L’Italia, lo sappiamo, ha il più vasto e ricco patrimonio artistico e culturale del pianeta. Oltre il 50 per cento del totale? Di più? Forse fino al 70? Lasciamo da parte le percentuali, se non altro per non irritare le suscettibilità degli amici francesi, spagnoli, tedeschi, austriaci e via dicendo. Quello che conta è che la Penisola, il cosiddetto Belpaese, siede davvero su una miniera d’oro di bellezze: sia paesaggistiche sia frutto dell’ingegno e del gusto italico. Un patrimonio di cui, sappiamo anche questo, si dice che gli ultimi a curarsene siano proprio gli italiani. Ma questa diceria, che ha indubbiamente ben più di un fondo di verità, è ancora vera? Dopo una interessantissima visita a Cittaducale, in provincia di Rieti, forse si può cominciare a cambiare idea. Una visita esclusiva e davvero particolare. A guidare un gruppo di corrispondenti stranieri è il prefetto Fabio Carapezza Guttuso: il secondo cognome lo identifica come il figlio adottivo del grande pittore siciliano scomparso nel 1987.

Il posto è un gigantesco capannone all’ interno della Scuola del Corpo forestale dello Stato, recentemente assorbito dai Carabinieri. Era il garage degli automezzi militari. È stato liberato per fare spazio alle migliaia di opere d’arte e manufatti salvati dalle macerie delle due scosse di terremoto che hanno devastato tante città e paesi del Centro Italia: Amatrice, Visso, Accumoli, Norcia… Molte di queste opere, la grande maggioranza, vengono dalle chiese. Opere preziose: quadri, statue, crocifissi, Madonne medioevali, pale d’altare, reliquari, tabernacoli ma anche stole e campane. “Per la precisione, in questo deposito i beni mobili su cui stanno lavorando i nostri restauratori sono 2.835 – puntualizza Cristina Collettini, architetto del ministero – E migliaia di altri sono negli altri quattro depositi allestiti nelle Marche, in Abruzzo e in Umbria. Complessivamente finora ne abbiamo raccolte oltre 16mila. Non ci fermiamo, però: sappiamo che sotto le macerie ci devono essere ancora almeno altre 600 opere”.
I danni complessivi della serie di scosse nel Centro Italia sono stati calcolati tra i 20 e i 25 miliardi di euro, dei quali almeno sette riguardano i soli beni culturali. Si punta ad attivare il Fondo di solidarietà dell’Unione Europea. Altrimenti… dovrà provvedere in toto l’Italia. L’enorme antro di Cittaducale potrebbe essere chiamato il Museo dell’arte ferita ma … in via di guarigione. Perché questo non è un deposito statico e abbandonato a se stesso. Al contrario è molto attivo: vi operano i restauratori del Mibact, il ministero dei beni culturali, artistici e del turismo.

Due delle restauratrici al lavoro in questa giornata – Federica Di Napoli Rampolla, responsabile delle unità di recupero beni del Mibact, e Silvia Borghini – attirano comprensibilmente la curiosità dei cronisti. Spiegano che la cura di un’opera d’arte danneggiata avviene in maniera inversa a quella di un paziente umano in ospedale. “Qui il codice rosso viene affrontato per ultimo. Meglio sistemare prima le opere meno danneggiate. In modo da poterle restituire e rendere di nuovo fruibili il più rapidamente possibile. Liberando anche spazio per quelle più gravi”. Su un tavolo, però, ci sono frammenti piccoli e piccolissimi di calce, gesso, pietrisco che Silvia Borghini, mentre parla, continua a spazzolare e pulire. È ciò che resta di un antico pavimento. E questo puzzle all’apparenza impossibile sarebbe un lavoro facile, non da codice rosso? La risposta è spiazzante: “Ci vuole pazienza”. D’accordo, ma la pazienza non basta. Qui, lo si scopre con piacere, c’è dell’altro. Qui c’è un’Italia che dà il suo meglio. In questi tempi difficili e scoraggianti, è rasserenante scoprire uomini e donne che lavorano bene, con efficienza e professionalità. Per mestiere, certo. Ma anche per passione. Capaci persino di realizzare un miracolo non molto comune nel Belpaese: collaborare fattivamente gli uni con gli altri; persino – udite, udite! – tra istituzioni e burocrazie diverse. Già, perché non ci sono soltanto i tecnici del Mibact, della cui Unità di crisi nazionale è responsabile il prefetto Carapezza Guttuso. Ci sono ufficiali, graduati e militi dell’ex Corpo Forestale, oggi confluiti nei Carabinieri. Disposti a fare sempre di più.

A Cittaducale, guidati dal generale Umberto D’Autilia, non si sono limitati a mettere a disposizione l’immenso hangar e a fare la guardia ai beni artistici 24 ore su 24: hanno già individuato e concesso un altro grande spazio che diventerà il vero laboratorio di restauro. “Sì. Ma ogni emergenza è diversa dalle altre. Ad ognuna ci arriviamo avendo acquisito l’esperienza della precedente. Eppure, ogni volta, c’è qualcosa di nuovo da apprendere”. Dal racconto del Prefetto si capisce come, dalle tragedie che ogni sisma provoca, è nata una specializzazione d’eccellenza tutta italiana. Riconosciuta internazionalmente, tant’è che dal recente accordo firmato dal governo italiano con l’Unesco sono nati i Caschi blu della cultura: una task force di carabinieri, restauratori, storici dell’arte, studiosi. Che sono già stati utilizzati in Nepal, in Iran, a Baghdad.

“Saremmo anche pronti per andare a Palmira, a tentare di rimettere a posto ciò che i terroristi dell’ Isis hanno distrutto. Aspettiamo però le necessarie condizioni di sicurezza”. È un’esperienza e una professionalità, quella del recupero e del restauro, che l’Italia – terra di terremoti – ha acquisito sul campo. “La prima consapevolezza del fatto che, dopo avere salvato le vite umane, c’è da pensare anche all’arte ci venne segnalata dal grande critico e studioso Cesare Brandi che, nel 1963, scrisse un’opera decisiva: La teoria del restauro. Poi il sisma del 1980 in Irpinia ci spinse ad agire- ricorda Carapezza Guttuso – da allora, ogni volta abbiamo imparato qualcosa, messo a punto nuove tecniche”. E i risultati si vedono.
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