Si apprende che dalle fertili menti dei consiglieri di Silvio Berlusconi sta prendendo corpo l’ipotesi di una raccolta di firme per un progetto di legge di iniziativa popolare per l’amnistia. L’idea nasce all’indomani della condanna da parte della Corte di Cassazione, ma i promotori assicurano e garantiscono che non è ad personam: non riguarda specificatamente Berlusconi, ma tutti coloro che per una ragione o per l’altra sono costretti a vivere all’interno delle carceri italiane. Va bene, facciamo finta di crederci. Però è curioso. Vogliono riformare la giustizia, sono preoccupati per quello che accade; e cosa fanno? Si danno appuntamento a settembre, per raccogliere 50mila firme per un testo che comunque per essere legge deve essere discusso e approvato dal Parlamento: in quel Parlamento dove i rapporti di forza sono quelli che sono. Chi, per esempio va a convincere la Lega, il Movimento 5 Stelle e buona parte del PD a votare l’amnistia, che – detto per inciso, richiede una maggioranza qualificata? Potrebbero, a questo punto, più utilmente raccogliere le firme da subito per i dodici referendum radicali, sei dei quali sulla giustizia; referendum che, come abbiamo cercato di spiegare una settimana fa, non comportano vantaggi diretti per Berlusconi, ma affrontano (e in parte potrebbero risolvere) questioni importanti della giustizia, in cui ci si dibatte da anni senza costrutto.
Invece no. Berlusconi promette di raccogliere le firme con i suoi gazebo, ma ancora non se ne è visto uno. Non li ha neppure ancora firmati, e non ne ha parlato né nel suo comizio televisivo subito dopo la sentenza di condanna, né in quello sotto palazzo Grazioli la domenica successiva. Ha parlato di tutto, meno dei referendum. Il sospetto è che tutto questo finimondo a parole e questo minacciato sfracello, serva per occultare una politica che fa pensare ai ladri di Pisa, che litigano di giorno, per spartirsi meglio il bottino la notte.
Riferiscono le gole profonde di palazzo Grazioli che in queste ore Berlusconi è preda di sentimenti altalenanti: da una parte la sentenza della Cassazione di venerdì scorso lo ha colpito nel morale, e il timore di vedersi limitata anche solo in parte la libertà personale gli ha mutato la visione della vita. Dall’altra la volontà di “resistere, resistere, resistere”, e al di là delle boutade ad uso comiziesco, per dare soddisfazione all’ala più “dura” del suo popolo, cercare possibili scappatoie alla situazione che si è creata. Non deve ingannare la promessa battagliera: «Io sono qui, resto qui. Io non mollo!». Perché a dirlo è un uomo ferito che accorato, alla fine non trattiene un urlo: «Io sono innocente!». Recita di consumato attore-venditore? Chissà. Se recita è, contraddice le regole dettate a suo tempo dallo stesso Cavaliere: mostrarsi sempre sorridenti, ottimisti; e mai parlare di argomenti tristi, come la morte. No, in questo comizio a piazza Grazioli, Berlusconi non ci ha neppure provato a raccontare una delle sue “solite” barzellette, e quel “gli anni che mi restano da vivere”, che tradisce tutto il dolore e l’angoscia di cui è preda il signore di Arcore, come può sfuggire, è l’ammissione per la prima volta della “limitatezza” con cui anche il Cavaliere deve fare i conti?
No, non è l’astuto vittimismo in cui Berlusconi eccelle, e mille volte sfoderato, quello che si vede in queste ore. Il viso stirato dai troppi lifting e appesantito da una grottesca maschera di cerone non sono riusciti a nascondere l’espressione stanca, la delusione è tutta nello sguardo spento e smarrito: di chi deve prendere atto che anche un mago del diritto come Franco Coppi non lo ha salvato; e chissà, magari davvero aveva creduto che partecipando al governo di larghe intese avrebbe avuto in mano un salvacondotto. E invece no: Enrico Letta, al pari del generale Kutuzov di “Guerra e Pace”, lascia avanzare Napoleone nelle immense steppe, lo fa arrivare fino a Mosca, e intanto gli fa, letteralmente terra bruciata intorno, gli toglie le vie di rifornimento, lo isola e arretrando, lo logora e vince. Berlusconi così ha dovuto patire l’umiliazione di vedersi ritirato perfino il passaporto: se lo sono venuti a prendere i carabinieri mandati dal Tribunale di Milano. C’è chi, come Daniela Santanché, mostra incrollabile fiducia, e invita a non considerare morto il Cavaliere, che altre volte, “dato per spacciato, ha mostrato di avere sorprendenti risorse e una vitalità che si esprime al meglio proprio nei momenti di maggiore difficoltà”. Vero, ma c’è sempre una prima volta.
Ai fedelissimi, facendo il punto della situazione, Berlusconi non nasconde il suo pessimismo: “Andiamo avanti con questo governo, ma non so fino a quando, io posso reggere fino a metà ottobre, ma se scattano i domiciliari non so più…”.
Ottobre: per il governo Letta, dunque, gli esami sono rinviati all’autunno. Berlusconi utilizzerà questo tempo da una parte per condurre la “trattativa” e cercare di ricavarne il possibile: “Solo quando si capirà come andrà a finire si tireranno le conclusioni sul governo: se non verrà data agibilità politica al nostro leader” si spiega a palazzo Grazioli, “tutto può succedere”. Inoltre il Cavaliere ha necessità di tempo per trasformare l’obsoleto Partito della Libertà in una nuova Forza Italia. Dunque, tutto rinviato all’autunno, e forse anche dopo. “Entro la prossima primavera si vota”,dice Berlusconi, “se si vota prima è perché stacca la spina il Partito Democratico, che ormai non regge”.
La parola d’ordine è: “Mobilitazione e non rottura”. Il Cavaliere cercherà di condizionare il Governo e la sua azione, e proverà a intestarsi alcuni provvedimenti come l’auspicata modifica dell’IMU e l’attenuazione della pressione fiscale; infine, accettare l’ineleggibilità, e far scendere in campo la figlia Marina.
Così, mentre un po’ tutti ballano, la nave Italia continua a imbarcare acqua…
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