In “Terezin-L’arte è più forte dell’odio” Antonio, clarinettista italiano e Martina, violinista cecoslovacca, si innamorano a Praga durante la Seconda Guerra Mondiale, ma nel 1942 vengono deportati nel campo di Terezin (o Theresienstadt secondo il nome tedesco, 60 chilometri a nord della capitale della Repubblica Ceca), dove la loro storia si intreccia con le incredibili vicende dei tanti artisti, musicisti, pittori, scrittori, creativi eccellenti, che, durante la detenzione realizzarono lì centinaia di produzioni musicali riuscendo a far divenire l’arte uno strumento di sopravvivenza per migliaia di persone segregate.
Nella realtà Terezín fu un campo “particolare” perché doveva servire alla propaganda nazista per mostrare un “ghetto modello” in cui gli ebrei potevano continuare la propria vita in maniera differente. Per questo vennero portati lì intellettuali e artisti usati per mostrare la falsa benevolenza di Hitler verso gli ebrei: quando nel 1944 la Croce Rossa visitò il campo, i nazisti organizzarono persino una rappresentazione musicale mettendo in scena il “Requiem” di Verdi. Terezín fu un luogo di dolore e sofferenza con un tragico epilogo: i nazisti, ormai certi della sconfitta, decisero di liquidare il campo e spedire tutti i prigionieri ancora vivi nei lager di sterminio. A Birkenau, il 17 ottobre 1944, 1390 uomini, donne e bambini, appena arrivati da Terezin vennero uccisi senza pietà.

“Terezin-L’arte è più forte dell’odio”, arrivato oggi nelle sale italiane, e opera prima di Gabriele Guidi (figlio d’arte di Johnny Dorelli e Catherine Spaak), vede un cast internazionale di tutto rispetto composto da Mauro Conte (Una questione privata, Sulla mia pelle), l’attrice slovacca Dominika Moravkova-Zelenikovà (Filthy, Kandidat), Alessio Boni (La meglio gioventù, La strada di casa) , Cesare Bocci (Viaggio nella grande bellezza, Il commissario Montalbano), Antonia Liskova, Jan Revai e Marián Mitaš.
Terezin, ennesima pellicola creata per il Giorno della Memoria, è un film che ha il coraggio di affrontare una tematica delicata, scivolosa, persino abusata, è lastricato di buone intenzioni ma non riesce a ritagliarsi uno spazio preciso all’interno del filone dei film sulla Shoah presentando una ridondante alternanza, quasi schematica, tra emozioni e brutture: insomma, non rischia qualcosa di diverso, come per esempio Il bambino con il pigiama a righe (di Mark Herman, 2008) o il surreale La vita è bella di Benigni. Parlando di bambini, sarebbe stato interessante dare per esempio maggior spazio ad un aspetto davvero particolare di quel campo: a Terezin i bambini vivevano con le loro famiglie e molti artisti e intellettuali si trasformarono in loro maestri (le leggi naziste impedivano ai bambini ebrei di andare a scuola). Al Museo ebraico di Praga esistono più di quattromila di quei disegni. Il grande filo emotivo del film si riduce quindi alle emozioni che la musica sa dare.