Spagna. Costa catalana. Colline erbose, pianure come oasi di alberi e sabbia che degradano verso il Mediterraneo blu intenso come in una favola. Il vento agita mulinelli di polveri. La superstrada affianca il mare, punta decisamente verso Sud e supera di un balzo le impetuose correnti d’asfalto che annunciano l’ingresso nella capitale della Catalogna. Lo stradone a sei corsie passa vicino ad un acquedotto romano restaurato dagli arabi ed in funzione fino al Rinascimento. Punto l’auto verso un periplo di viadotti e mi infilo verso la pianura dove tra poche ore avrà inizio una delle più interessanti battaglie sportive della Storia calcistica di questa meravigliosa città. Supero di slancio l’Avinguda Diagonal e con un giro di boa pericoloso mi ritrovo immerso in un cimitero monumentale.
Ogni guerra che si rispetti ha il suo numero di vittime. Dietro le lapidi gigantesco mi appare il “Camp Nou” in tutta la sua magnificenza. Il campo di battaglia è annunciato da prime pagine altisonanti in cui una sola parola è sinonimo di sopravvivenza: Re-mun-ta-da. Barcellona è tutta un campo di battaglia, terreno fertile per sfide sportive drammatiche al limite del miracolo. Ultima in ordine di tempo la gara contro il Paris Saint Germain vinta con un punteggio tennistico. Sei gol come colpi di cannone inferti sulle povere membra dei transalpini che pure erano reduci da una vittoria in casa per 4 a 0. La remuntada quella volta era riuscita in pieno. I templi votati alla fede calcistica da queste parti ormai sono colmi di ex-voto, la strada che conduce allo stadio è una sorta di pellegrinaggio, una Via Crucis senza simboli religiosi, ogni stazione è un punto di convergenza con i colori blaugrana. Ogni cosa a Barcellona ricorda gesta calcistiche. Oggi più che mai. Nell’animo dei catalani è scolpita la speranza della remuntada, ma sanno perfettamente che due miracoli di seguito sono difficili persino per i Santi. Figuriamoci per pittoreschi figuri in pantaloncini e maglietta.
Il Camp Nou ha un effetto speciale. Se ti fermi e lo osservi sembra più un museo d’arte moderna che uno stadio: vetrate, pannelli, statue. Mi fermo davanti ad una scultura in bronzo dedicata a Laszlo Kubala, leggenda calcistica blaugrana degli anni ’50. Una statua che sembra partorita dalle menti costruttive dell’ex Unione Sovietica. L’acustica degli eventi ha gioco facile e prende il sopravvento. Centinaia di migliaia di voci catturano l’attenzione come impresse per sempre in questo luogo sacro e blasfemo allo stesso tempo. Lo stadio è vuoto, ma se chiudo gli occhi pare di sentirli.
Le dinamiche temporali
Il campo di battaglia visto dall’alto è una specie di diagramma, la lettura delle forze disposte in campo risulta più facile. Ogni cosa se sorvolata a dovere assume prospettive diverse. La Juventus ha preparato la sfida più importante degli ultimi anni come fosse una gara senza particolari patemi. A Pescara durante l’ultima di campionato Allegri non ha fatto sconti ed ha presentato, contro l’ultima della classe il suo attacco migliore e stava quasi per rimetterci le penne. Il risultato non è mai stato messo in discussione ma un paio di calcioni ben assestati dagli abruzzesi agli aitanti bianconeri non sono passati inosservati. Dybala il più malconcio ma sembra comunque aver recuperato in pieno. Dopo alcuni ritocchi alla formazione vista all’Adriatico, Allegri sembra sciogliere gli ultimi dubbi: Buffon in porta, Chiellini e Bonucci centrali difensivi, Alex Sandro e l’ex di turno Dani Alves sulle fasce. Khedira e Pjanic a centrocampo, linea offensiva composta da Mandzukic, Cuadrado e Dybala. Al centro dell’attacco il pezzo più pregiato. Gonzalo Higuain, che in questo stadio ha vissuto sfide da Superclásico con la maglia delle “merengues” del Real Madrid. Allegri sembrerebbe non rinunciare quindi al suo modulo tattico preferito, il 3-5-2 ma la verità è nascosta, celata in un modulo tattico più realistico, il 5-4-1.
Dall’alto, mentre cerchiamo di capire le contromosse di Luis Enrique, tecnico spagnolo del Barcellona, ci sorvola un corvo ad ali spiegate, segnale nefasto di illustri sconfitte. Lo prendiamo come un segno scaramantico. Per nulla intimoriti dal colpo d’occhio delle migliaia di seggiolini color blu e ocra, una frase tra le altre risalta e colpisce come una sentenza: “Mas que en club”. I catalani stanno preparando per la serata di domani un mosaico di cartelle blaugrana per impressionare gli juventini. Certamente impressioneranno i milioni di tifosi e sportivi che seguiranno la diretta dell’evento, me compreso.
Il tecnico catalano assumerà una formazione d’attacco con quattro – dico – quattro bocche di fuoco in attacco. Ter Stegen in porta, Piquè, Umtiti e Mascherano come difensori di contenimento, Neymar, Messi, Paco e Suarez in attacco. Roba da far venire i brividi anche all’equatore.

Le statistiche
Ma nel calcio nulla avviene di quello che poi ci si aspetta. La manovra del Barça non sarà avvolgente, né tantomeno morbida. Un 3-3-4 che non lascia alcun dubbio sulle intenzioni del tecnico blaugrana che ha stritolato il Paris Saint Germain in Champions un mese fa. Un rullo compressore capace di schiacciare chiunque, una formazione che però ha un suo lato debole: la difesa. Per il decimo anno consecutivo, il Barça è approdato ai quarti di finale di Champions e ha vinto tutte le 15 partite casalinghe. Meglio dei blaugrana ha fatto solo il Bayern Monaco. Non perde in casa da 12 gare contro squadre italiane. Ultima sconfitta nel 2002 ai supplementari proprio contro la Juventus ( 2 a 1 gol di Zalayeta). La Juventus dal canto suo ha le sue pesantissime carte astrali da buttare sul tavolo: ha vinto le ultime quattro gare in trasferta, ultima in ordine di tempo contro il Porto FC per 2 a 0 e ha subito gol in una sola gara, contro il Sevilla, partita vinta dalla Juve per 3 a 1. Numeri ad effetto .
Il coraggio e la presunzione
Il Barcellona è in difficoltà, non ci vuole un genio per capirlo, ma i suoi uomini non mollano mai. Sono veterani con il gusto della vittoria nel loro DNA e la vittoria è sempre un punto presente nelle loro corde. “Mas que un club” certo, questa frase mi toglierà il sonno. Oltre alle armi da paura, i blaugrana avranno qualcosa in più, la voglia matta di ripetere il miracolo, dimostrare al mondo che il Barcellona è qualcosa in più di una squadra di calcio. Ha anche un’anima soprannaturale capace di soverchiare ogni tipo di pronostico. Una specie di dono arrivato dal passato. La Juventus ha fame di vittoria: nella sua nemesi calcistica ci sono finali mai vinte, uno spettro da cancellare, una macchia da togliere per dare lustro alle decine di trofei vinti. Occorre però una giusta dose di coraggio. Pensare di poter fare qui al Camp Nou una gara di contenimento con 5 difensori, come il modulo di Allegri prevede in fase di non possesso palla, potrebbe essere un errore, si rischia seriamente di venire schiacciati inesorabilmente. La strada per Cardiff, capitale del Galles e sede prescelta per la finale, passa per Barcellona. Da qui anche i Cartaginesi passarono duemila anni fa per conquistare le dolci pianure dell’Italia. Hanno trovato gioie, ma anche dolori, più di quelli che hanno arrecato alle genti italiche di epoca romana. Catalogna terra di passaggi verso conquiste, verso un sogno, verso la finale.
Dove vedere la partita Barcellona-Juventus a New York?
Vi consigliamo:
Ribalta, 48 E 12th St, New York, NY
Kesté, 77 Fulton Street, New York, NY
Bar Legends, the Football Factory, 6 W 33rd St, New York, NY