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December 10, 2013
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Depero torna nella “metrocubica meccanopoli”

Marco PontonibyMarco Pontoni
Time: 3 mins read

A volte le foto dicono tutto. Quelle di Fortunato Depero a New York, ad esempio. L'artista di origini trentine, esponente di spicco del cosiddetto Secondo Futurismo, quello successivo alla Prima Guerra Mondiale, si trasferisce nella Grande Mela nel 1928, assieme alla moglie Rosetta, sull'onda di un successo che in Italia lo aveva già consacrato fra i grandi, nella pittura e nella scultura non meno che nel design e nella pubblicità (sue alcune delle rèclame più famose dell'epoca, sua la famosa bottiglietta del Campari, e ciò molti anni prima di Andy Warhol e della Pop art).

A New York, dove Depero aveva già esposto nel 1925, l'artista cura alcune mostre e tenta di esportare la celebre Casa futurista che aveva realizzato a Rovereto, sua cittadina di adozione, oggi nuovamente visitabile dopo un lungo restauro. Lavora anche nell'editoria, con buoni riscontri, e cura la ristrutturazione di due ristoranti. Le foto lo ritraggono a volte spavaldo, ma più spesso perplesso, forse un po' smarrito. L'artista nato nel 1892 in val di Non, quando il Trentino era parte dell'Impero austroungarico, l'allievo di Balla, capace di muoversi su tanti territori diversi, che inseguiva il dinamismo e la velocità, alla fine al futuro ci è arrivato, ma forse, non è esattamente quello che aspettava. Del resto, nel frattempo Wall Street è crollata, è iniziata la più grande crisi economico-finanziaria del XX secolo (nella quale, oggi, in qualche modo ci rispecchiamo).

Depero ritorna in Italia nel 1930 e oggi non vi è chi non comprenda che fu un errore. Per un artista del suo calibro, l'ambiente giusto, il più aperto e ricettivo, sarebbe stato senza dubbio quello statunitense. Ma il sogno americano sembra avere lasciato qualche cicatrice. La grande metropoli ha prodotto in lui l'impressione di una "babele brulicante di cavallette". E in effetti, nella sua arte pur così protesa verso il futuro, la geometria, le linee rette, la meccanica, compariranno sempre più spesso i motivi della sua terra, il mondo rurale, la natura delle valli alpine, celebrati molti anni dopo anche nella sala del Consiglio provinciale di Trento, una delle sue ultime "opere totali", di cui progetta e realizza non solo gli affreschi ma anche mobili e decorazioni.

Ma Depero era anche un acuto osservatore e una buona penna, e gli scritti che ci ha lasciato sul suo soggiorno newyorchese sono particolarmente vividi ed efficaci, oltre che di buona qualità letteraria. Invitato per il carnevale del 1929 ad un banchetto sulla Fifth Avenue, ad esempio, ecco cosa scrive: "L'immenso Hotel ha diciassette piani e 1704 appartamenti. Le altissime torri, foracchiate da milioni di quadratini, si alzano incantando. 10, 100, 1000, 10.000, un milione, dieci milioni di finestre accese. Dentro: milioni di banchetti; dentro: milioni di amori; dentro: milioni di scriventi, di leggenti, di dormenti e di danzanti. Milioni di minuscola umanità affaccendata dentro questa ciclopica, metrocubica meccanopoli; dentro questa babelimmensa manicomiofficina; dentro questo montagnepipedo dinamondo". 

A New York Depero tornerà nel 1947, di nuovo però senza riuscire a sfondare. Questa volta le ragioni potrebbero essere anche in parte ideologiche, come lamenterà l'artista: il Futurismo, come noto, era stata una corrente fin troppo compromessa con il fascismo.

Oggi Depero però sta per sbarcare ancora una volta a New York: il 21 febbraio il Guggenheim aprirà una grande rassegna sul Futurismo e a Depero verrà dedicato un intero convegno. C'è molta attesa per questo evento, così come per l'esposizione che si terrà invece a Madrid alla Fundacion Juan March, il prossimo ottobre, dove saranno esposte le opere di Depero provenienti dal Mart di Rovereto ma anche da altri musei e fondazioni private. Nel frattempo, il 12 dicembre, ad aprire le danze sarà Aosta con la mostra Universo Depero, curata da Alberto Fiz e Nicoletta Boschiero.

Forse è giunta l'ora di leggere il Futurismo con nuovi, occhi, con gli occhi del XXI secolo.  

 

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Marco Pontoni

Marco Pontoni

Sono nato in Sudtirolo 50 anni fa, terra di confine, un po' italiana e un po' tedesca. Faccio il giornalista e ho sempre avuto un feeling per la narrazione. Ho realizzato video e reportages sulla cooperazione allo sviluppo in varie parti del mondo. Finalista al Premio Calvino, ho pubblicato il romanzo Music Box e, con lo pesudonimo di Henry J. Ginsberg, la raccolta di racconti Vengo via con te, tradotta negli USA dalla Lighthouse di NYC con il titolo Run Away With Me. Ho da sempre una sconfinata passione per gli autori americani, Lou Reed, l'Africa, la fotografia, i viaggi e camminare.

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