ha infilato una serie di vittorie incredibili, il Barcellona ha vinto quattro Champions in dieci anni, e mi fermo per un attimo a considerare che Barcellona non è Spagna, ma è Catalunya.
Si parlava dell’assenza di normalità in seno alla mia amata Patria, ma forse tanto normali non lo sono nemmeno loro. Mentre scrivo alle mie spalle mi giungono canti di festa, clacson, scooters con i colori del Blaugrana, addirittura petardi e mortaretti. Mi affaccio temendo di incrociare con lo sguardo la Sagrada Familia, pittoresca cattedrale incompiuta simbolo di Barcellona, ma per mia fortuna trovo immutata la serenità del Mare Adriatico illuminato da uno spicchio di Luna. Siamo in Italia e gli italiani non potranno mai essere quello che non sono, nemmeno per una notte.