Dopo aver vinto con Salvo nel 2013 il Gran Premio della Semaine e il Premio Rivelazione al 66° Festival di Cannes, i registi siciliani Antonio Piazza e Fabio Grassadonia inaugurano la Semaine de la Critique della 70° edizione del Festival di Cannes, la prestigiosa sezione dedicata alle opere prime e seconde. Protagonisti di Sicilian Ghost story, due giovanissimi palermitani Gaetano Fernandez del quartiere Zisa di Palermo e Julia Jedlikowska, l’attrice di origine polacca al suo debutto sul grande schermo.
Il film, una coproduzione Italia-Francia-Svizzera, racconta di Giuseppe, un ragazzino di tredici anni, che scompare. Luna, una compagna di classe innamorata di lui, non si rassegna alla sua misteriosa sparizione: si ribella al silenzio e alla complicità che la circondano e, pur di ritrovarlo, discende nel mondo oscuro che lo ha inghiottito e che ha in un lago una misteriosa via d’accesso.
Il film è ispirato e dedicato alla vicenda di Giuseppe Di Matteo vittima del delitto più efferato della mafia siciliana. È il 23 novembre 1993 quando un gruppo di poliziotti si presenta al maneggio dove Giuseppe andava a cavallo. “Ti portiamo da tuo padre” gli dicono. “Me patri, sangu mio!” risponde il bimbo entusiasta. Ma presto scopre che quelli non sono poliziotti, ma mafiosi travestiti da agenti. Il rapimento su ordine di Giovanni Brusca, doveva servire per spingere il padre Santino Di Matteo a ritrattare le sue accuse. Lui, uno dei primi pentiti dell’ala corleonese, sta infatti raccontando ai magistrati cosa è successo a Capaci, quando il 23 maggio 1992, il giudice Giovanni Falcone e la sua scorta sono saltati per aria. Con uno dei suoi carnefici, Giovanni Brusca, Giuseppe ha persino giocato a lungo nella sua casa di Altofonte. Dopo più di due anni di prigionia, l’11 gennaio 1996, il bambino viene strangolato e sciolto nell’acido all’età di 15 anni.

Ed è stata proprio la visita al bunker dove il ragazzo è stato ucciso, oggi un “giardino della memoria”, ad aver alimentato negli autori la convinzione di portare a termine l’esperimento di Sicilian Ghost Story, ovvero “Riscrivere la realtà attraverso il sogno. Come diceva Leonardo Sciascia, l’intera Sicilia è una dimensione fantastica. Come si fa a viverci senza immaginazione”, raccontano i registi. Che aggiungono: “Quella vicenda è stata in qualche modo la punta di crudeltà più estrema della stagione delle violenze di mafia, tra fine anni ’80 e gli anni ’90. Ma a distanza di vent’anni la ferita è ancora aperta. Delle vittime di mafia non si parla abbastanza, oppure ti capita di trovare chiuso il Giardino della Memoria persino nel giorno del ventennale del suo assassinio. Ecco, volevamo strappare questo bambino, vittima della stupidità umana, alla dimenticanza”.
Per tenersi alla larga dagli abusati cliché narrativi che caratterizzano ormai i film di mafia e fornire l’esatta contezza del volto disumano della mafia, i registi creano una storia in equilibrio tra cronaca nera, la realtà, e favola cupa, la fantasia.

“Il cinema italiano ha esempi di cinema impegnato, come Salvatore Giuliano e Le mani sulla città. Ad un certo punto però è diventata un racconto di mafia, un universo chiuso che non ci ispira in nessun modo”, ribadiscono Piazza e Grassadonia. “Oggi i film sulla mafia raccontano la Sicilia come un posto tipicamente mediterraneo, abitato da commissari che fanno il bagno al mare e amano la pasta con le sarde. Un genere di intrattenimento che non ci interessa”.
I registi decidono così di adottare il punto di vista di un personaggio figurativo, Luna, prendendo spunto dal libro di Marco Mancassola, Non saremo confusi per sempre, dove i fatti di cronaca della storia italiana sono “arricchiti” di una parte immaginaria. Una favola alla Fratelli Grimm. Così un paesino della Sicilia con le sue atmosfere cupe e inquietanti diventa un luogo perfetto per personaggi crudeli. Gli adulti omertosi e complici sono orchi in balia della insensata stupidità. Giuseppe è un fantasma in attesa di essere rilasciato. Ma ecco allora che, dal punto più fitto e cupo del bosco, uscirà una figura magica, Luna, la grande sognatrice, l’unica decisa a squarciare il velo del silenzio.
Lei attraverso i suoi sogni e l’amore per Giuseppe ricrea la realtà. “È l’unico modo possibile per salvarsi da un mondo che uccide i bambini” spiegano i registi. “Il bosco è il custode del loro segreto. Mentre la natura e l’acqua sono stati fondamentali per il racconto perché accoglievano i nostri due protagonisti e permettono anche il risorgere della vita e la metamorfosi”.

Tuttavia il ricorso eccessivo a visioni, seppur a fin di bene, rischia di spingere il film al limite del paradosso e di indebolire la volontà critica della pellicola. Ma Piazza e Grassadonia sembrano non curarsi troppo di questo. Per loro trasformare un episodio terribile in una storia d’amore impossibile tra due adolescenti è un chiaro atto politico, il tentativo di suscitare rabbia e indignazione nel pubblico con un linguaggio diverso. Una provocazione per ricordare che negli anni ’90 dopo ogni attentato o omicidio la reazione dei palermitani era quella di fingere e di continuare a comportarsi come se si vivesse in una città normale. “Fingevi di vivere in una città europea, ma i morti si contavano sulle prime pagine”, raccontano i registi. “Oggi La Sicilia è cambiata: senza più quella crudeltà, ma la mafia non è stata sconfitta ed è altrettanto forte in Calabria, Campania ed nelle altre regioni del nord. I genitori di Luna non fanno altro che fare questo, ma lei non vuole dimenticare”.
Ma non sarebbe anche giunta l’ora di raccontare ai festival una Sicilia diversa?
Guarda il trailer di “Sicilian Ghost Story”: