“Quando lo studio di un avvocato a migliaia di chilometri da Varsavia diventa una sostanziale unità di crisi italiana significa che evidentemente c’è stato un problema”. Lorenzo Contucci, avvocato romano da sempre in prima linea nella difesa dei tifosi e soprattutto contro le leggi liberticide italiane legate al mondo degli stadi, va dritto al punto: “Quello che ho fatto io volontariamente, doveva essere organizzato dalla Farnesina”.
Ricapitoliamo velocemente gli avvenimenti: 149 connazionali sono messi in stato di fermo in Polonia, prima della partita Legia-Lazio. Si parla di presunti scontri, in realtà non è successo nulla. E’ giovedì sera. I giornali italiani parlano subito di violenze a opera dei tifosi laziali. Devono passare almeno 48 ore perché qualcosa si muova, molto lentamente. Intanto però sono tantissime le famiglie preoccupate per i loro cari a Varsavia. “Ho dovuto rispondere a centinaia di telefonate di famiglie e amici che volevano sapere cosa stava succedendo – spiega Contucci – e che non hanno ricevuto alcun aiuto dall’ambasciata che si è mossa in estremo ritardo e solo dopo qualche comunicato stampa legato al mondo della politica italiana: una vicenda imbarazzante”.
A Varsavia ci sono otto tribunali e decine di posti di polizia dove gli italiani sono stati posti in stato di fermo: “Per i primi tre giorni era difficilissimo scoprire i nomi degli arrestati e il luogo dove erano reclusi. Quindi era anche complicato garantire ai ragazzi il diritto alla difesa”. Così, quello che avrebbe dovuto fare lo Stato italiano, è stato “auto-organizzato” da Contucci con i ragazzi che erano lì: “Alla fine ho trovato un avvocato polacco che è andato sul posto per capire la situazione. Era un compito dell’ambasciata e quando lo ha fatto era tardi”.
Così il basilare diritto alla difesa non è stato garantito a tutti: in molti casi i ragazzi raccontano di essere stati ascoltati senza difensore e di aver patteggiato senza capire cosa stessero facendo. Addirittura, una coppia di toscani in luna di miele è stata arrestata per la sola colpa di trovarsi per strada ed essere di nazionalità italiana. “Uno dei reati considerati gravi in Polonia e contestati agli arrestati è adunata sediziosa: si può essere condannati fino a cinque anni”, racconta l’avvocato. Che cosa significa? Uno dei capi d’imputazione, oltre a schiamazzi e una non meglio precisata aggressione alle forze dell’ordine (di cui non ci sono prove video), che sta ancora tenendo in carcere ventidue italiani in Polonia è il reato di assembramento di cinque persone.
“I ragazzi sono divisi in due gruppi – spiega Contucci – i primi dieci sono quelli i cui avvocati d’ufficio hanno sostanzialmente definito la posizione processuale arrivando una vera e propria condanna già definitiva in primo grado (da due a sei mesi). Gli altri dodici sono quelli difesi da avvocati, invece, che non hanno definito la posizione processuale in primo grado e quindi sono soggetti alla custodia cautelare”. Per questo secondo gruppo, tra giovedì e martedì, ci sarà la risposta sulle richieste di patteggiamento chieste dai legali incaricati a Varsavia. “Sembra che abbiano concordato due anni di reclusione con la pena sospesa – continua Contucci – La Polonia viene da un regime comunista che punisce molto gravemente i reati contro l’ordine pubblico, che invece in Italia sono sanzionati con una pena irrisoria”. Con la pena sospesa, i dodici ragazzi sarebbero immediatamente scarcerati, “salvo contrattempi e ripensamenti dei magistrati”.
Per i ragazzi già condannati, “l’unica soluzione sarebbe di chiedere un’altra volta la scarcerazione dove aver preso una residenza in Polonia, in una casa in affitto o in un residence, dove aspettare l’appello”.
Una situazione paradossale gestita in ritardo dalla diplomazia italiana e sicuramente raccontata male dalla stampa nostrana: “Nel giornalismo, come in ogni professione, ci sono le mele marce. Ci dovrebbe essere una regola deontologica che non dovrebbe mai venire meno, quella di verificare i fatti. Questo invece non è successo”. Come avevamo già avuto modo di scrivere su la Voce di New York, in Italia si è subito “venduta” la storia dei violenti scontri che invece non ci sono mai stati. In qualunque altra nazione il sistema Paese avrebbe fatto quadrato intorno ai propri connazionali, invece di abbandonarli. A questo punto, almeno, sarebbe importante verificare a livello europeo se sono stati rispettati i diritti degli arrestati: un processo senza difensore e il carcere senza aver commesso alcun reato non dovrebbero essere degni della tanto decantata Unione europea.
Twitter: @TDellaLonga