George Andrew Romero, il regista di Night of the Living Dead, a lungo considerato un onesto artigiano di B-movie, prima di morire il 15 luglio 2017 a 77 anni a Toronto, ha fatto in tempo a vedersi riconosciuto il merito che ha avuto. In effetti, con quel suo primo lungometraggio, ispirato al romanzo di Richard Matheson “I am legend”, ha dato una lezione di “stile” a molti. Il film è realizzato a Pittsburg, con un budget che fa sorridere: 114mila dollari; ne incassa più di trenta milioni, e diventa un “culto”. Fa “storia” e trasforma i film di zombie e horror in un genere cinematografico. È il 1968, e molti ne danno una “lettura” politica: una critica al capitalismo, alla guerra in Vietnam; ma c’è chi vede negli zombie una metafora dei sovietici, al pari dei “baccelli” di “Invasion of theBody Snatchers” di Don Siegel (che pero’ è di dodici anni prima).
Come sia, la storia racconta di Ben (interpretato da Duane Jones) e Barbra Huss (Judith O’Dea); i due, insieme ad altre altre cinque persone, sono intrappolati in una casa colonica vicino a un cimitero della Pennsylvania che pullula di “morti viventi”. E’ Ben che assume la leadership del gruppo, e guida la “resistenza”. Molti anni dopo, Romero rievoca l’atmosfera di quei giorni: “Non avevo pensato di fare un film sugli zombie. Volevo semplicemente mostrare che sebbene fuori succedesse qualcosa di straordinario, le persone rimangono attaccate alle loro beghe e alle loro meschinità e non si accorgono di cosa stia accadendo al di là del loro contesto”.
E la scelta di Duane Jones? Casuale, figlia di quell’anarchia produttiva che domina il film. Romero lo definisce “il miglior amico attore disponibile per quella parte”. E bisogna allora dire che il caso fa bene le cose: “Stavo portando la prima copia stampata del film a New York. Ero in macchina e alla radio annunciarono l’omicidio di Martin Luther King. Immediatamente pensai che il mio primo film sarebbe diventato un film totalmente politico”. Già: perché Ben-Jones è un attore di colore. Romero assicura che il ruolo glielo ha affidato per le sue qualità di attore, non perché di pelle nera; e l’avergli affidato il ruolo di protagonista non aveva alcun particolare significato. Sicuramente è come Romero racconta. Sta di fatto che per la prima volta nella cinematografia americana un uomo di colore interpreta il ruolo dell’eroe.
È vero: un anno prima c’è stato Guess Who’s Coming to Dinner di Stanley Kramer, con Spencer Tracy, Sidney Poitier, Katharine Hepburn e Katharine Houghton: commedia brillante, che con il sorriso affronta una questione per quei tempi “scandalosa”. Ma il protagonista de Night of the Living Dead non è come John Prentice, il “nero” buono, educato, tutto sommato quasi bianco. No, il Ben interpretato da Jones è paragonabile a quelli fino a quel momento interpretati da un John Wayne, un Gary Cooper, un James Stewart. Due anni prima, nel 1966, sempre Poitier, aveva interpretato il ruolo di Toller, commerciante di cavalli afro-americano, in un B-western di Ralph Nelson, Duel at Diablo, ma una parte secondaria, che in quel film l’eroe che alla fine fa innamorare Bibi Andersson opportunamente fatta diventare vedova, è James Gardner.
Nella storia delle rivendicazioni civili e sociali dei neri d’America, come tappe fondamentali, si citano lo storico: “Resto seduta qui” di Rosa Parks, il 1 dicembre 1955 a Montgomery; lo storico “I have a dream” di Martin Luther King, del 28 agosto del 1963 davanti al Lincoln Memorial di Washington; le tre marce da Selma a Montgomery del 1965; il tenente Uhura interpretato da Nichelle Nichols, nella serie televisiva Star Trek, il primo personaggio di colore rappresentato nella televisione americana con poteri di comando, all’interno di un cast multirazziale.
Qualcuno non mancherà di osservare che è arbitrario e “forzato” mescolare la Parks, le marce e i discorsi di Martin Luther King, a film e telefilm; invece no: perché attraverso quei mezzi espressivi, anche, si è contribuito fortemente a un mutamento di sguardo della realtà esistente che ci circonda. Non va dimenticato che è stato lo stesso King a convincere la Nichols a non abbandonare il set di “Star Trek”, perché riteneva importante e necessario il “messaggio” della sua sola presenza in quella serie televisiva. Dunque, diamo a Duane Jones (e a Romero) i meriti che hanno. Anche loro, consapevoli o no che siano stati, hanno giocato un ruolo.