Questa è una storia che sembra la sceneggiatura di un film, una avvincente, tragica crime story. Ma è una storia vera.
È la storia di un italiano, un ex-campione sportivo e un imprenditore, condannato negli Usa all’ergastolo, nel 2000, per omicidio. Se ne sono occupati in molti: giornalisti, personalità dello spettacolo, alcuni politici e magistrati, i tanti amici sparsi per il mondo – riuniti nel comitato Chance per Chico – e da ultimo le “leonesse”, donne che sostengono a spada tratta l’innocenza di Enrico “Chico” Forti, questo il nome del protagonista. Ma l'esito resta immutato: il condannato da 14 anni sconta la sua durissima pena in un carcere della Florida. Una vicenda apparentemente senza via d'uscita, dunque, che ad un certo punto, come vedremo, sembra intrecciarsi con un’altra e più nota storia criminale avvenuta sul suolo americano, l’omicidio dello stilista Gianni Versace.
La speranza residua del fronte "innocentista", allo stato attuale, è riposta in un principe del foro di New York, l’avvocato Joseph Tacopina, che recentemente si è detto intenzionato ad occuparsi del caso, dopo un’accurata analisi delle carte processuali. Anche per Tacopina, infatti, Forti è innocente e nel suo processo troppe cose non quadrano.
Le persone e i gruppi che sostengono l'innocenza di Forti sono molto attivi, anche sul web. La ricostruzione che proponiamo qui attinge in larga misura al materiale che essi hanno messo a disposizione, ma senza partigianeria. Vogliamo che ogni lettore de La VOCE di New York possa farsi la propria personale opinione e sentirsi stimolato ad approfondire la conoscenza di un caso che, comunque la si pensi, presenta ancora aspetti oscuri.
Alla ricerca di un posto al sole a Miami
Trentino di origine, classe 1959, acquario, persona intraprendente fino alla spavalderia, Enrico, “Chico” per gli amici, diventa nei primi anni ’80 uno dei pionieri del windsurf, disciplina che all’epoca muoveva i suoi primi passi. È bravo, partecipa a varie competizioni a livello mondiale, vince una Coppa America, introduce in questo sport anche alcune innovazioni. Grazie al suo carattere, e alla sua facilità nell’imparare le lingue, si fa molti amici, gli sponsor lo cercano (F2, Neil Pride), partecipa con grande successo persino al Telemike, trasmissione all’epoca popolarissima in Italia. Proprio questa ribalta televisiva (e il guadagno che gli frutta) costituisce il trampolino di lancio per la mossa successiva, il coronamento di un sogno a lungo accarezzato: trasferirsi negli Stati Uniti.

Williams Island a Miami
Negli Usa Chico mette a frutto un’altra passione, quella per la telecamera: comincia con il filmare ciò che conosce meglio, il windsurf, appunto, e vista la “fame” del pubblico per le trasmissioni di sport estremi, crea un ciclo di filmati di successo, Hang Loose. Chico ormai è arrivato: si separa dalla moglie italiana, sposa una ex-miss America, con cui ha tre figli, va a vivere a Miami, nel paradiso dorato di Williams Island, e inizia a diversificare i suoi affari, in particolare nel settore immobiliare. È proprio a Williams Island che conosce, fra gli altri, il tedesco Thomas Knott, suo vicino di casa, un ambiguo personaggio già condannato per bancarotta fraudolenta in Germania, istruttore di tennis, consumatore abituale di cocaina, il quale lo mette in contatto con Tony Pike, proprietario di un piccolo, esclusivo hotel di Ibiza, frequentato dal bel mondo, soprattutto della musica (George Michael, Freddy Mercury, Julio Iglesias ecc.), ma ormai in fase di declino.
Chico si interessa all’albergo, compie un sopralluogo a Ibiza, ospita Pike in un appartamento di sua proprietà a Williams Island. Alla fine decide di acquistarlo: per perfezionare l’accordo paga a Anthony Pike e al figlio Dale – che in precedenza ha già aiutato – il viaggio dall’Europa agli Usa. All’aeroporto di Miami, come peraltro preannunciato due giorni prima dal padre, il 15 febbraio 1998 arriva solo Dale, il quale peraltro non sembra avere nessuna procura o nessun ruolo relativamente alla compravendita dell'albergo: Chico comunque lo va a prendere e poi lo lascia nel parcheggio di un ristorante dove Dale dice di avere un appuntamento con degli "amici di Knott". Chico è in ritardo, deve correre ad un altro aeroporto, a Ford Lauderdale, per ricevere un altro ospite in arrivo, il suocero e i suoi due figli. L'accordo con Dale è che si rivedranno fra qualche giorno, quando anche il padre sarà arrivato in America. La trappola, se di trappola possiamo parlare, scatta qui: Dale Pike, infatti, viene ritrovato ucciso il giorno successivo sulla spiaggia di Sewer Beach. Attorno al corpo, nudo, una serie di indizi (carta di imbarco, carta telefonica) che riporterebbero a Chico, il quale nel frattempo è andato a New York per accogliere il padre di Dale, come da accordi.
L'accusa di omicidio
Appreso dell’omicidio, Chico torna subito a Miami e si mette a disposizione, come testimone, della polizia locale: in realtà è già un indagato. Nel giro di qualche giorno, scatta l'arresto. Da qui in poi la vicenda precipita, anche se non subito: Chico, accusato sia di truffa – Knott testimonia fra l'altro che avrebbe cercato di acquistare materiale video con le carte di credito di Pike – che del ben più grave reato di omicidio, riacquista infatti temporaneamente la libertà, su cauzione, e non tenta mai di lasciare gli Usa. L'istruttoria per il delitto Dale, molto lunga, fa il suo corso. Il processo dura 25 giorni e, complice un’accusa particolarmente aggressiva, e una difesa che fa acqua da tutte le parti, il 15 giugno 2000 Forti viene condannato come mandante dell’omicidio, non potendo essere provato che sia stato materialmente lui a premere il grilletto. La pena è l’ergastolo. Nessun altro complice viene individuato e/o incarcerato.
Per i sostenitori di Chico le prove – ad esempio tracce di sabbia che potrebbe provenire da Sewer Beach sull'auto di Forti – sembrano inesistenti, o falsificate; mancherebbe persino il movente, poiché, spiegano, Chico Forti non stava tentando di truffare Tony Pike, come sostenuto dall'accusa: semmai l’hotel di Ibiza non poteva essere venduto a Chico, perché a suo tempo già in parte ceduto ad una società offshore (per il fronte accusatorio, invece, Forti era al corrente di questo aspetto).
Tacopina, detto “il re della Corte”, intervistato in primavera dalla giornalista Manuela Moreno all'interno della trasmissione della Rai 2 italiana, Tg2 Insieme, condotta da Marzia Roncacci, è stato esplicito: “Forti è un innocente in prigione. Farò tutto quanto è nelle mie possibilità per correggere questa ingiustizia”.
Di una colpa Chico però si è certamente macchiato, agli occhi degli americani: messo in difficoltà, ha mentito, pur ritrattando subito la sua menzogna.
Le cose, sempre secondo le fonti della difesa, sono andate così: il 19 febbraio, nelle concitate fasi successive alla scoperta dell'omicidio Dale, la polizia tende a Chico una trappola. Gli dice che anche il padre di Dale, Tony, è stato ucciso, a New York; una notizia "calata" ad arte come un asso di briscola per mandare l'italiano, già profondamente scosso dalla morte di Dale, nel panico. Anthony Pike, in realtà, nel frattempo è arrivato in territorio americano ma viene tenuto dalla polizia in un luogo segreto. "Quando sono andato alla stazione di polizia – ha dichiarato Forti – la prima cosa che mi hanno detto è che avevano trovato il corpo, oltre al figlio avevano trovato il corpo di Tony Pike in una stanza d’albergo a New York, denudato, ucciso, e in quel momento mi sono sentito… perso, forse un misto di shock, paura, dubbio".
Ed ecco che Chico fa il passo falso: nega di avere prelevato Dale all'aeroporto di Miami. Tutto il castello accusatorio, alla fine, approderà qui: ad una bugia detta in una condizione di particolare difficoltà, e poi ritrattata il giorno dopo, la sera del 20, quando Forti – dopo essersi consultato con l'ex detective Gary Schiaffo, fino a pochi mesi prima a capo della polizia di Miami, che lo rassicura – ritorna dalla polizia portando con sé la documentazione attestante i suoi rapporti d’affari con i Pike. Forti è senza avvocato; nonostante ciò viene arrestato, e nel corso di un interrogatorio di 14 ore, ammette di aver incontrato Dale Pike nelle ore precedenti il suo omicidio, di averlo prelevato all'aeroporto ed accompagnato al parcheggio del ristorante Rusty Pelican a Virginia Key. Qui, dichiara, Dale sarebbe salito su una Lexus bianca.

Enrico “Chico” Forti
Ma perché Forti avrebbe voluto la morte di Dale? L’accusa continuerà a sostenere che Dale si opponeva alla vendita sottocosto dell'hotel da parte del padre, e che per questo sarebbe stato eliminato dall'italiano. Gli innocentisti, oltre a sottolineare il fatto che semmai Chico era la vittima della truffa, non l'artefice, rilevano invece che dalle email scambiate da Dale con la fidanzata nei giorni che precedettero il suo viaggio fino a Miami, risulta che l'uomo fosse ansioso di conoscere il compratore italiano, del quale gli era già giunta anche la fama di produttore cinematografico (pare volesse sottoporgli un progetto in questo campo).
Questi, dunque, i fatti: un delitto maturato nel mondo degli affari, un mondo cinico e spregiudicato, del quale si è trovato il colpevole. Sbatti il “cattivo” in cella, e la cosa si chiude. In quanto ai ricorsi – tra l'altro molto costosi, negli USA – le mozioni, gli appelli, non sono approdati a nulla o non sono stati ammessi.
L'ombra del delitto Versace
Perché, allora, la vicenda non è chiusa affatto? Oltre all’intima convinzione dei tanti amici, noti e meno noti, di Chico Forti, riguardo alla sua innocenza, oltre ai pareri di autorevoli giuristi come la criminologa Roberta Bruzzone, l’avvocato Tacopina, il giudice Ferdinando Imposimato, cosa c’è che ancora non quadra? E perché abbiamo detto che il caso Forti sembra intrecciarsi stranamente con l’omicidio Versace? C'è del "complottismo" in questo? Qualcuno sostiene di sì, e che toccare questo tasto non giova alla causa di Forti. Resta il fatto, però, che alcune coincidenze sono quantomeno strane e meritano di essere riferite.
Facciamo un passo indietro. Nel luglio 1997 lo stilista Gianni Versace, viene trovato ucciso con due colpi di pistola sparati a bruciapelo alla nuca sulla porta della sua villa, la Casa Casuarina in Ocean Drive a Miami. Le indagini si indirizzano verso Andrew Cunanan, un gigolò approdato a Miami dopo aver commesso 4 delitti. Cunanan si uccide in una house boat nel canale di Collins Avenue, dove si è nascosto. Questa almeno la versione ufficiale della polizia, che fa irruzione nella casa galleggiante a cose fatte. È qui che entra in scena Chico Forti, con la sua casa di produzione cinematografica. La sua idea è di realizzare un documentario su Cunanan. Il proprietario della house boat dove il killer si sarebbe ucciso, dopo alcuni passaggi di proprietà è in quel momento un altro tedesco, un certo Mathias Ruehl (in realtà forse un prestanome), legato a sua volta ad un connazionale che vive a Williams Island, Siegfried Axmann. Guarda caso, Thomas Knott conosce entrambi (e Chico conosce già Axmann). È questa circostanza, apparentemente "fortunata" per un filmmaker desideroso di realizzare uno scoop, che induce Chico ad acquistare i diritti, fino al 2000, sulla casa galleggiante, che è ancora in custodia della polizia di Miami. La polizia la dissequestra – il caso si è già risolto – e consegna a Forti le chiavi. L'affare sembra interessante anche perché, oltre a realizzare il documentario, Chico pensa di poter rivendere i diritti che ha acquisito alle reti televisive che vogliano filmare il luogo.
Una volta a bordo, però, da una serie di dettagli, ha l’impressione che le cose non quadrino. Si fa l’idea che la versione ufficiale, quella del suicidio di Cunanan sulla casa galleggiante, potrebbe essere falsa: che, ad esempio, forse Cunanan è stato ucciso altrove, e poi portato lì. Lo stesso Gary Schiaffo, che è ancora capo della squadra investigativa di Miami (ricordate? qualche mese dopo rassicurerà Chico sulla sua posizione, dopo il ritrovamento del cadavere di Dale), gli mette una pulce nell’orecchio, offrendogli la sua futura collaborazione, ovviamente non gratuita.
A questo punto Chico Forti mette assieme, con l'aiuto di Knott e di una TV francese, il documentario sulla morte di Versace, Il sorriso della Medusa, che viene trasmesso su Rai 3 oltre che in Francia, molto critico nei confronti della versione ufficiale della morte di Cunanan, e quindi dell'operato della polizia di Miami. Il video contiene fra l'altro una testimonianza dello stesso Schiaffo, che sembra corroborare le tesi di Forti; ma l'ormai ex-investigatore non esibisce la prova più importante, la foto del cadavere di Cunanan, che è stato fatto cremare subito dopo la conclusione dell'inchiesta. Con essa Forti avrebbe forse potuto dimostrare che ad uccidere Cunanan non è stata l'arma indicata dalla polizia. A causa di ciò, Forti deciderà fra l'altro di non versare a Schiaffo tutto il compenso inizialmente pattuito, scelta certamente non gradita al detective neo-pensionato.
Comunque sia, subito dopo la house boat comincia ad imbarcare acqua e viene affondata dalle autorità cittadine, perché classificata pericolosa per la navigazione nel canale. Con la barca, sparisce buona parte dell'investimento di Forti, e ogni possibilità residua di riaprire il caso. Chico aveva pestato i piedi a qualcuno? Quali altarini rischiava di scoperchiare con la sua "indagine parallela"? Per gli innocentisti, questa è una pista possibile. Anche se non l'unica. Ad esempio, quale sarebbe il ruolo reale nella vicenda di Knott, oltre ad avere fatto da intermediario sia nell'acquisto dei diritti della house boat sia nella transazione riguardante l'albergo? Knott dichiarò al processo che Forti stava cercando di raggirare Pike, già malato di Aids: ma la difesa di Forti sottolineerà invece che Chico era stato l'unico a dare dei soldi a Pike, mentre Knott, per sua stessa ammissione, lo aveva già truffato più volte.
Giustizia è fatta o un innocente in prigione?
Gary Schiaffo, nel 2010 – questo è riportato anche dalla stampa americana reperibile in internet – è stato arrestato con l'accusa di avere falsificato prove e testimonianze in almeno due diversi processi (non nel processo Forti).

Un gruppo di attivisti per l’innocenza di Chico Forti, con Fiorello (al centro)
Fra gli altri elementi che destano sospetti nel "caso-Dale" vi sarebbe la conduzione del processo Forti affidata alla giudice Victoria Platzer, che in precedenza aveva fatto parte della squadra investigativa di Schiaffo, prima di essere nominata giudice. La difesa, invece, condotta da Ira Loewy e Donald Bierman, secondo testimoni e osservatori del caso, ha palesemente facilitato l’accusa, fino a convincere Chico a non deporre davanti alla giuria popolare e a lasciare all'accusa l'ultima parola (altre fonti riferiscono, anche questo è bene precisarlo, che si tratta di una prassi ordinaria negli USA e che Bierman è un fior di avvocato, non uno sprovveduto). Il giudice Imposimato, presidente onorario della Corte di Cassazione italiana, esperto di terrorismo e lotta alla mafia e collaboratore delle Nazioni Unite, scrive sul suo sito, fra le altre cose, a proposito del collegio difensivo, che "i difensori di Forti hanno tradito il mandato: collaboravano con il prosecutor. Hanno falsificato la firma di Chico Forti dicendo di essere stati autorizzati da lui. Non era vero". La firma falsificata è un altro dei misteri di questo processo.
Alcuni dei principali personaggi coinvolti nella vicenda hanno da anni lasciato l’America: come Tony Pike, che è tornato a vivere nel suo ormai ex-albergo, ristrutturato e ora ribattezzato Ibiza Rocks House, o come Thomas Knott, che dopo aver patteggiato la pena per truffa ai danni dell'amico Anthony Pike comunque comminatagli in America (al processo Forti confessò di avere sottratto a Pike, tramite carta di credito, circa 95.000 dollari), ancora farebbe affari in Europa (da una veloce ricerca sulla rete risulta direttore marketing della Millennium International, società specializzata in compravendita di barche di lusso).
La giustizia ha fatto il suo corso o Chico Forti sta scontando una pena a vita nelle Everglades per un delitto che non ha commesso? Attualmente in Italia è in corso sia una campagna con raccolta firme sia una raccolta di fondi per la riapertura del processo. Ma anche l'America si sta mobilitando, attraverso le comunità italiane e, ora, con il sostegno di un celebre avvocato newyorchese. Noi non siamo giudici: non spetta a noi dire da che parte stia la ragione, né naturalmente ci sentiamo autorizzati a criticare il sistema della giustizia penale americano. Ma certo possiamo dire che la partita di Chico Forti non è chiusa e che molte ombre si addensano ancora sul caso Dale Pike, non fosse altro perché a tutt'oggi, e a prescindere dal ruolo di Forti, non si sa chi quella sera del 15 febbraio 1998 abbia premuto il grilletto della pistola che lo ha ucciso.
È sempre cosa gradita per un detenuto ricevere della posta. Potete scrivere all'indirizzo
(posta prioritaria, scrivete sempre il mittente e non inserite più di 5 foto)
Mr. Enrico Forti
DC 199115 A2 122L
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U.S.A.
Oppure via e-mail all'indirizzo: moc.liamg @ocihcazrof
Alcuni riferimenti in internet sul caso Forti:
– Il sito di riferimento del fronte innocentista: www.chicoforti.com
– Il blog: chicofortifree.blogspot.it
– La dettagliata ricostruzione della rivista Albaria, aggiornata fino al 2006
– Fra i libri pubblicati sul caso vedasi: Roberta Bruzzone, State of Florida vs Enrico Forti: il grande abbaglio, Curcu & Genovese, Trento, 2013. Documenti relativi al caso e al processo sono disponibili sul sito della psicologa e criminologa, docente alla LUM Jean Monnet di Bari, all’indirizzo www.robertabruzzone.com.