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September 13, 2017
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L’Arte Povera, a New York, mostra il suo prestigio all’Hauser and Wirth

La galleria d'arte svizzera, vicino alla High Line, è tra le ultime arrivate ma è già tra le più attive del quartiere

Mauro LucentinibyMauro Lucentini
L’Arte Povera, a New York, mostra il suo prestigio all’Hauser and Wirth

Alighiero Boetti, 1988 Embroidery on linen on stretcher

Time: 3 mins read

 

Pino Pascali (Colomba della pace) – Claudio Abate, 1968, Black and white photography (dal sito hauserwirth.com)

Hauser and Wirth, la galleria d’arte svizzera tra le ultime arrivate ma già tra le più attive nel quartiere newyorkese dell’arte contemporanea, ha aperto in questi giorni una delle più varie e complete mostre di ‘arte povera’ italiana, installandola su tutti e tre i piani dello stabile inaugurato recentemente proprio sotto la ‘High Line’ nella parte bassa di Manhattan (548 West 22nd Street). La selezione appartiene in buona parte alla vastissima collezione della gallerista, collezionista e curatrice di Monaco di Baviera Ingvild Goetz, che ha partecipato all’allestimento. Ha il carattere delle cosiddette ‘mostre di prestigio’ e non sono previste vendite.

Formalmente la mostra vuole celebrare il cinquantesimo anniversario della nascita del movimento italiano, prendendo come punto di partenza l’articolo del critico Germano Celant che lo tenne a battesimo con il nome di ‘arte povera’ nel settembre del 1967. Erano gli anni del fervore politico che sarebbe sboccato nel cosiddetto  “Sessantotto” italiano, e che, prendendo anche spunto dal dilagare della Pop Art negli Stati Uniti, avrebbe favorito il diffondersi di motivi d’ispirazione abbastanza simili tra artisti di Milano, Genova, Roma e soprattutto Torino.

Rigettando i valori delle istituzioni governative e culturali sorte nel dopoguerra, questi artisti crearono un vasto assortimento di opere che negavano ogni contemporanea validità all’arte ortodossa e ad una cosiddetta ‘cultura capitalista’ diffusa in Italia, anche come riflesso e reazione alla cultura americana. Di questa cultura venivano contestate soprattutto le espressioni artistiche più recenti,  quelle che erano state classificate come arte minimalista, arte concettuale e Pop Art. Ciò che veniva sottolineato in una varietà di stili era soprattutto il carattere effimero dell’intuizione artistica e la sua tendenza ad affermarsi anche nei momenti più banali e con i materiali più umili. Imperava la resistenza politica, in derivazione immediata dalla cultura della sinistra marxista allora predominante in Italia, in particolare come affermazione del movimento pacifista e anti-consumista; di condanna della guerra del Vietnam; di rigetto, infine, della commercializzazione dell’arte ritenuta (erroneamente) la precipua spinta interiore della Pop Art.

La mostra comprende 150 oggetti e si dichiara limitata alla fase formativa dell’Arte Povera italiana. Gli artisti rappresentati sono Claudio Abate, Giovanni Anselmo, Alighiero Boetti, Pier Paolo Calzolari, Giorgio Colombo, Luciano Fabro, Jannis Kounellis, Mario Merz, Paolo Mussat Sartor, Giulio Paolini, Pino Pascali, Giuseppe Penone, Michelangelo Pistoletto, Emilio Pini e Gilberto Zorio. Oltre a sculture, dipinti, istallazioni e fotografie, la mostra include un vasto e in gran parte inedito materiale d’archivio appartenente alla signora Goetz. La prima opera che il visitatore incontra entrando è l’”orchestra di stracci” di Pistoletto, un mucchio di vecchi panni  multicolori sotto una lastra di vetro, creato da Pistoletto come illustrazione del suo principio ‘ogni materiale, ogni forma, ogni idea sono per quanto mi riguarda accettabili’. Nel cumulo di stracci e articoli di abbigliamento smessi è inserito uno scaldacqua elettrico che ogni tanto ribolle e sibila, espressione, secondo l’artista, del momento culturale in cui va inserita l’opera.

Senza Titolo – Jannis Kounellis, 1961, Ketong paint on canvas (foto dal sito hauserwirth.com)

Notevoli tra gli altri pezzi una serie di disegni di Mario Merz su materiali di ogni tipo, trovati in carcere dall’artista che, all’epoca studente di medicina all’Università di Torino, era stato detenuto per un anno dalla milizia fascista della Repubblica di Salò nel 1944-1945, in seguito alla sua appartenenza al movimento politico Giustizia e Libertà nel suo periodo clandestino. Altro reperto particolarmente rappresentativo dello spirito dei cosiddetti ‘poveristi’, mezzo quintale di patate ammucchiate contro un angolo della galleria, tra cui sono mischiate riproduzioni in bronzo di organi umani. L’installazione, creata nel 1977 da Giuseppe Penone, è presentata con il titolo di ‘patate’, ed è significativa, secondo i curatori della mostra Douglas Fogle e Chiara Vecchiarelli, di un’esplorazione del confine ambiguo tra arte e natura.

Patate (Potatoes), Giuseppe Penone, 1977 (foto dal sito hauserwirth.com)

Tra le altre opere di spicco, la scultura ‘Torsione’, fatta nel 1968 da Giovanni Anselmo, composta di cemento, cuoio e legno ed accompagnata da foto dcumentarie del lavoro stesso di Paolo Mussat Sartor; una composizione ‘Senza Titolo’ di Pier Paolo Calzolari del 1972 di senso polemico contro l’accademica natura morta, consistente di una rosa, noci e un pesciolino in una caraffa d’acqua, il tutto collocato su un materasso; e diverse opere di Alghiero Boetti e Jannis Kounellis, artisti già noti al pubblico americano per precedenti mostre personali. La mostra, intitolata ‘Arte Povera,’ rimane aperta fino al 28 ottobre.

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Mauro Lucentini

Mauro Lucentini

Sono nato e vissuto a Roma che però ho abbandonato più di mezzo secolo fa per fare il giornalista in varie parti del mondo. Ne ho tratto una specie di complesso di colpa nei confronti della mia città natale, complesso che ho un po’ alleviato scrivendo da lontano una Grande Guida di Roma, che si vende in diverse lingue in diversi paesi. A New York venni per rimanerci tre o quattro anni, invece ci incontrai la ragazza più carina e dolce del mondo così ci sono rimasto, mettendo su, come si suol dire, famiglia. Lei però, pur essendo tanto più giovane di me, è poi scomparsa come un fiorellino che muore. In questa lunga carriera, cominciata quasi da bambino, ho sempre scritto sia di politica che di arte e di questo non mi pento.

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