La Radio Italiana ha compiuto 90 anni e quindi, tanti auguri alla radio! È nata il 6 ottobre 1924 in un piccolo appartamento di via Maria Cristina, a Roma, vicino a piazza del Popolo, sede dell’Unione Radiofonica Italiana.
L’annunciatrice Maria Luisa Boncompagni aveva dato l’annuncio del concerto Opera 7 di Haydn trasmesso in diretta. Seguirono poi le previsioni del tempo, alcune brevi note sull’andamento della Borsa e, infine, le notizie lette da tal Ines Donarelli che altri non era se non una giovane musicista dell’orchestra di cui sopra.
Il tutto durò un’ora e mezzo. Era poco, ma era l’inizio.
Quattro anni più tardi cambiò la sigla in EIAR ovvero Ente Italiano Audizioni Radiofoniche. Eravamo in pieno fascismo e quindi il nuovo strumento diventò presto un naturale diffusore a mezzo etere di idee ispirate all’opera e all’attività quotidiana del Duce e dei suoi adepti. Negli anni trenta le informazioni infatti erano gestite direttamente dall’Agenzia Stefani, organo di stampa ufficiale del regime. I miei genitori mi raccontavano che, per loro, da piccoli e poi anche da giovani, la radio era come oggi per noi la televisione. Dopo cena, si andava nel salotto, i genitori seduti sulle poltrone buone, i piccoli dove capitava e si ascoltavano i programmi.
“Mi piacevano gli originali radiofonici e le riviste musicali. Ce n’erano certi di bellissimi, pieni di avventura e di passioni. Li ascoltavamo tutti insieme in salotto, seduti davanti al gigantesco apparecchio di legno che aveva comprato mio padre”, dice ancora oggi mia mamma con gli occhi colmi di nostalgia.
Durante la guerra si diffuse, specie nei territori occupati, l’ascolto clandestino delle radio nemiche come Radio Londra, Radio Mosca e, anche, Radio Vaticana. Era naturalmente tutto proibito ma, in fondo, era quella l’unica fonte reale per conoscere l’andamento delle cose. Dopo la guerra vennero ricostruiti gli impianti e nel 1948 la radio prese il nome di RAI, Radio Audizioni Italia. Nel 1951 venne trasmessa in diretta la prima edizione del Festival di Sanremo e, da allora, fu un successo dopo l’altro che culminò, negli anni Sessanta e Settanta, con i famosi programmi Chiamate Roma 3131, Alto Gradimento, Bandiera Gialla, Hit Parade, solo per citarne alcuni.
Io iniziai a lavorare come autore per radio Rai nel 1978. Il programma si chiamava Un’invenzione chiamata disco, la storia del disco, dalla sua nascita, ovvero dall’invenzione del fonografo di Edison. Quelle trenta puntate scritte insieme al co-autore Marco Ferrante mi catapultarono nel mondo del professionismo e, per più di venti anni, non smisi più di collaborare con la Rai.
Per i primi tempi restai in tema musicale e, insieme alla mia amica Serena Dandini scrissi il programma Professione jazz, su coordinamento di Adriano Mazzoletti che, in passato, era stato un bravissimo batterista e che poi era entrato in Rai come funzionario. Erano delle biografie sceneggiate dei grandi della musica jazz, da Bix Beiderbecke a Benny Goodman, da Lester Young a Billie Holiday, da Mezz Mezzrow a Jelly Roll Morton. Il tutto veniva realizzato negli attrezzatissimi studi di Torino, con la partecipazione di una quindicina d’attori a puntata. Fu un successo che durò per più di due anni e mezzo.
Subito dopo, insieme ad un’altra bravissima autrice, Annabella Cerliani e al regista Nanni Loy, scrissi il programma Amore vuol dire, un lungo e divertente viaggio attraverso la parola amore, scandagliata in tutte le sue varie espressioni. Tra i partecipanti c’erano numerosi e bravi attori come Rodolfo Laganà, Miranda Martino, Anna Melato, Pierfrancesco Poggi e tanti altri. Mi dedicai poi alla scrittura di vari originali radiofonici, lunghi e divertenti, cercando di ripetere le gesta dei miei gloriosi colleghi che, nel passato, avevano tenuto intere famiglie, come quella di mia madre, incollate all’apparecchio radiofonico. Ricordo tra le altre Mio figlio Nicola, che aveva per protagonista un giovanotto un po’ scapestrato, raccontato però da sua madre, e anche il divertente Pizza e Fichi, vicende pseudo allegre di un gruppo di teenager di un quartiere romano.
Ne scrissi molti altri di programmi radio, ma quello che ricordo con maggior divertimento personale è Musica e parole per un giorno di festa, su regia di Paolo Leone. Andava in onda la domenica mattina, verso le sette. In quell’occasione io, oltre che per la scrittura dei testi, ero impegnato anche nella conduzione al microfono, nella parte del serio e un po’ottuso giornalista che leggeva le notizie del radiogiornale. Ero però continuamente interrotto dal folle inviato Spalla, interpretato dal poliedrico attore Massimo Giuliani, che mi chiedeva sempre la linea da ogni parte della penisola. Ogni domenica, infatti, accadeva qualcosa di terribile e sconvolgente. Sulla scia del celeberrimo programma radiofonico americano La guerra dei mondi, in cui Orson Welles, nel 1938, aveva terrorizzato milioni di persone preoccupate realmente per l’invasione aliena, anche noi offrivamo ai nostri ascoltatori clamorose notizie false come, ad esempio, il crollo improvviso della Torre di Pisa, la decisione di asfaltare tutti i canali di Venezia, la revoca dello scudetto appena vinto dalla Roma e il miliardario americano che aveva appena iniziato a lanciare migliaia e migliaia di dollari dalle guglie del Duomo di Milano. Giuliani, celebre doppiatore, era bravissimo e in grado di recitare in svariati dialetti e addirittura di intervistare sé stesso cambiando continuamente voce e tonalità. In pratica avevamo un attore solo ma sembravano invece venti, qualcosa di portentoso! Le nostre false notizie sembravano vere. Non creammo il panico come Orson Welles ma arrivarono comunque decine e decine di telefonate agli studi Rai da parte di cittadini allarmati.
Ho lavorato per tanti anni alla radio, alternando quell’impegno con l’altro di scrittura di testi per la televisione e per il cinema. Sono stati anni bellissimi e pieni di soddisfazioni. Via Asiago, la sede radiofonica che si trova a due passi da viale Mazzini, era diventata un po' la mia seconda casa. Ero buon amico di tutti, dal portiere al barista, dalla cameriera della mensa al tecnico del suono. L’ambiente era semplice e, nello stesso tempo, estremamente professionale e un giorno, tra i miei collaboratori, ebbi anche una certa Maria Luisa Boncompagni, una giovane e bella signora esperta di musica classica. Facendo due conti mi accorsi però che le date non tornavano. Ma no, non poteva essere lei, assolutamente no, la stessa annunciatrice che nel 1924 aveva aperto le danze annunciando la prima radiotrasmissione da quel piccolo appartamento vicino a piazza del Popolo! Oppure no. Forse era proprio lei e aveva fatto un patto segreto con il diavolo per restare giovane, ripetendo le gesta di Dorian Gray? Mah, chissà.