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Stati Generali della lingua italiana: la bellezza dell’italiano attira sempre di più

La conferenza di Roma e l'incontro con il presidente Mattarella. Il ministro Moavero Milanesi: "lingua associata alla bellezza che si studia per passione"

Niccolò d'AquinobyNiccolò d'Aquino
Time: 9 mins read

È un peccato che la terza edizione degli Stati Generali della Lingua italiana nel mondo sia stata concentrata in un solo giorno di lavori, rispetto a quanto avvenuto nelle precedenti edizioni. Perché nelle due serratissime sessioni, del mattino e del pomeriggio – svoltesi lunedì 22 nella splendida ma, per la verità un poco scomoda Villa Madama sulle verdi pendici del romano Monte Mario – le notizie che sono state diffuse, le idee che sono emerse avrebbero meritato maggiore spazio e più tempo di riflessione. Comunque, la buona notizia è la conferma dell’aumento delle persone che, in giro per il mondo, decidono di frequentare un corso di italiano all’estero: sono cresciute del 4 per cento rispetto all’ultima rilevazione.

Un dato molto soddisfacente soprattutto se si considera che – come ha sottolineato in apertura Vincenzo De Luca, capo della Direzione generale per la promozione del Sistema Paese della Farnesina e “regista” della giornata – si è deciso di migliorare la metodologia scientifica dei rilevamenti: per cui, ad esempio, la Dante Alighieri – tra i principali attori dello studio e divulgazione della lingua italiana – ha volutamente scorporato docenti e studenti dalle proprie schede. Il che ha, sì, fatto diminuire il numero finale degli studenti rispetto agli anni passati ma ha dato un quadro più certo della situazione anche per i futuri rilevamenti.

L’intervento del ministro degli Esteri Moavero Milanesi

Una situazione, come ha sottolineato in apertura il ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi, davvero positiva. Se la lingua italiana è scesa, in termini di persone che la parlano nel mondo, dal 18esimo al 21esimo posto, è però saldamente al quarto posto tra le lingue più studiate al mondo dopo inglese, spagnolo e cinese. E conferma di avere scavalcato il francese, un tempo “lingua seconda” per eccellenza e lingua della diplomazia internazionale e degli scambi culturali.

La lettura dei dati scorporati è forse persino più interessante della cifra generale. Perché, l’aumento dell’interesse per l’italiano è soprattutto evidente in quelle regioni che Moavero ha giustamente definito “strategiche per la nostra politica estera”. Nel Mediterraneo e in Medio Oriente, per esempio l’affollamento nelle aule dove si insegna l’italiano è esploso (+22 per cento), seguito da quanto sta avvenendo nell’Africa Sub-sahariana (+14 per cento). Ma le cifre sono incoraggianti un po’ ovunque: in Francia (+ 14, 29), in Germania (+8,22), negli Stati Uniti (+8,73). Complessivamente, nell’ultimo anno accademico censito – il 2016-17 – sono stati oltre 2,1 milioni gli studenti divisi tra 115 Paesi.

«Noi viviamo una rivoluzione tecnologica unica e in questo panorama dobbiamo preservare, mettere in rete, collegare l’utilizzo della nostra lingua, in maniera da renderla presente in modo strutturato, organizzato, sistemico», ha sostenuto Moavero. Questione delicata perché se gli italiani hanno un punto debole questo è sicuramente nella difficoltà a fare sistema, a unire gli sforzi, a scardinare il pervicace DNA dell’individualismo. Ancora Moavero: «Non basta essere conosciuti spontaneamente: per essere competitivi ed efficaci dobbiamo essere collegati ed esserlo in modo sistemico». Per quanto riguarda la lingua e il potenziamento del suo studio nel mondo, «questo significa collegare i nostri docenti e le comunità di italiani all’estero». Qui il ministro ha strappato l’applauso più convinto della platea fatta in maggioranza di docenti quando, spiegando che «dobbiamo sfruttare il potenziale della rete» ha precisato che nel progetto «rientra anche la rete delle scuole italiane all’estero, troppo spesso trascurate e invece veicolo importantissimo per il Paese» e ha promesso:  «Il mio impegno come ministro degli Esteri sarà quello di trovare le risorse finanziarie per rilanciare la rete delle scuole italiane».

La rete è stata il motivo portante di questa edizione. Quella che ruota attorno alla lingua è una importante “rete di italicità” come ha sintetizzato in chiusura il sottosegretario agli Esteri Guglielmo Picchi: «Può contare nel mondo su un bacino di oltre 300 milioni di persone». L’impegno è «raggiungerli e coinvolgerli».

Ma come fare? Usando proprio la rete, ha spiegato Piero Bassetti il presidente del think tank Globus et Locus che della “italicità” è da anni l’indiscusso scopritore e promulgatore. Idea ripresa da Andrea Riccardi, presidente della Dante Alighieri, per il quale il collante di questo network può essere riassunto con un termine indubbiamente accattivante: Italsimpatia. Il concetto di rete, insomma, inizia a farsi largo: l’italiano nella rete e nei social media e le reti dell’italiano nel mondo, sono stati i temi delle due sessioni in cui è stata divisa la giornata.

Ma come si sviluppa la rete? Puntando, ad esempio, sulla bellezza. Perché come ha detto ancora Moavero Milanesi, è indubbio che l’italiano sia «una lingua associata alla bellezza» che si studia non tanto per necessità quanto per passione e per amore, appunto del bello. Concetto ripreso un po’ da tutti gli altri oratori: dal sottosegretario del ministero dell’Istruzione Salvatore Giuliano, al presidente dell’Accademia della Crusca Claudio Marazzini, dall’ambasciatore della Confederazione Elvetica in Italia Giancarlo Kessler (il Ticino è territorio importante di italicità e non a caso il governo di Berna collabora con quello di Roma proprio sulla questione della lingua), al presidente della Rai Marcello Foa.

L’intervento di quest’ultimo, atteso a una delle sue prime uscita dopo la recentissima nomina avvenuta tra mille polemiche, merita un discorso a parte. Non tanto per le ovvie sottolineature della importanza della lingua italiana («È il nostro biglietto da visita di cui rimanere fieri pur diventando cittadini del mondo») ma per la visione che il neo presidente ha dimostrato di avere in merito al ruolo dell’ente radiotelevisivo nel mondo. «Un ruolo importante come servizio pubblico, parimenti a quello del Ministero degli affari esteri e della Cooperazione e alle scuole». L’impegno della Rai prende forma all’estero attraverso lo strumento di Rai Italia, su cui Foa ha speso buona parte del suo intervento sottolineando che, dalle sue prime impressioni, ne sta avendo «un riscontro sempre positivo». Però «serve anche una apertura verso il mondo». Da qui l’annuncio della volontà di realizzare quel canale in lingua inglese di cui da tempo si parla. «Non è in contraddizione con la difesa della nostra lingua: si raggiungerebbe un bacino ancora più ampio moltiplicando così il “rapporto di fascinazione” della cultura italiana».

Sì, peccato davvero che si sia deciso di limitare a un solo giorno i lavori di questi Stati Generali inventati e voluti dall’ex sottosegretario agli Esteri Mario Giro, che ha fatto una rapida e applaudita apparizione in sala. Peccato perché, per citare ancora il presidente della Rai, Foa, «la bellezza italiana è unica al mondo e il mondo lo sa bene. Nostro compito è ricordarlo a tutti ogni giorno».


Il giorno dopo, martedì, è avvenuto al Quirinale l’ incontro tra il Presidente Sergio Mattarella e i partecipanti agli “Stati Generali della Lingua Italiana nel mondo”, sul tema “L’italiano e la rete, le reti per l’Italiano”. Qui sotto l’intervento del Presidente della Repubblica:

Sotto il testo dell’intervento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella:

Desidero rivolgere un saluto molto cordiale al Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, Prof. Enzo Moavero Milanesi e al Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, dott. Marco Bussetti.

Al Nunzio Apostolico, all’Ambasciatore della Confederazione Elvetica in Italia, al sen. Filippo Lombardi, presidente della Commissione politica estera del Consiglio degli Stati della Confederazione, ai Presidenti degli enti che hanno collaborato nella realizzazione della terza edizione degli Stati Generali della Lingua italiana nel mondo e a tutti voi che vi avete partecipato dò il più caloroso benvenuto.

Le prime due edizioni degli Stati Generali, nel 2014 e nel 2016, hanno nuovamente posto l’accento sulle attività di promozione della lingua italiana all’estero, dando impulso ad uno sforzo corale diretto al rinnovamento e alla modernizzazione degli strumenti e dei metodi didattici.

La terza edizione, quest’anno, conferma la volontà di proseguire questo cammino.

Lo dimostra il tema, “L’italiano e la rete, le reti per l’italiano”, posto al centro della vostra riflessione di questi giorni, come anche della XVIII Settimana della Lingua italiana nel mondo che si è appena conclusa.

Desidero ringraziarvi di quest’analisi – davvero molto opportuna – del legame tra la nostra tradizione linguistica e i nuovi mezzi di comunicazione, perché grazie a questo lavoro, senza sminuire il valore dei percorsi promozionali già sperimentati, si aprono nuovi orizzonti per la diffusione dell’italiano nel mondo e per la valorizzazione – anche in rete – dell’eredità   artistica e culturale di questa civiltà.

Questo processo apre ovviamente l’italiano a influenze e continui mutamenti. Le relazioni tra i linguaggi espongono a reciproche contaminazioni.

E’ un fenomeno naturale e comune a tutte le lingue, che non deve impaurire, così come non desta preoccupazione a nessuno, nel mondo, la popolarità raggiunta dall’espressione di saluto “ciao”, senza che possa essere considerata veicolo di pretesa egemonia linguistica.

Istituzioni e centri di studio accompagnano l’evoluzione della nostra lingua senza che ne venga snaturata l’essenza né indebolite le fondamenta.

Del resto, il “vissuto” della nostra lingua – le più comuni esperienze sono quella italiana e quella ticinese – vede declinazioni proprie.

Valorizzare la propria cultura, di cui la lingua è espressione, non è un esercizio statico e conservativo.

Non si tratta soltanto di tutelare una ricchezza incastonata nella storia, ma di far vivere un patrimonio vivo, pratico, multiforme, con articolazioni che spaziano dai registri più “alti” agli usi più quotidiani e comuni.

La sfida, oggi, è, esattamente, come far fiorire la nostra lingua e cultura al tempo della mobilità, in cui, cioè, accanto alle comunità territoriali, sorgono comunità globali, talvolta solo virtuali, legate da linguaggi peculiari.

Le reti dell’italiano nel mondo vanno dunque certamente al di là di accezioni consuete e includono italiani, italofoni e italofili: quella grande comunità di “italici” ai quali Piero Bassetti, non da oggi, chiede di rivolgere i nostri sforzi e la nostra attenzione.

I temi non sono né abusati né mediocri.

A chi appartengono lingua e cultura italiane?

Per definizione ogni cultura ha natura e vocazione universale. Dunque non ha confini. La civiltà italica ha influenzato ed è alla base di civilizzazioni numerose.

Linguaggi come quelli della musica e delle arti figurative sono strettamente intrecciate al portato umanistico espresso, in lingua italiana, dalla letteratura.

La lingua è, per eccellenza, un “veicolo”.

L’espressione lingue “veicolari”, di uso comune, appare fuorviante.

Ciascuna lingua è veicolare: di rapporti sociali, di arte, di diplomazia, di affari, di identità.

La intensità di rapporti raggiunta ormai a livello internazionale suscita, per quanto riguarda la civiltà italica, un crescente interesse.

Vi è, in misura particolare, una vera e propria “fame” di Italia.

A questo occorre saper corrispondere con efficacia e senso del presente.

Non partiamo dal nulla: le comunità di origine italiana all’estero sono i primi, naturali, “moltiplicatori di italianità”, antenne capaci di ritrasmettere sia il forte carattere della tradizione, sia il Paese di oggi con la sua cultura, con il suo modo di vivere, di produrre e di lavorare, con la sua capacità di innovazione.

Un altro moltiplicatore, capace di rilanciare importanti rapporti con Paesi lontani è rappresentato dalla domanda di conoscenza dell’italiano che proviene dalle comunità estere presenti sul territorio nazionale.

Per coloro che sono giunti in Italia di recente, la lingua rappresenta il primo strumento nel cammino di integrazione.

Importante e prezioso è il ruolo svolto in questo campo dagli enti locali, dalle numerose associazioni della società civile e da tutte le istituzioni pubbliche e private coinvolte nell’insegnamento dell’italiano.

A conferma delle intuizioni sviluppate, e del lavoro svolto lodevolmente sin qui dalla pluralità di sforzi pubblici e privati, emerge poi la platea eccezionale di oltre due milioni e centomila persone in tutto il mondo, che, ogni anno, scelgono di studiare la nostra lingua perché “sanno” che si parla di italiano e in italiano nella musica, nel cinema, nell’arte, nel mondo letterario, nella vita di molte imprese, come anche nella moda, nello sport, nella cucina e in tanti altri campi.

Ognuno di questi settori funge da fonte di ispirazione e avvicina potenziali amici alle molteplici espressioni della nostra civiltà.

Una realtà che conferma, pur nella consapevolezza della diffusione territorialmente limitata di popolazioni di lingua madre italiana, come l’idioma di Dante, di Leonardo, di Marconi e Fermi, di Toscanini e di Fellini, di Alberto Giacometti, si propone all’estero come espressione veicolare di un patrimonio culturale a vocazione globale.

Senza dimenticare, peraltro, che lo studio della lingua italiana all’estero è una precondizione per attrarre talenti che contribuiscano a far crescere le competenze e le capacità del nostro Sistema Paese nel suo complesso.

Spesso, in occasione di incontri con altri Capi di Stato, raccolgo sollecitazioni, in particolare, per l’accesso alle nostre università, anche per corsi di perfezionamento, di studenti dei loro Paesi, sentendomi ricordare la crescita, nei loro sistemi di istruzione, di sezioni caratterizzate dall’apprendimento dell’italiano come lingua straniera.

Alcuni strumenti sono stati sperimentati con successo in questi anni – penso alla diffusione di contenuti multimediali, come ha ripreso a fare utilmente RaiItalia, alla cui trasmissione “L’Italia con voi”, ho voluto recentemente inviare un saluto ed esprimere un apprezzamento-; penso alla stampa e all’editoria in lingua italiana all’estero, per la quale è indispensabile il sostegno pubblico; penso alle traduzioni, alla produzione di contenuti audiovisivi, in cui può utilmente giocare un ruolo la Comunità Radiotelevisiva Italofona.

Serve, ora, uno scatto in più che veda una presenza in rete dell’italiano più capillare, attraente e innovativa.

L’impegno per sostenere la cultura italiana, per rafforzarne la diffusione attraverso l’insegnamento della lingua non può prescindere da una ancor maggiore sinergia tra tutti gli enti e i soggetti attivi in questo settore, siano essi pubblici o privati, nazionali o esteri.

Vorrei ringraziarvi, quindi, non solo per l’intensa attività di promozione dell’italiano ma anche per lo sforzo che avete profuso in questi giorni per affinare strategie di diffusione e di condivisione di questo prezioso patrimonio.

Grazie e buon lavoro.

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Niccolò d'Aquino

Niccolò d'Aquino

Niccolò d’Aquino, giornalista, ha iniziato negli anni Settanta nella redazione milanese del Giornale Nuovo appena fondato da Indro Montanelli. È stato inviato di Radio Montecarlo,. Per 10 anni corrispondente da New York dell’Agenzia ANSA e del quotidiano svizzero Corriere del Ticino. Infine, per oltre venti anni, è stato inviato da Milano dei settimanali del gruppo Rizzoli-Corriere della Sera. Oggi dirige una rivista dell’Ordine di Malta in Italia. Tra i libri che ha scritto: "La tenda blu, in Etiopia con le armi della solidarietà" (Edizioni Paoline, 2012) , "La rete italica", idee per un Commonwealth (Edizioni IDE, Italic Digital Editions, 2014, seconda edizione ampliata 2017) sulle potenzialità globali del soft power culturale di matrice italiana.

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