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August 8, 2013
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August 8, 2013
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Il CBGB non è (ancora) morto

Marco PontonibyMarco Pontoni
I gabinetti del CBGB ricostruiti al Metropolitan

I gabinetti del CBGB ricostruiti al Metropolitan

Time: 4 mins read

 

Il cinema rilancia il CBGB, uno dei luoghi di New York che hanno fatto la storia del rock. In questo buco al 315 di Bowery, nel 1973, passò il meglio del punk e della new wave americane, con gente del calibro di Patti Smith, Ramones, Richard Hell, Blondie, Talking Heads (e l’affettuosa presenza dietro le quinte di Lou Reed, John Cale e altri antesignani). Almeno una generazione di europei, forse più di una, ha sognato di farci un salto, pur non sapendo bene cosa immaginarsi. Il film di Randall Miller, di cui è stato diffuso il trailer in questi giorni, comincia a svelare, anche se tardivamente, l’aspetto e le atmosfere di un locale-simbolo.

Al CBGB è dedicata non a caso anche una sezione della mostra di Andrew Bolton visitabile al secondo piano del Metropolitan Museum of art della Grande Mela, Punk: chaos to couture, inaugurata a maggio e centrata sull’influenza che il punk ha avuto sulla moda. Beh, per essere precisi, più che una sezione la mostra riserva al Cbgb una stanza in cui è stato ricostruita…la sua toilette. Una toilette mica come le altre, s’intende, tant’è che il trailer del film di Miller si chiude così: “50.000 band e un bagno disgustoso". I visitatori occasionali di New York penseranno che in fondo non c’è niente di strano, visto che nella metropoli i gabinetti pubblici – dei locali così come dei tanti parchi cittadini – sono spesso tutt’altro che immacolati. Certo è però che fa una certa impressione ritrovare al Metropolitan, ad uno sputo (è proprio il caso di dirlo) dalle statue greco-romane, dai Van Gogh e dai Renoir, questo stanzone coperto di graffiti, con tanto di orinatoi a muro.

Tutto ciò è però anche molto in linea con il punk, un movimento che fece della provocazione – non solo musicale – il suo punto di forza. Sono passati oltre 35 anni da quei fasti: molti dei protagonisti della stagione sono invecchiati o si sono ritirati dalla scena. Qualcuno è anche morto, come Hilly Kristal, il proprietario del Cbgb, stroncato da un tumore nel 2007, un anno dopo la chiusura del suo locale, celebrata con un concerto collettivo e un’elegia particolarmente toccante di Patti Smith, dedicata proprio agli scomparsi. Tuttavia, malgrado il passare del tempo, e il mutare delle mode, il punk continua a ispirare. La mostra di Bolton, dedicata alle creazioni delle varie Vivienne Westwood, Miuccia Prada e così via, restituisce solo molto parzialmente lo spirito dell’epoca, anche se fa piacere sentire echeggiare nelle auguste sale del Metropolitan di New York le note di un inno come Blank generation. In verità, ciò che forse ha dato tanta forza al movimento è stata proprio la sua filosofia di fondo, che potremmo riassumere così: non sai fare? Allora fallo. Con quello spirito tanti non-musicisti, che riuscivano a strappare a fatica tre accordi dal manico di una chitarra, salirono su palcoscenici come quello del piccolo Cbgb-Omfug. A volte iniziando da lì una carriera fulminante. Il do it yourself, certo. Ma con in più una carica sovversiva, anarchica, che per una breve stagione avvicinò il punk al dada e alle altre avanguardie storiche, facendo sognare un’arte (?) non completamente asservita al mercato e al mainstream.

Mentre aspettate l’uscita del film – negli Usa prevista per i primi di ottobre, in Europa chissà, speriamo di vederlo in qualche cineforum – potreste fare un salto sulla Bowery, ma attenzione: al 315, oggi, c’è un costoso negozio di abbigliamento e accessori dello stilista John Varvatos che, con una scelta che ha un che di ruffiano, conserva qualche simulacro del vecchio locale costretto a chiudere a seguito di una controversia sull'affitto. In linea con l'immagine rock 'n' roll dello stilista, il negozio è decorato con cimeli rock e su una parete conserva alcune locandine del CBGB, ma non riesce a nascondere la drammatica trasformazione della Bowery da via simbolo del radicalismo underground newyorchese a ultima frontiera del lusso radical chic. Qualche metro più in là, un ristorante si fregia del nome Dbgb (the French brasserie meets the American tavern). Meglio forse attendere il festival che, sempre in ottobre (dal 9 al 13), ricorderà i 40 anni dall’apertura del locale, con musica, film e conferenze sparse fra Manhattan e Brooklyn (la “casa-base” sarà al Landmark Sunshine Theater). Si tratta della seconda edizione: la prima si è tenuta nel luglio 2012. 

Se il più fortunato degli slogan del punk è stato no future (lo coniarono i Sex Pistols sull’altra sponda dell’oceano), in questo caso possiamo dire che un po’ di futuro, anche se in forma residuale e forse un tantino annacquata, è infine arrivato.

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Marco Pontoni

Marco Pontoni

Sono nato in Sudtirolo 50 anni fa, terra di confine, un po' italiana e un po' tedesca. Faccio il giornalista e ho sempre avuto un feeling per la narrazione. Ho realizzato video e reportages sulla cooperazione allo sviluppo in varie parti del mondo. Finalista al Premio Calvino, ho pubblicato il romanzo Music Box e, con lo pesudonimo di Henry J. Ginsberg, la raccolta di racconti Vengo via con te, tradotta negli USA dalla Lighthouse di NYC con il titolo Run Away With Me. Ho da sempre una sconfinata passione per gli autori americani, Lou Reed, l'Africa, la fotografia, i viaggi e camminare.

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