Avevo quattro anni quando mio padre, giovane ingegnere dell’Italia del dopoguerra, acquistò il primo gigantesco apparecchio Philips che si collegava alla presa elettrica, passando per il trasformatore di corrente. Ma quando quel lontano giorno, finalmente attaccarono la spina, ahimè, non si vedeva niente, ma proprio niente.
“Ma l’antenna sul tetto ce l’avete messa, ingegne’?” – domandò l’omone che aveva portato su la TV.
“Antenna? Ma quale antenna?” – esclamò mamma, meravigliata.
“Senza antenna, nun se po’ vede’. Ma che ve le devo dire io queste cose, ingegne’?”, ribatté l’omone, dicendo poi che avrebbe pensato a tutto lui e che non c’era problema arcuno, ma proprio arcuno.
Io sono cresciuto con Lascia o raddoppia, presentato da Mike Bongiorno. A casa nostra, visto che eravamo tra i pochi ad avere già la TV, arrivavano parenti e amici a vedere il programma. Portavano sedie, sgabelli, anche cuscini, per sedersi in terra. Mamma cucinava i suoi famosi biscotti al burro e papà passava con il fiasco, versando nei bicchieri il vino dei castelli, mentre i nonni e gli zii litigavano sul livello di volume da applicare e sul giusto contrasto da impostare sull’apparecchio. Poi tutti cercavano di indovinare le risposte, mentre spuntavano già i primi campioni destinati a diventare celebri come il professor Gianluigi Marianini, Paola Bolognani, Luciano Zeppegno e Ettore Balli, che divenne in seguito uno dei maggiori esperti italiani di jazz. Transitò per quel programma anche un altro musicista, destinato a diventare in seguito famosissimo, John Cage, che si presentò come esperto di micologia, incredibile ma vero.
Nella mia infanzia poi ci sono stati altri celebri programmi come Il Musichiere, L’amico degli animali, Studio Uno, Canzonissima. I miei divi si chiamavano Mario Riva, Angelo Lombardi, Mina, le gemelle Kessler, Don Lurio e, appunto, Mike Bongiorno.
Nel 1958 la TV dei ragazzi del pomeriggio iniziava con la sigletta Kindersymphonie di Mozart. C’erano la rubrica della posta di Pippo Cannocchiale, un buffo papero di stoffa, e alcuni telefilm americani come Tarzan, con il campione di nuoto Johnny Wessmuller, Penna di Falco, capo Cheyennee poi l’antesignana delle sitcom nostrane, ovvero Giovanna la nonna del corsaro nero, con uno straordinario Pietro De Vico nei panni di Nicolino, il piccolo corsaro balbuziente e Anna Campori nei panni della nonna.
Una volta l’anno c’era il Festival dello Zecchino d’oro, presentato da Cino Tortorella, alias Il Mago Zurlì (qui sotto la sigla). E chi se lo perdeva? Io no di certo. I bambini di tutta Italia cantavano simpatiche canzoncine che poi tutti noi imparavamo a memoria all’istante. Che invidia avevo all’epoca per quei coetanei che cantavano davanti al microfono dello studio dell’Antoniano di Bologna, accompagnati dal mitico coro diretto da Mariele Ventre.
Per quanto riguarda il calcio, i goal della domenica potevamo vederli soltanto il lunedì pomeriggio alle 17.20, nel programma Telesport che durava esattamente dieci minuti. Se penso oggi a tutti i programmi che ci sono sull’argomento specifico, mi viene da ridere.
Negli anni ’60, fino all’inizio dei ’70, ricordo con grande piacere uno strepitoso Maigret, interpretato da Gino Cervi. Andava in onda la domenica pomeriggio e, all’epoca, mi ha fatto venire voglia di bere la mia prima birra con la schiuma, proprio come piaceva al famoso commissario. E poi ancora c’era la domenica sera lo sceneggiato Il segno del comando, con Ugo Pagliai, il primo vero thriller della mia vita. Che paura mi faceva e che bella la canzone della sigla che si chiamava Cento campane (qui di seguito).
Il sabato sera toccava a Canzonissima a Studio Uno, Senza Rete e Alta pressione, con i giovanissimi Gianni Morandi e Rita Pavone.
Negli anni a seguire si sono viste altre cose degne, ad esempio i programmi fatti da Renzo Arbore come L’altra Domenica, Quelli della notte, Indietro Tutta, puro divertimento condito dall’intelligenza dell’autore e dei suoi vari ospiti. Ottima ancora la satira dei programmi La TV delle ragazze, Avanzi e Pippo Kennedy Show, dalla brava Serena Dandini, con gli strepitosi fratelli Guzzanti e tanti altri geniali comici. Salverei poi Il postino di Chiambretti e forse qualche programma di Fabio Fazio.
Possiamo dire che è finita lì? Che poi c’è stato solo il buio? Che ormai, nell’era del digitale e delle multi proposte di Sky, Netflix, Mediaset e compagnia bella, ci si perde disperatamente in meandri di serie televisive, film, avvenimenti sportivi e documentari di tutti i tipi? Che fine ha fatto la mia bella e risposante TV in bianco e nero? Che fine hanno fatto i rilassanti conduttori, presentatori, cantanti e attori che entravano nella mia casa e nella mia vita come tanti gentili compagni e che dividevano con me momenti lieti e allegri? Che fine hanno fatto tutti quei programmi intelligenti nati dalla fantasia e dalla genialità degli autori?
Non lo so che fine hanno fatto. So per certo che non ci sono più e che io li rimpiango fortemente, ogni giorno. Così come rimpiango gli amici e i parenti che venivano a casa nostra alla sera a vedere la TV e a commentare insieme ciò che accadeva, tra un bicchiere di vino ed un biscotto al burro. Perché adesso siamo tutti molto più soli o al massimo in compagnia di moglie e figli, seduti sui nostri soffici divanetti, nelle nostre belle case, davanti a super schermi piatti, a scegliere con il telecomando tra un’infinità di proposte. Ma nessuna di queste proposte, proprio nessuna, ha il sapore di quelle che ho avuto io, molto tempo fa, in un’altra vita.
Discussion about this post