Beatrice Scaccia, inizia la sua carriera da studentessa all’Accademia delle Belle Arti di Roma. Si forma con grandi maestri come Marotta, Cipriani, Gatt. Grazie a loro prende, sempre più consapevolezza che l’arte avrebbe fatto parte della sua vita. Non ricorda quando decise di diventare un’artista, ma ricorda benissimo che la prima volta a New York è stato un coup de foudre, di quelli che ti cambiano la vita e ti trascinano fino a portarti in una direzione che segue le emozioni. Non sono state le gallerie, numerosissime, gli spazi espositivi, ma quella grande storia umana che solo New York sa raccontare, a spingere Beatrice verso la Gotham City. Da Frosinone alla Grande Mela, dal sogno alla realtà. Tutto vissuto con gioco, scommessa, adrenalina e una voglia costante di reinventarsi. Arriva a New York nel 2011 e finisce per rimanerci. Proprio in quella città che nel 2007 l’aveva stregata. Sono anni di lavoro intensi, di emozioni, ma anche di delusioni. Poi arriva per lei un incontro da copione che le cambia la vita, la persona giusta al momento giusto, e Beatrice entra a far parte dello studio di Jeff Koons dopo un colloquio e neanche tanto attesa. Oggi, quella realtà fa parte della sua vita quotidiana insieme al suo lavoro di artista indipendente per le gallerie di New York e Milano.
Beatrice ha da poco finito la sua mostra personale Little Gloating Eve, alla Cuchifritos Gallery nel Lower East Side. È stata l’ultima tappa di un progetto nato lo scorso febbraio presso la Residency Unlimited della Grande Mela e poi continuato a Milano. Un lavoro intimo e personale, dove Beatrice espone la sua creatività, ma anche la sua coscienza onirica in una sorta di dialogo con Eve, personaggio che lei ha creato ed illustrato come alter-ego. Un lavoro dove è presente, ancora una volta, concettualmente e fisicamente il senso della ripetizione e dilatazione. Beatrice racconta a La VOCE del suo rapporto con l’arte, della sua vita a New York, di quanto questa città le appartenga. Lei però giura che non c’é nessuna favola da raccontare. Dietro ad ogni cosa c’è anche molta fatica.
Partiamo dalla tua mostra che si è appena conclusa. Come è andata e cosa ha colpito maggiormente il tuo pubblico?

Little Gloating Eve, Cuchifritos Gallery (Artists Alliance), NYC. Foto: Samantha Wrigglesworth.
La mostra appena conclusa alla Cuchifritos Gallery è andata bene e sono molto soddisfatta. Le persone sono colpite dal senso di intimità, di inquietudine e dalla fascinazione di sapere di essere di fronte a frammenti di una storia e un personaggio molto caratterizzato, ma inaccessibile. In molti mi hanno detto di essersi sentiti accolti e respinti allo stesso tempo. Ovviamente i livelli sono tanti e ognuno li percepisce diversamente.
La ripetizione e la dilatazione sono spesso presenti nelle tue realizzazioni. Perchè?
Mi affascinano perché possono dare l'illusione di una qualche immortalità. Tutto nel mio lavoro si muove al loop o è fermo alla narrazione di un attimo, di un semplice movimento, come girarsi, mangiare, alzare una gamba. Quello che mi interessa è creare uno spazio in cui il tempo sia sospeso e non trascorra, uno spazio "incantato" (incantato come un bosco e come un disco).
La tua storia sembra una favola metropolitana. Cose che accadono solo a New York City?
No, non è affatto una favola. È una storia faticosa, sempre in salita. Ci sono giorni allegri e giorni infernali. Però sì, in questa città forse succede più spesso.
Non sarà una favola, ma c'è un happy ending, se consideriamo che sei partita da zero e sei arrivata a Jeff Koons?
Vedremo. All'happy ending non penso mai forse perché evito di avere a che fare con la parola fine in genere, mi spaventa troppo.
L'arte a New York che forme di supporto economico e istituzionale ha rispetto all'Italia?

Schizzo preparatorio per il progetto Littlle Gloating Eve: matita e collage su carta.
Sono due mondi completamente diversi. Le differenze sono palpabili. Per essere sintetica, qui con l'arte contemporanea è stato creato un impero, ovviamente chiuso e con regole oscure ai più, ma comunque accattivante e seducente perché collegato ad un'idea di potere e successo. In Italia gli artisti sono considerati “carini”, pittoreschi, se fortunati ottengono un piccolo angolino in cui giocare. Da noi l'arte (quella dei vivi) non ha più potere da tempo. Non che sia d'accordo con l'approccio statunitense sia ben chiaro. Penso anche qui ci siano degli enormi problemi che non ho l'abilità di discutere.
Perché New York rimane sempre una tappa obbligata per gli artisti?
Rimane una tappa obbligata per gli artisti perché gli artisti continuano a venirci, da tutto il mondo. Ci si incontra, scontra con la speranza che succeda qualcosa. Una specie di uovo-gallina-cane che si morde la coda insomma.
Cosa ti lega a questa città?
Mi legano tante cose a questa città. Mi piace il cielo che cambia continuamente, il freddo e il vento che mi mettono in difficoltà, pedalare in giro per Astoria e Long Island City, la neve alta, Prospect Park, le persone sedute sui tavoli davanti al Flatiron; la bakery koreana sulla 32nd Street. Il cupcake cafe sulla 9th Avenue a Port Authority, mangiare dim sum camminando per Chinatown il sabato mattina, l'Essex Market, i flea market, i community garden, alcuni backyard pieni di statuette e oggetti strambi, i musei (in particolare il Met); mi piace vivere vicino al PS1, adoro l'Hudson e l'East River, l'High Line di mattina presto, i campi di baskeball e calcetto illuminati di notte, i miei cari diner aperti 24 ore, il Village Vanguard, l'Ear Inn, vedere film all'Angelika movie theater nel pomeriggio.
Dal 2011, la città per te ha sempre lo stesso fascino?
Devo dire che nell'ultimo anno ho iniziato a vedere New York in modo diverso. Mi ricordo che lessi da qualche parte che gli amori durano 3 anni. Pare che lo scombussolamento da ossitocina e dopamina abbia quella durata lì. Forse a me succede anche con le città? Non che voglia scappare via, sto bene e sono felice della mia scelta, ma sempre più spesso mi viene in mente una frase del film Una pura formalità: "Non bisognerebbe mai incontrare i propri miti. Visti da vicino ti accorgi che hanno i foruncoli".
Affermi che New York fa per te ma non Roma. Perchè?
Ad oggi, posso affermare ancora che Roma non fa per me. Per quanto riguarda New York, siamo in un momento di assestamento. Non ho una risposta.
Artisti che vanno e che vengono nella Grande Mela. Come fare per emergere?

Una delle opere esposte nella mostra Little Gloating Eve
Ancora non lo so! Penso il segreto sia non pensarci troppo. Io sono ambiziosa e non lo nascondo, ma mi interessa il mio lavoro. Non vado spessissimo agli opening, non sono molto mondana, ma cerco le persone che mi piacciono e trovo il modo di incontrarle. Vedo tanti artisti che passano ogni giovedì sera a Chelsea per le inaugurazioni, io non riuscirei mai. New York non aiuta a rilassarsi e concentrarsi, in particolare se si è continuamente alla ricerca di contatti e possibilità. Ci sono troppi artisti, ci si sente sopraffatti. La mia ricetta è immaginare cosa vorrei e cercare, poco per volta e senza smanie eccessive, di avvicinarmici. Mi interessa il percorso per raggiungere l'obiettivo e non penso, almeno e soprattutto in arte, che il fine giustifichi i mezzi.
Chi lascia New York, lo fa anche per i costi eccessivi. Pensi sia un fenomeno fisiologico legato ad una grande metropoli o questa è una città che sta cambiando?
New York sta cambiando da decenni. Non ho esperienze con altre metropoli, ma qui è difficile. Io vivo a Long Island City e assisto quotidianamente alla trasformazione. Luxury building compaiono come funghi. Il 5pointz è stato tinteggiato e ora è in fase di demolizione. Il tutto sempre per fare spazio a nuovi condomini di lusso. Anche di fronte la minuscola palazzina a due piani in cui vivo, una enorme luxury tower ha iniziato a turbarmi il sonno prima con il rumore ed ora con la sua ombra. New York si sta trasformando in una città in cui gli unici artisti in grado di sostare saranno quelli senza uno student loan da pagare e con le spalle protette. Ormai la figura dell'artista è completamente cambiata. Basti pensare a Bushwick, a quanto la speculazione sia stata veloce in quel quartiere abitato prevalentemente prima da immigrati e poi da artisti.
Ma l’arte invece, che vocazione segue?
Oddio di vocazione si tratta sempre meno. Si tratta tanto di soldi invece. Citando David Hickey “Money and celebrity has cast a shadow over the art world which is prohibiting ideas and debate from coming to the fore”. Penso che molti degli artisti vengano qui per “farcela”, ma solo in termini economici. I soldi servono e negarlo sarebbe ipocrita e banale, ma si dovrebbe lavorare andando al di là del mercato, in particolare come artisti. Vedo artisti annoiati a 25 anni. Sanno già cosa faranno. Posizionano la loro carrozza appena fabbricata subito dietro un'altra carrozza di lusso, più vissuta e procedono, senza neanche godersi il paesaggio, a volte.
Tu peró hai subito iniziato a lavorare in una realtà importante come quella dello studio di Jeff Koons. Come vivi questa esperienza?
Ho a che fare con colori e pennelli per 8 ore al giorno. Gli occhi sono più attenti, gli amici sono aumentati; è un posto con uno strano “humus”. Io da un anno e mezzo ho deciso di lavorare le sere e notti ed ho trovato il mio equilibrio. Ascolto libri mentre dipingo, non posso lamentarmi.
Hai detto che vieni “dal nulla perché la tua è una famiglia modesta, ingarbugliata, frantumata di Veroli, in provincia di Frosinone e che nessuno nella tua famiglia ha avuto mai nulla a che fare con l’arte”. Oggi loro saranno orgogliosi di te. Cosa hanno pensato quando hai mollato tutto e sei partita in America?
Mio padre non disse mai di approvare le mie scelte. Era un uomo di poche parole, ma sono sicura che sarebbe fiero di sapere che ho fatto i bagagli e sono partita. Mia madre mi ha sempre detto "la vita è tua e fai quello che vuoi". Quando sono partita ovviamente è stata dura, ma non ha fatto mai pesare il mio percorso insolito rispetto ad una famiglia abbastanza tradizionale.
La tua scelta di lasciare l'Italia è più legata alla crisi o all'esigenza di fare esperienze nuove?
Un po' a tutte e due le cose. Ad allontanarmi è stata la cantilena del lamentarsi (non dovuta alla crisi, ma alimentata dalla crisi); la sensazione che qualsiasi cosa pensassi dovesse scontrarsi contro il cinismo e la rassegnazione. Inoltre ho sempre il terrore di appartenere troppo ad una specifica, definita realtà e di perdere il mio sguardo. Preferisco cercare una distanza, ovviamente rimanendo pratica, e lo faccio anche qui, ecco perché non frequento troppi artisti. Si finisce sempre col parlare ognuno dei propri progetti, residency e mostre, mostrando muscoli o ferite a seconda del momento.
In che modo ti ha cambiato questa città?
New York fortifica. Difficile rispondere ad una domanda del genere senza cadere nei luoghi comuni. Tutti arrivano qui più o meno da soli e più o meno per un motivo. Hanno un obiettivo e questo fa la differenza, nel bene e nel male.
Cosa diresti al tuo paese, ai giovani, che sono rimasti in Italia?
Oddio non saprei… Qualsiasi consiglio sembrerebbe fasullo. Direi di fermare qualsiasi pattern di pensiero ci si senta obbligati a trascinare, di riflettere e capire cosa e dove si vuole essere "da grandi". Conosci la canzone Non insegnate ai bambini di Giorgio Gaber? Penso contenga consigli preziosi per tutti noi, italiani e meno. La “falsa coscienza” che lui nomina ci ha sempre fregato e continua a farlo.
Che impatto ha l’arte nella tua vita?
Penso che il mio lavoro sia personale e intimo, quindi sicuramente ha un grande impatto su di me. Ci penso continuamente, come se avessi un innamorato a distanza che posso vedere solo ogni tanto e che mi manca. Non vedo l'ora di abbracciarlo, ma poi anche quello è frustrante perché so che non succede quello che pensavo sarebbe successo e via di seguito
Se Beatrice oggi fosse in Italia dove sarebbe e cosa farebbe?
Probabilmente starei ancora insegnando, in modo più consistente perché mi piace farlo. I miei lavori però sarebbero diversi. Credo che Little Gloating Eve non sarebbe potuta nascere a Roma, non nello stesso modo almeno. Sarei stata comunque energetica, in movimento e lunatica perché quello non dipende dalle latitudini e longitudini. I luoghi, come le persone, ci influenzano in modo parziale. Ognuno è quello che è.
Ora che Little Gloating Eve, il tuo progetto, si è appena concluso. Dove andrà Beatrice e dove Eve?
I miei progetti per i prossimi mesi sono soprattutto di lavoro silenzioso. Una parte di me non vedeva l'ora di finire questa serie di residency e mostre. Ho già in mente dei lavori nuovi e non voglio deadline per qualche mese. Ho in progetto una simpatica edizione 3d sempre per la Cuchifritos Gallery che realizzerò con una mia amica, ma per il resto sento davvero il bisogno di riflettere e rallentare, anche solo per un po'. Voglio capire come rinforzarmi e sorprendermi senza bisogno di conferme. Quanto a Eve, ancora non so dove andrà, forse troverà compagnia o forse prenderà il volo. Non posso dirlo, è troppo presto.